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CENTENARIO CIRCOLO A.N.S.P.I. GIOSUÈ BORSI

Brisighella, 4 agosto 2019

Rev.mo Mons. Elvio Chiari, Cari fratelli e sorelle, Responsabili, Soci e simpatizzanti del Circolo Giosuè Borsi di Brisighella del quale ricorre il centenario, viviamo un momento importante per questa comunità, per la memoria e per il futuro. Nel 2007 don Giuseppe Piancastelli, in prossimità dei novant’anni del Circolo ebbe a scrivere: «Davanti a noi si aprono nuovi orizzonti. […] l’invenzione di nuovi progetti educativi nelle nostre parrocchie è affidata al protagonismo dei laici (non solo a sacerdoti e suore), in particolare alle famiglie». Sono parole ancora attuali, che non dobbiamo dimenticare. Come nel nuovo contesto socio-culturale occorre ripensare e riprogettare la vita civile e politica di questa città, così, in occasione del centenario, va ripensato e riprogettato il Circolo cattolico intitolato a Giosuè Borsi, sorto nel 1919, perché, come è scritto negli atti fondativi, vi era «un’assoluta mancanza di organizzazioni maschili».

A ben riflettere, la propria città vive l’urgenza di una rivitalizzazione di partecipazione non solo sul piano della vita sociale ma anche sul piano economico, commerciale, civile, culturale, sul piano ecologico. La generazione di mezzo ha una missione storica decisiva: non solo svolgere una funzione di legame tra le generazioni dei giovani con le altre generazioni, ma anche essere soggetto educativo, creativo, che guarda al futuro prefigurando visioni, progetti formativi, poggiando sulle solide basi di una tradizione socio-culturale e religiosa, rigogliosa e meritoria. Il Circolo Borsi, infatti, ha costantemente investito sulla formazione integrale (non solo sportiva e ricreativa) dei ragazzi e dei giovani, coinvolgendo le famiglie, organizzando incontri, esercizi spirituali, percorsi di sensibilizzazione culturale. Le attività ricreative non erano dissociate dalla catechesi, dalla formazione umana e sociale, democratica. Ma come risulta dalle cronache dell’anno 1974, dopo anni fiorenti, il Circolo ha vissuto momenti di decadenza, nei quali si è ridotto prevalentemente a luogo ricreativo, frequentato sì da numerosi giovani e, tuttavia, piuttosto indifferenti, se non contrari, al discorso religioso-morale (cf numero speciale del Bollettino parrocchiale del 2008, p. 17). Qualcosa di analogo avvenne nel 1990, perché il Circolo versava, si legge nel medesimo numero speciale a p. 33, «in una generale crisi di valori e di impegno». Purtroppo quanto è avvenuto in passato trova riscontri nell’oggi, anche in altri circoli presenti nella nostra Diocesi. Siamo qui proprio per scongiurare momenti di disorientamento e di disimpegno, per trovare, cioè, la forza e il coraggio del rilancio e del rinnovamento delle nostre associazioni. Celebrare l’Eucaristia in occasione del centenario del Circolo Borsi assume proprio il significato di propiziare un nuovo rinascimento, di avviare una ripresa con slancio e speranza. L’Eucaristia non è solo un frammento isolato e chiuso in se stesso della nostra commemorazione centenaria. Essa è l’epicentro di cambiamenti radicali che si trasmettono alle parrocchie e alle associazioni. Partecipare alla santa Messa ha, infatti, il significato di renderci più capaci di innovare la nostra vita e le nostre aggregazioni. Chi di voi è del Circolo e partecipa a questa Eucaristia è senz’altro convinto che essa è luogo privilegiato per ringraziare e per attingere le energie necessarie per rifondare ciò che ci sta a cuore. In essa si riconosce che quanto di bene è stato compiuto è principalmente merito del Signore Gesù e del dono del suo Spirito d’amore. Partecipare al memoriale della morte e risurrezione di Cristo significa immettersi in un ricco e potente flusso di vita nuova, che venendo donata a tutti i credenti li redime e li trasfigura, rendendoli protagonisti di rinnovamento della comunità ecclesiale e della vita civile. Incontrandoci con Cristo, accogliendolo, siamo inviati ad annunciarlo per far nuove tutte le cose, per generare una nuova cultura, un nuovo umanesimo. La Parola di Dio appena ascoltata ci guida e ci dice che l’obiettivo ultimo del nostro impegno missionario ed educativo è che «Cristo sia tutto in tutti» (Col 3, 9-11). È questo quanto dobbiamo ricercare nella nostra vita, nei Circoli cattolici. Dobbiamo rivolgere i nostri pensieri alle cose più importanti, le cose di lassù, e dedicarci alla nascita di un uomo nuovo, ad immagine di Cristo.

Per questa comunità e per il Circolo ANSPI Giosuè Borsi ogni celebrazione eucaristica deve diventare occasione di conversione, di rinascita, di rilancio dell’azione formatrice. Chi è socio dell’ANSPI sa che in tale associazione non si vive semplicemente per passare il proprio tempo, per godere di una pausa di riposo ristoratore. Essere dell’ANSPI vuol dire intendere la propria vita come una missione non solitaria, bensì associata, che conduce ad aggregarsi e ad unire le energie per essere nel tessuto ecclesiale e sociale lievito che fermenta, sale che dà sapore alla vita, per essere costruttori attivi di una società riconciliata ed integrata. La celebrazione del centenario sia, allora, un confermarsi nel proposito di rendere la propria vita più ricca di senso di appartenenza a Cristo, alla sua Chiesa. Non bisogna aver paura di essere e di dirsi di Cristo. Negli anni trenta e quaranta del secolo scorso era normale per i soci del Circolo Borsi esprimersi così: «Giovane, non tremare se tu sei cattolico!». Oggi, purtroppo, la qualifica di «cattolico» non è amata. Appare a non pochi credenti un inciampo al dialogo pubblico, quasi un marchio di minorità.

Occorre prendere coscienza della propria dignità e specificità. Tutti siamo chiamati a sbaragliare un cristianesimo «fai da te», e quel paganesimo idolatra che, purtroppo, si è infiltrato anche nella comunità cristiana e nelle nostre associazioni. Occorre tornare ad educare gli educatori, affinché aiutino le nuove generazioni a rendere ragione della propria fede e della connessa speranza. Dobbiamo superare quelle presentazioni del cristianesimo che fanno sconti sulle esigenze del Vangelo e sulla sequela di Cristo. Chi opera nell’ANSPI è chiamato ad educare ad una vita impegnata, di alto profilo, di rispetto dell’altro, anche nei vari ambienti dello svago e del sano agonismo. Gesù Cristo non è un sovrappiù, un intruso nell’educazione, bensì chi con il dono di sé rende la vita più piena, colma di gioia indicibile.

+ Mario Toso


ESEQUIE DI SECONDO AZZANI

Faenza, chiesa dell’Osservanza 19 luglio 2019

Fratelli e sorelle, la morte del nostro fratello Secondo Azzani, sopraggiunta con rapidità, ci sollecita a riflettere sulla nostra esistenza, fragile e sfuggente. Ma dobbiamo fermarci a pensare soprattutto su quel fiume di vita che scorre nel profondo del nostro essere: un fiume in cui siamo immersi e che ci rende parte di un flusso di grazia che ci sospinge a trascenderci. Come ci ha detto la Lettera ai Romani (14, 7-9. 10c-12) nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso. Sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore. Perché san Paolo può dire che nessuno di noi vive per se stesso e muore per se stesso? Chi ha fede ed è memore del proprio Battesimo sa che il cristiano vive, muore, risorge nel Signore Gesù. Mediante il Battesimo siamo uniti a Cristo che fa della sua vita un dono, una lotta contro il male, sino a morire sulla croce e a risorgere. Con il Battesimo i credenti vivono in Cristo, partecipano della sua vita, dimorano in Lui, come anche Cristo vive in loro, unito a loro. E così, il loro vivere diventa il vivere di Cristo, con Lui e per Lui, incarnato, ucciso con una morte violenta ma risuscitato da Dio Padre. San Paolo affermava, in maniera breve e densa, che per lui vivere era vivere Cristo. Il Battesimo ci conferisce, e la Cresima le conferma, la vocazione e la missione a vivere non solo per noi stessi, ma per Cristo. Ugualmente, noi non moriamo per noi stessi, ma per il Risorto. Sia che viviamo sia che moriamo, dunque, siamo del Signore.

Deve crescere, allora, in noi la consapevolezza che mentre siamo quaggiù, siamo chiamati a vivere Cristo, la sua stessa capacità di amare il Padre e di servire l’umanità e la Chiesa. Lo Spirito di Cristo ci sollecita a raggiungere la stessa statura morale e spirituale del Figlio di Dio, per partecipare della sua vita sofferente e, insieme, vittoriosa e gloriosa, passando attraverso la croce.

Cari fratelli e sorelle, se tra le vicende, liete e tristi, della nostra vita, ci muoviamo con la coscienza di essere di Cristo, di vivere con Lui, per Lui, tutto acquista un altro senso, tutto seppur greve diviene più lieve, più sopportabile. Accettiamo più serenamente i nostri limiti ed incapacità. E chi non ne ha. Dopo le nostre cadute ci rialziamo con speranza e con vigore rinnovati, perché non siamo soli. C’è Chi è con noi, cammina con noi, ci solleva su ali potenti. Non possiamo essere demotivati, perché non viviamo come se Dio non esistesse, bensì con la certezza e l’esperienza continua che Lui esiste per noi, per tutti, per il creato. Egli è l’Amore pieno di verità. Egli è Colui che è e tutto sorregge. È principio del nostro compimento, che si dipana come un vivere soprattutto per Dio. Sia che viviamo sia che moriamo noi siamo del Signore della vita, per il Signore, che è la pienezza di vita.

Il brano tratto dal vangelo di Luca (12, 35-40) ci invita ad essere pronti: «Anche voi tenetevi pronti perché nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Come a dire che non sappiamo quando dovremo abbandonare la scena di questo mondo. Ma come dobbiamo trovarci allorché giungerà il momento del nostro incontro con il Signore? Ecco quanto ci insegna Gesù: «Siate pronti con le vesti strette ai fianchi […]; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito».

Chi, per fede, vive Cristo, ossia non vive per se stesso, ma per gli altri e per Dio, è certamente pronto ad accogliere Colui che viene. Chi vive costantemente in questo modo si trova sveglio, con le vesti cinte ai fianchi. Crediamo che il nostro fratello Secondo sia stato trovato proprio così, pronto, come servo attento e premuroso nei confronti dei suoi fratelli e della sua Chiesa. Sino a pochi giorni fa Secondo era in Curia per aiutare nel disbrigo di quei servizi che un tale organismo offre alla Chiesa diocesana. Ma se c’è un tratto che ha contraddistinto Secondo più di ogni altro è stato il suo servizio nei confronti di varie comunità parrocchiali, di sacerdoti e degli stessi vescovi, me incluso. Ricordo oggi, tra l’altro, a mo’ di esempio, l’amorevole cura che egli ebbe per Monsignore Giuseppe Piazza, divenuto anziano, incapace ormai di movimento. L’ha accompagnato con dedizione e pazienza fraterna nella sua infermità, sino all’ultimo. Posso assicurare che se Secondo ha fatto della sua esistenza un vivere per il servizio ai sacerdoti, egli l’ha compiuto come un servizio a chi rappresenta il Cristo in terra. Si tratta di una diaconia sempre più rara, sebbene preziosissima per le comunità cristiane e la Chiesa. Chi, come alle origini della prima comunità, si prende cura di Cristo e degli apostoli, collabora all’annuncio e alla testimonianza del Vangelo, alla salvezza del mondo.

In questa celebrazione Eucaristica preghiamo per il nostro fratello Secondo Azzani, servo buono e fedele. Il Signore lo accolga nel suo Regno di luce e di pace. Preghiamo per le figlie e tutti i suoi parenti, affinché sentano il conforto di Cristo Gesù, Signore dei vivi e dei morti.

+ Mario Toso

Vescovo di Faenza-Modigliana

Nuovi parroci in diocesi

Domenica 30 giugno il vescovo Toso ha annunciato alcune nomine

In data 29 giugno, Solennità dei Santi Pietro e Paolo, mons. vescovo ha provveduto ai seguenti avvicendamenti:

  • don Stefano Rava, fino ad ora parroco di Cotignola e amministratore di S. Severo, è trasferito alla parrocchia di S. Stefano di Modigliana come parroco in solido non moderatore: la parrocchia avrà così due parroci, perché don Rava affiancherà l’attuale parroco don Massimo Goni;
  • don Stefano Vecchi diventa parroco di S. Stefano in Cotignola e amministratore di S. Severo, lasciando le sue attuali parrocchie (Marzeno, Sarna, Rivalta, Scavignano);
  • don Pier Paolo Nava, fino al presente parroco di Granarolo e S. Andrea, sostituisce don Vecchi come parroco nelle parrocchie di Marzeno, Sarna, Rivalta, e come amministratore di Scavignano;
  • don Claudio Platani lascia Fusignano e diventa parroco di S. Giovanni Evangelista in Granarolo e di S. Andrea in Panigale.

Le date per l’ingresso dei nuovi parroci nelle rispettive parrocchie sono in corso di definizione e saranno fissate all’inizio dell’anno pastorale 2019-2020. Tutte le nomine a parroco sono state fatte per un periodo di nove anni, durante i quali al parroco è garantita una stabilità nel proprio ministero (quelle di amministratore, invece, non prevedono una durata minima).

PIETRO E PAOLO

Faenza, cattedrale 30 giugno 2019

Gli Apostoli Pietro e Paolo stanno oggi davanti a noi come testimoni, come costruttori di Chiesa. Che cosa significa essere costruttori? Essi, come gli altri apostoli, sono costruttori nel senso che hanno lavorato apostolicamente per aiutare le persone ad essere in comunione con Dio e tra di loro. Essi hanno operato non solo e non tanto per edificare le chiese fatte di mattoni. Hanno annunciato Gesù Cristo affinché Egli fosse tutto in tutti. Detto altrimenti, Pietro e Paolo si sono adoperati a costruire la Chiesa come insieme di mattoni spirituali, di pietre vive. Così facendo ci hanno insegnato ad essere, a nostra volta, costruttori della comunione con Dio e tra le persone. Mentre ricordiamo Pietro e Paolo siamo, dunque, sollecitati a diventare come loro. Essi non si sono mai stancati di annunciare Cristo, di vivere in missione, in cammino, dalla terra di Gesù fino a Roma. Qui lo hanno testimoniato sino alla fine, dando la vita come martiri. Se andiamo alle radici della loro missione e della loro testimonianza, li scopriamo testimoni del bisogno di Dio, testimoni della rigenerazione del perdono e testimoni di Gesù Cristo.

Testimoni del bisogno di Dio, dell’incontro con Gesù Cristo. Entrambi erano di indole molto religiosa, persone dinamiche e intraprendenti: Pietro fu discepolo della prima ora (cf Gv 1,41), Paolo era un accanito sostenitore delle tradizioni dei padri (cf Gal 1,14). Come ci è noto Pietro arrivò a rinnegare il Signore, Paolo a perseguitare accanitamente la Chiesa di Dio. Il loro incontro con il Signore Gesù fu diverso, ma cambiò la loro vita. A Pietro, tra l’altro, Gesù Cristo rivolse ripetutamente la domanda: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,15). Pietro rimase addolorato. Non capì che Gesù gli chiedeva un amore totale ed incondizionato. Ma sebbene la risposta di Pietro non fosse stata del tutto adeguata, Gesù Cristo gli affidò la Chiesa. L’apostolo Paolo cominciò la sua conversione in maniera repentina, sulla via di Damasco, ove il Signore Gesù gli pose la domanda:  «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Paolo rimase accecato dalla luce che lo abbatté da cavallo. Per noi è importante sottolineare che Gesù dopo il tradimento di Pietro e le persecuzioni di Paolo si fidò di loro, di due peccatori pentiti. Perché il Signore non ci ha dato due testimoni integerrimi, dalla vita immacolata? Perché Pietro, quando c’era Giovanni? Perché Paolo e non Barnaba?

C’è un grande insegnamento da cogliere in tutto questo: il punto di partenza della vita cristiana non è l’essere degni. Con quelli che si credevano bravi il Signore è riuscito a fare ben poco. Il Signore non compie prodigi con chi si crede perfetto, ma con chi sa di essere fragile, bisognoso di aiuto. Egli ci ama così come siamo. Cerca gente che non basta a sé stessa, ma è disposta ad aprirgli il cuore. Pietro riconobbe subito di fronte a Gesù: «sono un peccatore» (Lc 5,8). Paolo scrisse di essere «il più piccolo tra gli apostoli, non degno di essere chiamato apostolo» (1 Cor 15,9). Nella vita hanno mantenuto questa umiltà, fino alla fine: Pietro crocifisso a testa in giù, perché non si credeva degno di imitare il suo Signore; Paolo sempre affezionato al suo nome, che significa “piccolo”, e dimentico di quello ricevuto alla nascita, Saulo, nome del primo re del suo popolo. La santità non sta nell’innalzarsi, ma nell’abbassarsi: è affidare ogni giorno la propria povertà al Signore, che compie grandi cose con gli umili. Ciò che li fa andare avanti nelle debolezze è il perdono del Signore.

Oggi riscopriamo Pietro e Paolo anche come testimoni della rigenerazione che guarisce e fa rinascere. Nelle loro cadute hanno scoperto la potenza della misericordia del Signore, che li ha rigenerati. Con quello che avevano commesso avrebbero potuto vivere di sensi di colpa: quante volte Pietro avrà ripensato al suo rinnegamento! Quanti scrupoli per Paolo, che aveva fatto del male a tanti innocenti! Umanamente avevano fallito. Ma hanno incontrato un amore più grande dei loro fallimenti, un perdono così forte da guarire anche i loro sensi di colpa. Solo quando sperimentiamo il perdono di Dio rinasciamo davvero. Da lì si riparte, dal perdono; lì ritroviamo noi stessi: nella confessione dei nostri peccati.

Testimoni di vita, testimoni di perdono, Pietro e Paolo sono soprattutto testimoni di Gesù Cristo. Egli nel Vangelo di oggi domanda: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Le risposte evocano personaggi del passato: «Giovanni il Battista, Elia, Geremia o qualcuno dei profeti». Persone straordinarie, ma tutte morte. Pietro invece risponde: «Tu sei il Cristo» (cf Mt 16,13.14.16). Cristo, cioè Messia. È una parola che indica soprattutto il futuro: il Messia è l’atteso, la novità, colui che porta nel mondo la salvezza di Dio. Gesù è Colui al quale Pietro dà del «tu»: Tu sei il Cristo. È la risposta di un innamorato che dà del «tu» e, nello stesso tempo, riconosce il Tutto dell’Amore, l’Amore che è Dio, l’Amore sommo. Per Pietro, Gesù più che un personaggio, è il Tu della sua vita: è il nuovo, il futuro verso cui proiettarsi con tutto se stesso. Pietro è testimone non tanto perché frequenta e segue Gesù come una persona tra le altre, bensì come uno che vive una «storia di amore» con Gesù. Pietro, come anche Paolo, sono testimoni autentici perché, in fondo, annunciano quello che percepiscono nella profondità del loro cuore: che Gesù è vivo ed è il segreto della vita. Infatti Pietro, dopo aver detto: Tu sei il Cristo, aggiunge: «il Figlio del Dio vivente» (v. 16). La sua testimonianza nasce dall’incontro con Gesù vivo. Anche al centro della vita di Paolo troviamo la stessa parola che trabocca dal cuore di Pietro: Cristo. Paolo ripete questo nome in continuazione, quasi quattrocento volte nelle sue lettere! Per Lui Cristo non è solo il modello, l’esempio, un punto di riferimento esterno: è la vita. Scrive: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21). Gesù è il suo presente e il suo futuro, al punto che giudica il passato spazzatura di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo (cf Fil 3,7-8).

Fratelli e sorelle, davanti a questi testimoni, chiediamoci: “Io rinnovo ogni giorno l’incontro con Gesù?”. Non è sufficiente interessarsi di cose di Chiesa o di notizie religiose. Non è sufficiente vivere trattando delle cose della Chiesa, della mia parrocchia. Questo non è ciò che più interessa a Gesù Cristo, che è il vero fondamento della Chiesa, la pietra angolare scartata dai costruttori. Egli cerca e desidera testimoni credibili, che ogni giorno Gli dicono: «Signore, tu sei la mia vita».

Incontrato Gesù, sperimentato il suo perdono, gli Apostoli hanno testimoniato una vita nuova: non si sono più risparmiati, hanno donato sé stessi. Non si sono accontentati di mezze misure, ma hanno assunto l’unica misura possibile per il credente: quella di un amore senza misura. Si sono “versati in offerta” (cf 2 Tm 4,6). Chiediamo la grazia di non essere cristiani tiepidi, che vivono di mezze misure. Ritroviamo nel rapporto quotidiano con Gesù e nella forza del suo perdono le motivazioni fondanti del nostro vivere da credenti. Gesù, come a Pietro, chiede anche a noi: “Chi sono io per te?”; “mi ami tu?”. Queste parole entrino nel profondo del nostro cuore, per essere anche noi testimoni viventi di Gesù.

+Mario Toso

CORPUS DOMINI

Faenza, Santa Maria Maddalena 20 giugno 2019

L’Eucaristia è cibo di vita eterna. Cosa vuol dire? L’Eucaristia è un nutrimento particolare per la nostra vita. Essa ci consente di partecipare a quel dinamismo di divinizzazione e di trasformazione della realtà umana, storica e cosmica, che Cristo ha immesso in essa con la sua incarnazione, facendosi uomo come noi. Noi che riceviamo la comunione, facciamo comunione con Cristo, riceviamo da Lui la vita di comunione della Trinità. Mangiando il pane consacrato non solo ci uniamo a Cristo ma, attraverso di Lui, che è in comunione con il Padre, entriamo nella comunione di Dio Trinità. Così, la Trinità viene ad abitare in noi, e noi abitiamo nella Trinità. Come dice sant’Agostino non siamo noi, mediante la comunione, mangiando il Corpo di Cristo, a trasformare Lui in noi, piccole creature, bensì è Lui a trasformarci in Lui (Conf VII, 10,18). Noi, dunque, partecipiamo della vita di comunione che Egli vive nella Trinità. Non solo. Diventiamo conformi a Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui e con i nostri fratelli, uniti a Lui.

Quali le conseguenze di rilievo per noi, per la nostra esistenza in una cultura che ci incapsula nell’individualismo e nell’utilitarismo?

In Cristo che, nella comunione eucaristica, ci trasforma in Sé, la nostra individualità viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù che, come accennato, è immersa nella comunione trinitaria. Così, l’Eucaristia, mentre ci unisce a Cristo, ci apre anche agli altri, ci rende membra gli uni degli altri: non siamo più divisi, ma una cosa sola in Lui e tra di noi. I nostri «io» divengono un «noi» in Lui. E in un simile noi comunitario, il nostro io si compatta e cresce come un essere per gli altri, per Dio. La comunione eucaristica mi unisce alla persona che ho accanto, e con la quale forse non ho nemmeno un buon rapporto. Mi unisce ai fratelli lontani, in ogni parte del mondo. Dall’Eucaristia, deriva il senso profondo della presenza sociale della Chiesa, come testimoniano i grandi Santi sociali, che sono stati sempre grandi anime eucaristiche. Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, che è forestiero, nudo, malato, carcerato, immigrato; ed è attento ad ogni persona, si impegna, in modo concreto, per tutti coloro che sono in necessità. Dal dono di amore di Cristo proviene la nostra speciale responsabilità di cristiani chiamati alla costruzione di una società solidale, giusta, fraterna (cf Benedetto XVI, Omelia 23 giugno 2011). Da Cristo impariamo a donare il pane che è Lui e a moltiplicare i beni della terra perché servano a tutti.

In questo contesto possiamo comprendere meglio la figura dell’accolito e del ministro straordinario dell’Eucaristia. Questa sera, infatti, verranno istituiti sia accoliti sia ministri straordinari dell’Eucaristia. Si tratta di ministranti che, specie in un contesto di diminuzione sia di sacerdoti sia di diaconi, aiutano presbiteri, fedeli e comunità cristiane a partecipare più facilmente ai sacramenti, in particolare là dove non c’è la presenza stanziale di un parroco,

L’ufficio liturgico dell’accolito è di aiutare il presbitero e il diacono nelle azioni liturgiche; di distribuire, come ministro straordinario – a tutti i fedeli, anche infermi – o di esporre l’Eucaristia. Di conseguenza, deve curare con impegno il servizio all’altare e farsi educatore di chiunque nella comunità presta il suo servizio alle azioni liturgiche. Il contatto che il suo ministero lo spinge ad avere con «i deboli e gli infermi» (cf Rito dell’istituzione dell’accolito) lo stimola a farsi strumento dell’amore di Cristo e della Chiesa nei loro confronti. Suo impegno sarà, quindi, quello di conoscere e penetrare lo spirito della liturgia e le norme che la regolano; di acquisire un profondo amore per il popolo di Dio e specialmente per i sofferenti.

Nella Chiesa latina, il ministro straordinario della comunione è un battezzato laico, uomo o donna, cui è affidato in maniera straordinaria (cioè solo quando si presenti una reale necessità, dovuta alla carenza di presbiteri o altri ministri ordinati) il servizio liturgico della distribuzione della comunione eucaristica. Ma non solo. Altri suoi compiti sono: a) distribuzione della Comunione fuori della celebrazione della Messa; b) portare la Comunione ai malati e agli anziani, specialmente nel giorno del Signore. È bene visitare i fratelli e sorelle ammalati, prima di portare loro l’Eucaristia; c) esporre in assenza del presbitero all’adorazione dei fedeli l’Eucaristia e riporla nel tabernacolo, senza impartire la benedizione eucaristica; d) portare il Viatico agli ammalati, solo in mancanza di altri ministri. È bene informare il Parroco della gravità della malattia, perché il malato sia preparato a ricevere il Sacramento dell’Unzione degli Inferni e il sacramento della Penitenza; d) guidare la celebrazione domenicale dove mancano il presbitero e il diacono.

Mi fermo qui per qualche cenno sulla spiritualità del ministro straordinario della santa comunione. Ciò vale anche per gli accoliti. Sono importanti, innanzitutto, amore e cura verso la celebrazione dell’Eucaristia. Si raccomanda, se possibile, di partecipare anche alla santa Messa feriale e alla santa Comunione. Non possono mancare la preghiera personale e comunitaria con la liturgia delle Ore (Lodi e Vespri), come anche l’adorazione eucaristica (sia comunitaria, che personale) e la celebrazione del sacramento della riconciliazione nei vari momenti dell’anno liturgico. Tra le disposizioni spirituali da acquisire menziono: l’essere coscienti di impersonare Gesù servo, e di agire a nome della Comunità; l’essere animati da uno spirito di disponibilità e sacrificio (tempo, dedizione…); il vivere un amore speciale per i fratelli ammalati e anziani.

Quanto detto si invera in uno stile di servizio caratterizzato dall’abito (laicale) decoroso, semplice, senza ricercatezze; da un rapporto cordiale e fraterno con gli altri ministri. Nelle comunità dove si celebrano più Messe, è indispensabile distribuirsi gli orari per assicurare un vero servizio. La teca, contenente il Pane eucaristico, va portata con venerazione, non infilata in tasca tra mille cianfrusaglie. La visita agli ammalati non va frammezzata da tappe intermedie (spesa o disbrigo di pratiche e di pagamenti..). L’Eucaristia non consumata, non venga portata a casa ma riportata nel Tabernacolo della chiesa parrocchiale o nella cappella dell’istituto religioso.

Ciò detto, aggiungo qualche riflessione sull’Eucaristia e l’adorazione a Gesù realmente presente nel Sacramento dell’altare. Può capitare che la giusta accentuazione posta sulla celebrazione dell’Eucaristia vada a scapito dell’atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento può avere ripercussioni sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si coglie meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio, con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana. È sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. È proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore (cf Benedetto XVI, Omelia 7 giugno 2012). L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa. Dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.

Auguro agli accoliti e ai ministri straordinari dell’Eucaristia di svolgere il loro servizio con un cuore traboccante dell’amore di Gesù, per aiutare i fratelli a cibarsi del pane eucaristico e a fare della loro vita, delle loro solitudini e delle loro sofferenze un’offerta gradita a Dio, completando in se stessi la passione di Cristo.

+ Mario Toso

AMMISSIONE ALL’ORDINE SACRO DI LUCA GHIROTTI E MATTEO BABINI

Faenza, Seminario 16 giugno 2019

Cari Luca e Matteo, oggi sarete ammessi tra i candidati all’Ordine sacro, al diaconato e al presbiterato. Così, direte davanti a tutti il vostro desiderio di diventare sacerdoti di Cristo, per la Chiesa, per le comunità cristiane, per il mondo. Crediamo che sia particolarmente significativo che manifestiate ufficialmente il vostro orientamento di dono a Cristo nel giorno beatificante della solennità della santissima Trinità. Vi affidate a Cristo con la consapevolezza che Lui vi conduce a dimorare nella comunione della famiglia di Dio. E rimanendo in quella comunione, che inonda di Amore e di Luce tutto l’universo, è bello sentirsi amati ed inviati ad annunciarlo e a testimoniarlo. Nella solennità della Trinità trovate un’indicazione unica e straordinaria di vita: essere mandati a vivere e a servire la comunione di Cristo col Padre.

Tra i vostri fratelli e sorelle sarete, allora, portatori di un’esistenza che si modella in termini di dono a tutti, di mutua crescita, nell’unità e nella condivisione.

Non dimenticate, poi, che fate la vostra scelta in un momento storico che registra la scarsità delle vocazioni sacerdotali, almeno nei nostri territori. Essere, questa sera, testimoni della vostra decisione ci rallegra e ci incoraggia: il Signore continua a mandare operai nella sua messe. Ma se oggi c’è una crisi nel numero dei sacerdoti, c’è soprattutto una crisi di identità dei sacerdoti. Un fatto che è altrettanto grave, se non di più. Spesso il presbitero si trova ad andare controcorrente. Così, è solo, nel senso che non sempre è compreso, ed è anche poco supportato. Ugualmente, il sacerdote, per i molti compiti e per la sua vita di corsa non ha sempre l’opportunità di radicarsi profondamente nella vita del Sommo Sacerdote.

Nel momento in cui dichiarate di essere pronti ad accogliere la divina chiamata, prendete chiara coscienza che il vostro sostegno sarà dato soprattutto dalla compagnia del Signore, dalla condivisione intima della sua missione e del suo Amore. In comunità cristiane ove silenziosamente, purtroppo, cresce una certa «apostasia», ossia la separazione progressiva da Cristo, dalla sua Chiesa, cari Luca e Matteo, per essere luce e lievito, siete chiamati ad affondare le vostre radici in Gesù. La vostra affettività sia temprata dalla tenerezza dell’Amore che colma e fa traboccare la comunità di Dio Trinità.

Bisogna vincere la tentazione di essere troppo presi dalle molteplici attività, pur necessarie per la vita della comunità cristiana. Occorre inginocchiarsi di più davanti all’Amore di Dio Crocifisso. La rovina della civiltà cristiana occidentale, ben rappresentata dal disastroso rogo di Notre Dame di cui siamo stati testimoni, potrà essere superata solo dal sincero ritorno a Dio, dall’accoglienza di quella vita d’amore che Egli ci ha consegnato con la Pentecoste.

Il vostro «eccomi, manda me» sia particolarmente gioioso. Nulla vi turbi. Il Signore Gesù pone in noi la sua fiducia nonostante la nostra fragilità. Come a Pietro dice «seguimi» e «pasci i miei agnelli». Confidate, allora, nel Pastore dei pastori. Il vostro «sì» quotidiano sgorghi da quell’intima amicizia con Cristo e da quella comunione con il suo Spirito filiale che farà crescere in voi un vero amore di offerta, un’offerta sacrificale di voi stessi, sulle orme dell’Inviato dal Padre. Solo vivendo col Signore Gesù, nutrendovi della sua Parola, del suo Corpo e del suo Sangue, Egli si formerà in voi, nei vostri sentimenti. Plasmerà la vostra anima. Il suo Cuore missionario diventerà il vostro cuore.

Ma perché Cristo sia tutto in tutti, a cominciare da se stessi, occorre imparare a rinunciare al proprio egoismo, alle proprie vedute anguste, al proprio io testardo. Per acquisire la docilità dell’Agnello che sale sulla croce, per vincere il male e la morte, non c’è altra strada che ripercorrere mille volte, nelle varie vicende della vita, passo dopo passo, la salita al monte Calvario, con Lui. Solo la Croce di Cristo salva il mondo, noi presbiteri, noi tutti credenti. Siate, allora, umili nel dono della vostra vita. Predisponetevi a imitare Gesù, mite di cuore. Chiedete di essere liberati dal desiderio di essere lodati, approvati, applauditi. Conta di più che siate fedeli a Cristo e al suo Vangelo. Conta che riusciate ad innamorare gli altri di Cristo, il vero Redentore, vero Dio e vero Uomo. Potrà sembrare arduo ed aspro il cammino che vi attende. Vi consoli il pensiero che la Croce è il vertice dell’Amore, luogo ove si manifesta il massimo dell’amore, per amore. La croce è luogo di gioia e di serenità per chi compie la volontà di Colui che chiama ed invia. Vi consoli la compagnia di tanti santi, dei santi della nostra Diocesi di Faenza-Modigliana, di Maria Beata Vergine delle Grazie.

+ Mario Toso

Omelia per S. ANTONIO DI PADOVA

Faenza, chiesa di san Francesco 13 giugno 2019

  1. Cari fratelli e sorelle, ogni anno abbiamo la grazia di venerare sant’Antonio di Padova, un santo a tutti noi caro. Lo ricordiamo come santo popolare, amato in tutto il mondo. Non possiamo ignorare che egli seppe amare Dio sopra ogni cosa con un cuore ardente e, nello stesso tempo, mostrò l’amore di Dio alla gente, ai suoi fratelli e sorelle, ai più piccoli, con un impegno straordinario. I tanti miracoli da lui compiuti attestano quanto amasse la carne di Cristo, Cristo presente nei suoi fratelli. Antonio di Padova amava la gente ed era riamato da essa. In un momento storico in cui la Chiesa mostrava segni di decadenza, al pari di san Francesco, si dedicò a ripararla. Mentre nella Chiesa cresceva la confusione e la distanza tra l’autorità religiosa e i fedeli a motivo delle eresie e di una vita mondana diffusa tra i pastori di allora, egli si dedicò alla predicazione, alla formazione delle coscienze, all’accompagnamento spirituale: coltivava l’intelligenza dei credenti, confessava ore e ore, senza riposo e senza prendere cibo. Combatté le divisioni, i mali sociali del suo tempo, quali l’usura, la sopraffazione dei potenti sui deboli. E noi che facciamo? Ci impegniamo a rinnovare la Chiesa? Diamo come cosa normale che esista un cristianesimo solo proclamato ma non vissuto? Possiamo dirci cristiani anche quando non mettiamo in pratica il Vangelo o quando non pensiamo la nostra fede, ossia quando non la approfondiamo e non la comunichiamo?
  2. «Tutto intero ti devi a Lui», soleva ripetere e scrivere il Santo (S. Antonii Patavini, Sermones domenicales et festivi, Padova 1979, vol. II, p. 163): Antonio di Padova sin da giovane sentì forte il desiderio missionario con una dedizione totale nella risposta. L’amore di Dio e dei fratelli in Lui bruciò la sua breve – 36 anni – e intensissima esistenza. Come narrano gli antichi biografi: «morì per sfinimento di eccesso di lavoro e per scarso nutrimento e riposo». A Padova giunse nell’ultimo anno della sua vita (1231). La sua fu un’azione decisiva che segnò la rifondazione cristiana di Padova, la sua rinascita. Vi predicò la Quaresima, la prima Quaresima con predicazione quotidiana ininterrotta di cui si abbia memoria nella Chiesa d’Occidente, un’innovazione destinata ad avere uno sviluppo grandioso nei secoli successivi.

Domandiamoci: nell’annunciare Cristo nella nostra società, consumiamo anche noi la nostra vita? O siamo dei rassegnati, contenti di vivere una fede per noi stessi, per la nostra consolazione interiore e basta. Oppure: riteniamo che Cristo non abbia più nulla da dire alla nostra cultura? Non dovremmo, invece, pensare che Cristo è principio di trasfigurazione della vita, di una nuova cultura?

  1. Nella predicazione di Antonio, Carità e verità andavano insieme. Era dolce ed esigente nello stesso tempo. Perché? Egli pensava che il cristianesimo non può essere vissuto senza coltivare la verità sull’uomo e su Dio.
    Per Antonio, il cristianesimo senza la verità finisce per scadere in un sentimentalismo, in una semplice pratica che non cambia il cuore. L’amore cristiano diventa un guscio vuoto, che viene riempito arbitrariamente. Quando il cristianesimo è vissuto senza coltivare la verità sull’uomo e su Dio diventa preda delle emozioni e delle opinioni contingenti. La carità, ovvero l’amore cristiano, viene ridotto ad un umanitarismo generico e “neutrale”, che lascia in secondo piano la verità vivente e personale di Gesù Cristo. Antonio, che come Francesco ebbe una particolare predilezione per i poveri, prima ancora che dalla povertà di beni economici e di potere politico, fu colpito dalla povertà di sapere circa il senso della vita e il destino dell’uomo. E per combattere questa forma di povertà – intellettuale e spirituale – impiegò attivamente l’ultimo decennio della sua vita impegnandosi nel «dar ragione» del pensiero di Cristo ai suoi interlocutori.
  2. Il linguaggio dei miracoli è quello più familiare al Santo di tutto il mondo. Quanti miracoli ha compiuto. Ma il miracolo da lui privilegiato ed indicato sopra tutti i miracoli è Cristo risorto nel suo vero corpo, che sprigiona energia salvifica: Cristo incarnato nell’Eucaristia, fatto cibo per noi, per la nostra salvezza. Uniti a Cristo «veniamo guariti, esauditi. Finisce ogni miseria. Subito fuggono la morte, gli errori e le disgrazie. Gli ammalati si levano guariti, il mare si calma, le catene si rompono. I giovani e i vecchi … riacquistano l’uso delle membra, ritrovano le cose perdute. Svaniscono i pericoli. Raccontino queste cose quelli che le sanno; le dicano specialmente i padovani…» (traduzione del Si quaeris, Preghiera in onore di Sant’Antonio, composta nel 1233). Cari fratelli e sorelle, noi che non raramente desideriamo il miracolo, ricordiamo che il miracolo da ricercare sopra ogni cosa è il Cristo risorto, presente in mezzo a noi nell’Eucaristia, con il suo Spirito d’amore. Se il miracolo che chiediamo al Signore non giunge, associamoci al sacrificio di Gesù, alla sua morte e risurrezione. Avverrà il miracolo dei miracoli: una unione più profonda con la missione di Cristo, con le sue sofferenze. Completeremo in noi la sua redenzione.

+ Mario Toso

SOLENNITA’ DELLA PENTECOSTE, CHIUSURA DELLA FASE CELEBRATIVA DEL SINODO

Faenza, 9 giugno 2019

Cari fratelli e sorelle,

nel giorno della Pentecoste è donato agli apostoli, riuniti nel Cenacolo con Maria, lo Spirito Santo. Spirito d’amore del Padre e del Figlio, il loro abbraccio, prende, così, dimora nel cuore dei discepoli di Cristo. Abita in loro. Li plasma, li cambia nei pensieri e nei sentimenti, nell’affettività. Li fa ardere d’amore per la famiglia di Dio. L’esperienza dell’amore del Padre e del Figlio li  rende una cosa sola con la comunione missionaria di Dio Trinità. Li genera come figli nel Figlio; li fa essere missione.  È così che essi diventano maggiormente consapevoli di appartenere a Cristo, di essere suoi, e di condividerne il mandato. La comunione con Cristo li rende messaggeri coraggiosi di una vita di libertà e di dono. Per i discepoli non vi è nulla di più vero e di più urgente se non l’abitare nel Padre e nel Figlio, nel loro Amore; se non comunicare il loro essere-per, la loro potenza trasfiguratrice, la loro capacità di unire le persone in un cuor solo e un’anima sola, di vincere l’egoismo che sfigura il volto di Dio in noi, e tutto ciò che fa precipitare gli uomini nella morte, nell’indifferenza reciproca, nella menzogna, nella corruzione della mente, nella schiavitù degli idoli.

Cari giovani, in questo giorno di effusione dello Spirito, Amore pieno di verità, potete, dunque, comprendere meglio ciò che avete vissuto, l’essenza del Sinodo che avete preparato e celebrato con tanto slancio nei mesi scorsi. È senz’altro cresciuto in voi il senso di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa. Perché di Cristo, siete Chiesa, comunione con il Padre, popolo di Dio. Penso che sia così diventata anche una ferma convinzione che siamo un tutt’uno con Cristo e tra di noi, e che tutti siamo associati al compito del missionario per eccellenza, il Signore Gesù. Non sentite, non sentiamo il bisogno di essere solleciti annunciatori di Cristo per i giovani? In una società impermediatizzata e digitalizzata, pervasa da notizie vere e false, la notizia delle notizie, la buona notizia di cui dobbiamo farci portatori è la persona stessa di Gesù Cristo. Come saranno belli i nostri piedi, le nostre persone, se recheremo ovunque il lieto annunzio di verità, di bene e di pace che, in definitiva, è Gesù. Siamo chiamati a continuare nei vari luoghi di vita la professione di fede di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). In tutta la Chiesa, che è in Faenza-Modigliana, siamo chiamati a confessare, con le parole e la vita, il Signore Gesù. Ciò equivale a testimoniare che è vero Dio e vero Uomo, il nuovo Adamo. In Lui siamo chiamati a crescere la nostra libertà, il dono della nostra esistenza. Stando in mezzo agli altri giovani direte che Gesù è necessario a ogni persona, alla Chiesa. Tutti hanno bisogno di essere in comunione con la Vita che colma di ogni bene, che salva. Senza di Lui siamo perduti (cf Mt 8,25).

Ricordate, però, che solo se Gesù è «visto» da noi, da noi può essere «fatto vedere» agli altri. L’evangelizzazione non è un semplice «parlare» di Gesù, della sua persona, del suo messaggio. È propriamente un «comunicare» Gesù stesso, un rendere cioè possibile l’incontro vivo e personale di Gesù con i giovani e dei giovani con Lui. Siate, allora, un «sacramento» vivo di Cristo e della Chiesa. Non preoccupatevi eccessivamente delle cose da fare. Anche di queste bisogna aver cura, certamente. Ma siate soprattutto un «sì» a Gesù, Parola fatta carne. Siate un’ardente ed incontenibile missione. Un sì al comandamento nuovo dell’amore, che serve e si dona senza mai arrendersi. Trovate nei giovani che incontrerete quella «porta» che rende accessibile la loro coscienza a Gesù. È attraverso di essa che riuscirete a far entrare Colui che è Via, Verità e Vita.

Nel vostro impegno di costruttori della Chiesa e della società non anteponete nulla a Cristo! Prima di questa o di quella appartenenza ad un gruppo, ad una associazione, ad un movimento, viene l’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa. Gesù Cristo per il credente è l’assoluto umano di Dio. Solo la piena accoglienza di questo «primato» potrà assicurare il giusto valore etico a tutto il resto: alla famiglia, alla scuola, alla professione, all’economia, alla politica. Se non si riconosce il primo posto a Cristo nella vita e nell’evangelizzazione corriamo il rischio di tradire il Vangelo, le persone. Il dono dello Spirito di verità ci aiuti a vivere facendo memoria del Cristo risorto, della sua redenzione integrale. Solo lo Spirito di verità ci farà giungere alla verità tutta intera su Dio e sull’uomo. E ci consentirà di non essere specialisti in quel «cristianesimo fai da te», che oggi è molto di moda nelle nostre comunità e che, in definitiva, ci pone al di sopra di Dio stesso; come anche di superare la sostanziale dissociazione ed estraneità tra la fede professata nella comunità ecclesiale e la vita quotidiana, condotta in famiglia, al lavoro o a scuola, durante il tempo libero e nel divertimento, come nei rapporti sociali e politici.

Lo Spirito stimola la Chiesa ad uscire dalle mura della paura. È tale la bellezza dell’Uomo Nuovo e la dolcezza del suo Amore, che non possiamo trattenerci dal comunicarli a tutti. Proprio per questo, cari giovani, ripensando alla straordinaria esperienza del Sinodo: a) riproponetevi di essere protagonisti della sinodalità, non tanto come una teoria ecclesiale, bensì come uno stile di vita, di ascolto dei vostri pastori, di collaborazione cordiale, di servizio reciproco, di amore convergente nella cura dei più giovani, vicini e lontani: siate disponibili per Cristo, per la Chiesa intera, oltre che per la società; b) decidete di riunirvi quanto prima per individuare, assieme ai vostri presbiteri, diaconi e religiosi, le comunità senza la presenza residenziale di un sacerdote, senza attività formative con e per i giovani, e così chiedetevi che cosa la pastorale vocazionale e giovanile potrà pensare, progettare e mettere in campo: siate protagonisti di una pastorale che non è di conservazione ma innovazione della presenza ecclesiale tra i giovani, perché diventino cristiani consapevoli, sale della terra e luce del mondo; c) rendetevi disponibili per completare la vostra formazione cristiana, dal punto di vista spirituale e culturale, nella convinzione che la vita in Cristo vi dona più capacità di incarnare le esigenze del Vangelo dentro gli stili di vita odierni. L’essere e l’agire nel mondo non è solo presenza dal punto di vista sociologico ma primariamente presenza con Cristo, in Cristo, per Cristo; d) mettetevi generosamente a disposizione per l’attuazione degli orientamenti approvati da voi stessi nel Sinodo. Non domandatevi che cosa gli altri possono e debbono fare, bensì chiedetevi che cosa voi potete fare per la vostra comunità e per i giovani.

Diventate, dunque, annunciatori e testimoni credibili di Cristo, formatori di formatori, Chiesa giovane per i giovani, ponti tra le varie generazioni di credenti nelle vostra comunità, nella catechesi, nella pastorale integrata, nelle varie istituzioni ecclesiali e civili. Se vi chiedono di entrare a far parte dei Consigli delle varie Istituzioni non esitate ad accettare. Dio vi benedica e la Beata Vergine delle Grazie vi accompagni.

Nell’Eucarestia che celebriamo un grazie a tutti.

+ Mario Toso

La Finanza a Servizio Della Democrazia E Del Bene Comune

Bologna, 24 maggio 2019

Premessa: abbiamo bisogno di sistemi economico-finanziari a servizio dello sviluppo integrale e sostenibile, della democrazia in tutto il mondo

Per comprendere meglio il senso e la cogenza del Documento in esame sono utili alcune premesse.[1] Oggi la democrazia è posta fortemente in crisi come democrazia sostanziale a motivo soprattutto del mercatismo imposto dal capitalismo globale e della sua radicalizzazione individualistica. Le seduzioni individualistiche ed utilitaristiche del modello neoliberista riducono l’ideale della libertà per tutti a libertà per pochi, approdando alla democrazia di un terzo, vale a dire di una parte circoscritta, la più abbiente, dei cittadini. Il capitalismo che ha arrecato indubbi vantaggi a quei popoli più poveri, che hanno saputo cogliere le opportunità offerte dal mercato internazionale, diventando capitalismo finanziarizzato, con i suoi aspetti negativi, danneggia gravemente la vita sociale e la stessa economia produttiva, portando i sistemi democratici a mostrare la corda, stressandoli con un progressivo ridimensionamento dei diritti sociali ed economici dei cittadini. Se l’attuale sistema finanziario e monetario non verrà profondamente riformato avrà influssi devastanti sulla democrazia sostanziale perché le impedirà di realizzare la giustizia sociale. Senza giustizia sociale la democrazia si indebolisce, non riesce ad affrontare le diseguaglianze, non può realizzare la solidarietà e la inclusività, specie dei poveri. Se si vorrà trovare una via di uscita allo sfinimento di una democrazia rappresentativa, partecipativa, deliberativa, solidale, inclusiva, ossia ad una democrazia di bassa intensità, bisognerà: a) che siano superate le dottrine economiche neoliberistiche, che ancora oggi conferiscono al mercato, all’economia e alla finanza un’autonomia quasi assoluta rispetto alla politica e al connesso bene comune; b) sarà necessaria una riforma della finanza, per poter usufruire di quel bene pubblico che sono i mercati liberi, stabili, trasparenti, «democratici», non oligarchici, bensì funzionali alle imprese, ai lavoratori, alle famiglie, alle comunità locali, al bene comune, all’ecologia integrale. Negli ultimi anni, purtroppo, in assenza di una seria regolamentazione la tendenza dei mercati finanziari si è orientata automaticamente verso l’oligopolio anziché verso la concorrenza; c) l’instaurazione di un’economia inclusiva – precondizione di una democrazia altrettanto inclusiva, non potendo concretizzarsi una democrazia politica senza una «democrazia economica»  −, mediante l’irrobustimento di un’economia di mercato funzionale al bene comune nazionale e mondiale. E, pertanto, popolata, come ha illustrato l’enciclica Caritas in veritate (=CIV) di Benedetto XVI della quale ricorre il decimo anniversario della promulgazione,[2] da un’imprenditorialità plurivalente (imprese profit, finalizzate al profitto; imprese non profit, non finalizzate al profitto; e un’area intermedia tra queste),[1] coadiuvata da leggi giuste, da un’attività redistributiva da parte della politica, da un’economia animata in tutte le sue fasi dalla giustizia (cf CIV n. 37), dai principi della fraternità e della gratuità, dalla logica del dono, che diffondono e alimentano la solidarietà e la responsabilità sociale nei confronti delle persone e dell’ambiente, sollecitando una forma di profonda democrazia economica (cf CIV 39).

Purtroppo oggi l’economia e la democrazia sono influenzate negativamente mediante la costituzione di monopoli e di oligarchie che si sono formati talvolta anche con la complicità della stessa politica, come è stato per il caso della finanza. Questa, ha gradualmente  partorito un’autocrazia, a motivo dell’abolizione del Glass-Steagall Act nel 1999 (prima negli USA, poi, negli anni successivi, in Europa e nel resto del mondo), basato sul principio di separazione della banca produttiva dalla banca speculativa. Togliendo la separazione le banche hanno unito in sé l’attività produttiva e l’attività speculativa, giungendo ad utilizzare i risparmi raccolti – prima utilizzabili solo per finanziare l’attività produttiva – in operazioni speculative, mettendoli in serio pericolo. Si aggiunga che all’autonomizzazione del sistema finanziario e allo sviluppo vertiginoso della massa finanziaria, con un’intossicazione a largo raggio del mercato, creando difficoltà sistemiche, ha contribuito pure il cambio di finalità dei contratti cosiddetti «derivati», originariamente di natura assicurativa, in contratti con finalità speculativa. La finanza è divenuta una superpotenza, che non ha confini, non ha regole, non conosce diritti diversi dai suoi, sostiene e sovvenziona in tutte le sedi il suo totalitario «pensiero» mercatista. La sua «cultura» dominante, improntata al neoindividualismo libertario, e che non è soggetta a corti di giustizia,  tende ad influenzare e a tenere sotto controllo le democrazie, rendendole funzionali al suo sistema, indebolendole, come già detto, sempre di più sul piano sociale e della sovranità democratica. Facendo credere, fra l’altro, che il prodotto interno lordo non si fa con l’impresa e con il lavoro, ma con la speculazione. La finanza autocratica comanda su tutti: sugli Stati, sui popoli, sui governi, determinando talora il loro ordine del giorno. Se i titoli tossici, ovvero i mutui subprime cartolarizzati,[3] che sono stati tra le cause principali della recente crisi finanziaria, iniziata nel 2007-2008, non sono stati del tutto metabolizzati, ed anzi continuano ad essere prodotti, significa che i fondamentali del sistema finanziario non sono stati cambiati o profondamente riformati. Significa che il nostro mondo economico si trova sempre in una situazione di possibili bolle speculative che possono generare, da un momento all’altro, una nuova crisi finanziaria, con gravi danni per la giustizia sociale e la democrazia.

 

  1. Genesi, natura, obiettivi di «Oeconomicae et pecuniariae quaestiones». Un documento promulgato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

La crescente rilevanza, da una parte, della finanza contemporanea per lo sviluppo integrale e sostenibile, per la stessa democrazia dei popoli e il bene comune della famiglia umana, ma anche, dall’altra parte, la perdurante dannosità e pericolosità di un sistema economico-finanziario mondiale lasciato in balia dell’idolatria del profitto per il profitto; il pressante magistero sociale degli ultimi pontefici, specie di papa Benedetto XVI[4] e di papa Francesco;[5] la riflessione, in particolare, del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace;[6] hanno indotto la Congregazione per la Dottrina della Fede e il Dicastero per il Servizio Umano Integrale a promulgare il Documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones (=OEPQ), il 17 maggio 2018.

È da rilevare subito che si tratta del frutto di un lavoro congiunto tra Congregazione e il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Ciò sta a significare l’importanza del pronunciamento che avviene sia con l’avallo della Congregazione per la Dottrina della fede che impegna la sua autorevolezza e competenza su un tema prettamente morale, di Dottrina sociale della Chiesa, sia con l’approvazione di Papa Francesco – al termine del documento si legge, infatti: «Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa al sottoscritto Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede [ovvero S. Ecc. Mons. Giacomo Morandi], ha approvato queste Considerazioni, decise nella Sessione Ordinaria di questo Dicastero, e ne ha ordinato la pubblicazione» -, per cui il testo entra nel Magistero pontificio ordinario.

Il sottotitolo Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario ne evidenzia l’obiettivo e la natura.

Circa l’obiettivo, al n. 18 del Documento si trova scritto: «Allo scopo di offrire concreti e specifici orientamenti etici a tutti gli agenti economici e finanziari – da cui proviene sempre più una richiesta in tal senso – si intendono ora formulare alcune puntualizzazioni, in vista di un discernimento che tenga aperte le vie verso ciò che rende l’uomo davvero uomo e gli impedisca di mettere a repentaglio la sua dignità ed il bene comune». In sintesi, il Documento vuol’essere uno strumento per il discernimento a servizio di un nuovo pensiero e di una nuova progettualità sulla finanza, elaborati alla luce di una visione integrale dell’uomo e del bene comune. In particolare, il Documento sulla nuova finanza, come affermato nella nota 35, intende proseguire nella scia del discernimento compiuto dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace con le riflessioni intitolate Per una riforma  del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale.[7]

Non siamo di fronte ad una sorta di esortazione apostolica o ad un testo di taglio solo pastorale. In esso troviamo «un’analisi scientificamente fondata delle cause remote dei disordini e dei guasti che l’architettura dell’attuale sistema finanziario va determinando».[8] Non, dunque, una mera descrizione, sia pure puntuale ed accurata, degli effetti generati da una nuova finanza diventata, nel corso degli ultimi decenni, autoreferenziale, finalizzata cioè a se stessa, anziché servire il bene comune.

Merita che sia sottolineato che la riflessione offerta dal Documento appartiene all’ambito della teologia morale, comprensiva di una fondazione razionale e di un’antropologia che tengono unite tutte le attività umane, compresa quella relativa alla finanza, con l’etica, con un sapere sapienziale. La Chiesa si occupa della finanza perché ciò le è stato affidato da Gesù Cristo il quale, incarnandosi, redime l’uomo nella sua integralità e ricapitola in sé tutte le cose (cf Ef 1, 10), rinnovandole, rendendole più umane. La comunità cristiana riceve dal Signore Gesù la missione di redimere e di trasfigurare tutto l’uomo e tutte le sue attività vivendo in esse la Carità di Cristo, il suo Amore pieno di verità. Facendoli propri, riconoscendoli come legge fondamentale di vita, i credenti instaurano ed annunciano, nell’ambito di ogni attività, il Regno di Dio. In tal modo, liberano ogni settore dell’agire umano dal peccato e dall’egoismo, fortificando in esso il retto orientamento della ragione, la legge morale.[9]

Connessi con la lettura teologica della finanza sono tre i pilastri di una nuova finanza:

  1. un’antropologia diversa e nuova rispetto a quella oggi dominante, che appare neoindividualista, libertaria ed utilitarista, e che finisce per produrre, come ebbe a sottolineare papa Francesco, senza mezzi termini, un’economia che scarta, non include, anzi uccide. L’antropologia che regge una finanza nuova dev’essere, come si legge nei numeri 9 e 10, relazionale, razionale, comunionale e trascendente. Ecco, infatti, quanto troviamo scritto nel numero 9: «[…] senza un’adeguata visione dell’uomo non è possibile fondare né un’etica né una prassi all’altezza della sua dignità e di un bene che sia realmente comune. Di fatto, per quanto si proclami neutrale o avulsa da ogni concezione di fondo, ogni azione umana – anche in ambito economico – implica comunque una comprensione dell’uomo e del mondo, che rivela la sua positività o meno attraverso gli effetti e lo sviluppo che produce. In questo senso, la nostra epoca ha rivelato il fiato corto di una visione dell’uomo individualisticamente inteso, prevalentemente consumatore, il cui profitto consisterebbe anzitutto in una ottimizzazione dei suoi guadagni pecuniari. La persona umana possiede infatti peculiarmente un’indole relazionale ed una razionalità alla perenne ricerca di un guadagno e di un benessere che siano interi, non riducibili ad una logica di consumo o agli aspetti economici della vita». Nel n. 10 si legge ancora: «È facile scorgere i vantaggi derivanti da una visione dell’uomo inteso come soggetto costitutivamente inserito in una trama di relazioni che sono in sé una risorsa positiva. Ogni persona nasce all’interno di un ambito familiare, vale a dire già all’interno di relazioni che la precedono, senza le quali sarebbe impossibile il suo stesso esistere. Essa sviluppa poi le tappe della sua esistenza sempre grazie a legami che attuano il suo porsi nel mondo come libertà continuamente condivisa. Sono proprio questi legami originari che rivelano l’uomo come essere relazionato ed essenzialmente connotato da ciò che la Rivelazione cristiana chiama “comunione”. Questo originario carattere comunionale, mentre evidenzia in ogni persona umana una traccia di affinità con quel Dio che lo crea e che lo chiama ad una relazione di comunione con sé, è anche ciò che lo orienta naturalmente alla vita comunitaria, luogo fondamentale per la sua compiuta realizzazione. Proprio il riconoscimento di questo carattere, come elemento originariamente costitutivo della nostra identità umana, consente di guardare agli altri non anzitutto come a potenziali concorrenti, bensì come a possibili alleati nella costruzione di un bene che non è autentico se non riguarda tutti e ciascuno nello stesso tempo. Tale antropologia relazionale aiuta l’uomo anche a riconoscere la validità di strategie economiche che mirino anzitutto alla qualità globale della vita raggiunta, prima ancora che all’accrescimento indiscriminato dei profitti, ad un benessere che se vuole essere tale è sempre integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Nessun profitto è infatti legittimo quando vengono meno l’orizzonte della promozione integrale della persona umana, della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri. Sono questi tre principi che si implicano e richiamano necessariamente l’un l’altro nella prospettiva della costruzione di un mondo che sia più equo e solidale».
  2. Il principio secondo cui etica e finanza non possono continuare a vivere in sfere separate (cf nn. 7-12), come se fosse possibile una doppia etica. Occorre rigettare la tesi secondo cui la sfera dell’economia va tenuta separata sia dalla sfera dell’etica sia da quella della politica. Si tratta di superare definitivamente la cosiddetta tesi del NOMA (Non Overlapping Magisteria), formulata in economia nel 1829 da Richard Whateley, cattedratico all’Università di Oxford e vescovo della Chiesa anglicana. Nella dottrina sociale della Chiesa ciò è stato sollecitato dai tempi della crisi economica provocata dal crollo della Borsa di New York (1929), nel secolo scorso: tra ordine economico e ordine morale, secondo l’enciclica Quadragesimo anno del 1931 (= QA, n. 42), non esiste estraneità; tra di essi c’è connessione sebbene siano ordini distinti; l’etica riguarda l’economia perché questa è attività umana e come ogni attività umana è retta dalla legge morale.[10] Dopo la crisi economica di inizio di questo secolo (2007-2008), che ha ampiamente fatto toccare con mano come le imprese che  disprezzano l’etica falliscono, la Caritas in veritate di Benedetto XVI ha chiaramente affermato che «la sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all’attività dell’uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente».[11] Lo stesso papa Benedetto evidenzia che l’attività economica, proprio perché espressione dell’uomo non può prescindere dalla gratuità, che assume ed alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti ed attori.[12] Ogni realtà ed attività umana, afferma il Documento in esame, sulla scia della morale economica indicata dal Magistero sociale, se vissute nell’orizzonte di un’etica adeguata, cioè nel rispetto della dignità umana ed orientandosi al bene comune, sono positive.
  3. Con quanto appena affermato si allude al terzo pilastro della nuova finanza, anch’esso segnalato dal Documento e che qui esplicitiamo anche nelle sue connotazioni ecologiche.[13] Si tratta del grande principio morale rappresentato dallo sviluppo integrale e sostenibile, che potrebbe anche essere chiamato principio dell’ecologia integrale. Quest’ultimo, infatti, non è nient’altro se non il primo principio morale proposto da san Paolo VI nella Populorum progressio, ma riletto e riformulato dalla Laudato si’ di papa Francesco, tenuto conto della attuale questione ambientale. Un tale primo principio morale universale, secondo il Documento, consente di valutare la qualità umana ed etica dell’attuale sistema economico-finanziario, nei suoi agenti singoli e collettivi, negli intenti, nei mezzi, nelle istituzioni, negli effetti e nelle esternalità. In particolare, un tale principio primo permette di offrire una valutazione etica della finanza, delle azioni degli agenti, dell’uso degli strumenti finanziari, delle conseguenze con riferimento alla dignità delle persone e dei popoli, al bene comune, all’ecologia integrale. Dalla considerazione del suddetto primo principio, relativamente alla realtà della economia e della finanza, derivano orientamenti etici, ad esempio: 1) per il benessere: esso non si riduce al solo parametro economico, ma include altri parametri, quali ad esempio la sicurezza, la salute, la crescita del “capitale umano”, la qualità della vita sociale e del lavoro, la salvaguardia dell’ambiente; 2) per la libertà economica: se intesa in modo assoluto, staccata dalla verità e dal bene, genera centri di supremazia ed inclina verso forme di oligarchia finanziaria che nuocciono alla stessa efficienza del sistema economico; 3) per gli agenti economici e politici: la loro alleanza  è fondamentale per garantire che l’uso dei networks economico-finanziari, che agiscono sul piano nazionale e sovranazionale, sia a servizio del bene comune, dell’ecologia integrale; 4) per i mercati e la loro «sanità», per il loro svolgimento e la correzione dei loro effetti negativi sulla società e sull’ambiente: essi non sono una realtà per sé negativa; anzi, se orientati al servizio delle persone, delle famiglie, delle imprese, delle amministrazioni comunali, del bene comune, sono realtà buone, sono da considerare beni pubblici, in quanto mercati liberi, stabili, trasparenti, “democratici” (non oligarchici), ministeriali alla crescita integrale delle persone, delle famiglie, dei giovani che cercano lavoro, delle imprese, delle amministrazioni; 5) per gli strumenti dell’industria finanziaria: alcuni strumenti finanziari, di per sé leciti, in una situazione di asimmetria, possono diventare una speculazione illecita; 6) per la  finanziarizzazione del mondo imprenditoriale: la rendita da accumulazione di capitale può divorare il reddito da lavoro, con grave danno per i lavoratori, per le famiglie; 7) per il denaro: può essere usato contro l’uomo, da mezzo può diventare fine; 8) per il credito: applicare tassi di interesse eccessivamente alti è un’operazione illegittima e dannosa per la «sanità» del sistema economico; 9) per la speculazione: essa non è un male in sé, lo diviene, ad esempio, quando provoca artificiosi ribassi dei prezzi di titoli del debito pubblico.
  4. Altri orientamenti pratici

Sulla base dei grandi pilastri sopraesposti, il Documento offre alcuni orientamenti pratici volti alla liberazione e all’umanizzazione dei sistemi economico-finanziari:

  • Il potenziamento – in vista della certificazione dei nuovi prodotti finanziari e di mercati «sani» ossia protetti da intossicazioni provocate da strumenti economico-finanziari non affidabili, che mettono in pericolo la diffusione della ricchezza per tutti -, del coordinamento sovra-nazionale fra le diverse architetture dei sistemi finanziari locali (cf n. 19);
  • L’assicurazione della biodiversità economico-finanziaria, mediante politiche economico-finanziarie efficaci nell’assecondare la pluralità di soggetti e strumenti sani, ma anche nell’ostacolare tutti coloro che intendono deteriorare la funzionalità del sistema che produce e diffonde ricchezza (cf n. 20);
  • La regolazione, mediante solidi e robusti orientamenti, sia macro-prudenziali che normativi, dei mercati caratterizzati da una dimensione sovranazionale, i quali non devono essere lasciati ingenuamente a se stessi – i mercati dimostrano che non sono in grado di regolarsi da sé -, ma devono essere finalizzati alla realizzazione del bene comune, che è di tutti e non per pochi (cf n. 21);
  • un coordinamento stabile, chiaro ed efficace fra le varie autorità nazionali (che devono rimanere autonome) di regolazione dei mercati in vista della trasparenza dei mercati, di ciò che negoziano, nonché del superamento della concentrazione asimmetrica delle informazioni e del potere (cf n. 21);
  • una chiara definizione e separazione, per gli intermediatori bancari di credito, dell’ambito dell’attività di gestione del credito ordinario e del risparmio da quello destinato all’investimento e al mero business: il risparmio, specie quello familiare, è un bene pubblico da tutelare (cf n. 22);
  • la responsabilità sociale delle imprese finanziarie sia ad intra sia ad extra. In vista di ciò è necessario che nelle business schools cresca l’idea che l’etica è intrinseca all’attività imprenditoriale (cf n. 23);
  • l’istituzione all’interno delle banche di Comitati etici accanto ai Consigli di Amministrazione (cf n. 24);
  • convenienti dotazioni patrimoniali da parte delle banche, di modo che un’eventuale socializzazione delle perdite sia il più possibile limitata e ricada soprattutto su coloro ne sono stati effettivamente responsabili (cf n. 24);
  • una pubblica regolazione e valutazione supra partes dell’operato delle agenzie di rating del credito (cf n. 25);
  • controllo dei contratti assicurativi del rischio da fallimento, ossia dei credit default swap (CDS). Il diffondersi senza adeguati limiti di tale tipo di contratti favorisce il crescere di una finanza dell’azzardo e della scommessa sul fallimento altrui (cf n. 26);
  • la regolamentazione dei sistemi bancari collaterali (shadow banking system) e dei paradisi fiscali (cf n. 29);
  • una minima tassa sulle transazioni compiute offshore per risolvere buona parte dei problemi della povertà, della fame (cf n. 31);
  • la riduzione del debito pubblico accumulato dai Paesi meno sviluppati, aggravato da quei paradisi fiscali che favoriscono i cittadini che non pagano le tasse e scaricano passivi economici sulle spalle del sistema pubblico: pur mettendo ogni Paese di fronte alle sue ineludibili responsabilità, occorre anche consentire e favorire delle ragionevoli vie di uscita dalle spirali del debito, non mettendo sulle spalle degli Stati degli oneri che di fatto risultano insostenibili (cf n. 32). Ciò anche mediante politiche di ragionevole e concordata riduzione del debito pubblico, specie quando questo è detenuto da soggetti di tale consistenza economica da essere in grado di offrirla.[14]
  • La responsabilità dei cittadini (cf n. 33). Non tutto dipende da entità che superano le capacità degli individui e agiscono fuori dal nostro controllo. Questo significa che abbiamo a nostra disposizione strumenti importanti per contribuire alla soluzioni di tanti problemi anche sul piano monetario e finanziario. «Tutto ciò di cui abbiamo parlato finora non è soltanto opera di entità che agiscono fuori dal nostro controllo ma ricade anche nella sfera delle nostre responsabilità. Questo significa che abbiamo a nostra disposizione strumenti importanti per poter contribuire alla soluzione di tanti problemi. Ad esempio, i mercati vivono grazie alla domanda ed all’offerta di beni: a questo proposito, ciascuno di noi può influire in modo decisivo almeno nel dar forma a quella domanda. Risulta pertanto quanto mai importante un esercizio critico e responsabile del consumo e dei risparmi. Fare la spesa, impegno quotidiano con cui ci dotiamo anzitutto del necessario per vivere, è altresì una forma di scelta che operiamo fra i vari prodotti che il mercato offre. É una scelta con cui optiamo sovente in modo non consapevole per beni la cui produzione avviene magari attraverso filiere in cui è normale la violazione dei più elementari diritti umani o grazie all’opera di aziende la cui etica di fatto non conosce altri interessi al di fuori di quelli del profitto ad ogni costo dei loro azionisti. Occorre orientarci alla scelta di quei beni alle cui spalle sta un percorso degno dal punto di vista etico, poiché anche attraverso il gesto, apparentemente banale, del consumo noi esprimiamo nei fatti un’etica e siamo chiamati a prendere posizione di fronte a ciò che giova o nuoce all’uomo concreto. Qualcuno ha parlato a questo proposito di “voto col portafoglio”: si tratta infatti di votare quotidianamente nei mercati a favore di ciò che aiuta il benessere reale di noi tutti e di rigettare ciò che ad esso nuoce.[15]
  • la gestione dei propri risparmi, indirizzandoli, ad esempio, verso quelle aziende che operano con chiari criteri, ispirati ad un’etica rispettosa di tutto l’uomo e di tutti gli uomini ed in un orizzonte di responsabilità sociale.
  • Più in generale, ciascuno è chiamato a coltivare pratiche di produzione della ricchezza che siano consone alla nostra indole relazionale e protese ad uno sviluppo integrale della persona.
  • Non rimanere da soli a lottare. Unirsi agli altri. Davanti all’imponenza e pervasività degli odierni sistemi economico-finanziari, potremmo essere tentati di rassegnarci al cinismo ed a pensare che con le nostre povere forze possiamo fare ben poco. In realtà, ciascuno di noi può fare molto, specialmente se non rimane solo. Numerose associazioni provenienti dalla società civile rappresentano in tal senso una riserva di coscienza e di responsabilità sociale di cui non possiamo fare a meno. Oggi più che mai, siamo tutti chiamati a vigilare come sentinelle della vita buona ed a renderci interpreti di un nuovo protagonismo sociale, improntando la nostra azione alla ricerca del bene comune e fondandola sui saldi principi della solidarietà e della sussidiarietà. Ogni gesto della nostra libertà, anche se può apparire fragile ed insignificante, se davvero orientato al bene autentico, si appoggia a Colui che è Signore buono della storia, e diviene parte di una positività che supera le nostre povere forze, unendo indissolubilmente tutti gli atti di buona volontà in una rete che collega cielo e terra, vero strumento di umanizzazione dell’uomo e del mondo (nn. 33-34).

 

  1. Conclusione: ulteriori passi da compiere

Come rileva lo stesso Documento  al n. 5: «La recente crisi finanziaria poteva essere l’occasione per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria, neutralizzandone gli aspetti predatori e speculativi e valorizzandone il servizio all’economia reale. Sebbene siano stati intrapresi molti sforzi positivi … non c’è stata però una reazione che abbia portato a ripensare quei criteri obsoleti che continuano a governare il mondo». Con ciò rimangono in piedi tutti i rischi di una nuova crisi finanziaria mondiale, in tutta la sua drammaticità e negatività per i popoli e la democrazia. Occorre, dunque, pensare ad una seria ricezione del Documento anzitutto nei vari ambienti ove si punta alla formazione di una nuova cultura finanziaria, ossia nelle università e nelle istituzioni culturali, perché nei vari curricula sia approfondito e sviluppato nelle sue linee antropologiche ed etiche. Esso deve diventare fermento di nuove prassi, aiutando a superare l’ideologia mercantilistica oggi prevalente. In secondo luogo, è senz’altro indispensabile che sia capovolto l’attuale primato della finanza sulla politica, un primato che sminuisce ed erode la sovranità dei popoli. Dev’essere, cioè, recuperato il primato della politica sull’economia e sulla finanza. In vista di ciò va proseguita la riflessione e la riforma dell’attuale capitalismo finanziario, fondamentalmente speculativo, che attraverso le grandi «famiglie» bancarie e le grandi corporazioni industriali – quest’ultime in gran parte proprietarie delle prime -, domina e controlla il mondo. All’attuale oligopolio finanziario mondiale non corrisponde un’autorità politica altrettanto mondiale, democratica, strutturata in termini di sussidiarietà e di poliarchia, che lo possa regolamentare efficacemente al servizio del bene comune della famiglia umana. La Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, sulla cui scia si è posto il Documento,[16] è parsa più esplicita e sollecitante in merito alla riforma dell’architettura economica e finanziaria internazionale, congiuntamente a quella dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.[17]

+ Mario Toso

Vescovo di Faenza-Modigliana

 

[1] Cf Congregazione per la Dottrina della Fede-Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario (=OEPQ), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018.

 

 

[2] Cf BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009.

[3] «Alcuni prodotti finanziari, fra cui i cosiddetti “derivati”, sono stati creati – si legge nel Documento in esame – allo scopo di garantire un’assicurazione sui rischi inerenti a determinate operazioni, spesso contenenti anche una scommessa effettuata sulla base del valore presunto attribuito a quei rischi. Alla base di tali strumenti finanziari stanno contratti in cui le parti sono ancora in grado di valutare ragionevolmente il rischio fondamentale su cui ci si vuole assicurare. Tuttavia, per alcune tipologie di derivati (in particolare le cosiddette cartolarizzazioni o securitizations) si è assistito al fatto che a partire dalle strutture originarie, e collegate ad investimenti finanziari individuabili, venivano costruite strutture sempre più complesse (cartolarizzazioni di cartolarizzazioni), in cui è assai difficile – dopo varie di queste transazioni, quasi impossibile – stabilire in modo ragionevole ed equo il loro valore fondamentale. Ciò significa che ogni passaggio, nella compravendita di questi titoli, al di là del volere delle parti, opera di fatto una distorsione del valore effettivo di quel rischio da cui invece lo strumento dovrebbe tutelare. Tutto questo ha quindi favorito il sorgere di bolle speculative, le quali sono state importanti concause della recente crisi finanziaria. È evidente che l’aleatorietà sopravvenuta di questi prodotti – la dissolvenza crescente della trasparenza di ciò che assicurano – che nell’operazione originaria ancora non emerge, li rende sempre meno accettabili dal punto di vista di un’etica rispettosa della verità e del bene comune, poiché li trasforma in una sorta di ordigni ad orologeria, pronti a deflagrare prima o poi la loro inattendibilità economica e ad intossicare la sanità dei mercati. Si verifica qui una carenza etica che diviene tanto più grave quanto più tali prodotti sono negoziati sui cosiddetti mercati non regolamentati (over the counter) – esposti più dei mercati regolamentati all’azzardo, quando non alla frode – e sottraggono linfa vitale ed investimenti all’economia reale. Simile valutazione etica può essere effettuata anche nei confronti di quegli utilizzi dei credit default swap (CDS: i quali sono particolari contratti assicurativi del rischio da fallimento) che permettono di scommettere sul rischio di fallimento di una terza parte anche a chi non ha già assunto in precedenza un rischio di credito, e addirittura di reiterare tali operazioni sul medesimo evento, la qual cosa non è assolutamente consentita dai normali patti di assicurazione. Il mercato dei CDS, alla vigilia della crisi finanziaria del 2007, era così imponente da rappresentare all’incirca l’equivalente dell’intero PIL mondiale. Il diffondersi senza adeguati limiti di tale tipo di contratti, ha favorito il crescere di una finanza dell’azzardo e della scommessa sul fallimento altrui, che rappresenta una fattispecie inaccettabile dal punto di vista etico» (OEPQ n. 26).

[4] Basti anche solo pensare alla Caritas in veritate (=CIV) ove si prende seriamente in considerazione il problema della finanza moderna non come un problema di semplice ingegneria strutturale ed istituzionale bensì come un problema di risemantizzazione. Per l’enciclica di papa Benedetto si tratta di un problema eminentemente antropologico ed etico. Solo ricollocando le attività finanziarie e monetarie nel complesso delle altre attività umane, ossia nel pleroma delle molteplici finalità della persona, è possibile recuperarne il vero significato, la giusta valenza etica. Vale a dire, solo considerando l’insieme dei beni che l’uomo deve conseguire non in una maniera disarticolata, ma in ordine al compimento in Dio,  si può comprendere quanto gli attuali sistemi finanziari e monetari, che tendono ad ergersi ad assoluto e a subordinare a sé  l’economia reale e a «mercantilizzare» la politica, siano distorti e potenzialmente distruttivi per la civiltà, la democrazia e la famiglia umana.

[5] Sono punti di riferimento imprescindibile l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, ove al n. 49 si afferma che il denaro deve servire non governare e l’enciclica Laudato si’, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, specie al n. 189.

[6]Cf Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011. Non è la prima volta che il Pontificio Consiglio affronta tematiche relative all’economia e alla finanza. Basti anche solo pensare a: ID., Un nuovo patto finanziario internazionale 18 novembre 2008. Nota su finanza e sviluppo in vista della Conferenza promossa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Doha, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2009. Prima ancora si era interessato delle ricorrenti crisi finanziarie e della necessità di nuove istituzioni, con le seguenti pubblicazioni: Antoine de Salins-François Villeroy de Galhau, Il moderno sviluppo delle attività finanziarie alla luce delle esigenze etiche del cristianesimo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994; Social and Ethical Aspects of Economics, Atti relativi al I Seminario di economisti organizzato il 5 novembre 1990 presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Vatican Press, Vatican City 1992; World Development and Economic Institutions, Atti del II Seminario di economisti organizzato il 4 gennaio 1993, Vatican Press, Vatican City 1994. Entrambi i Seminari sono stati realizzati grazie alla collaborazione degli esperti, proff. Ignazio Musu e Stefano Zamagni, consultori del Pontificio Consiglio. Per una prima lettura delle Riflessioni del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sulla riforma dei sistemi finanziari e monetari, si legga: P. Foglizzo, Nuovi orizzonti per la finanza internazionale. Le proposte del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in «Aggiornamenti sociali», anno 63 (febbraio 2012), n. 2, pp. 117-125. Strumenti di divulgazione e di approfondimento delle Riflessioni sono: Comisión General «Justicia y Paz» de España, Por una reforma del sistema financiero y monetario internacional, Caritas Española Editores, Madrid 2012; Commission Justice et Paix Belgique Francophone, Quelle maîtrise politique des activités commerciales et financières mondiales? Réflexions consécutives à la pubblication (2011) par le Conseil Pontifical «Justice et Paix» du document «Pour une réforme du système financier et monétaire International dans la perspective d’une autorité publique à compétence universelle», Bruxelles 2013.

[7] Cf Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Nota per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011. A fronte della crisi e della recessione in atto, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, sulla base della propria mission e in occasione  del G20 a Cannes (3-4 novembre 2011), ha pensato di prospettare, in maniera più articolata, l’orientamento generale offerto dalla Caritas in veritate (=CIV), a proposito non solo dell’urgente necessità della riforma del sistema finanziario e monetario globale ma anche dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e dell’architettura economica e finanziaria internazionale – su questo punto specifico la Nota  del Pontificio Consiglio si differenzia maggiormente dal Documento in esame -, in vista della creazione di mercati liberi, stabili, trasparenti, «democratici», non oligarchici, ministeriali all’economia reale, alle imprese, ai lavoratori, alla famiglie, alle comunità locali, al bene comune. Muovendo dalla riflessione eminentemente teologica, antropologica ed etica della CIV, il Pontificio Consiglio rilevava il sovradimensionamento valoriale, l’autonomia senza limiti, l’incapacità di autoregolazione della nuova finanza.  Proponeva che ne fosse ripristinata l’identità e la funzionalità secondo la verità di un’autonomia non incondizionata, ma relativa alle persone e ai popoli, quali soggetto, fondamento e fine di esso. Nelle riflessioni della Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, i mercati finanziari  sono definiti «bene collettivo» (cf p. 20), «bene pubblico» (cf p. 29), perché costituiscono una delle condizioni fondamentali per la realizzazione del bene comune mondiale e dello sviluppo integrale ed inclusivo.

[8] S. ZAMAGNI, Verso una nuova finanza il cammino ora è segnato, in «Avvenire» (Martedì, 12 giugno 2018), p. 3.

[9] Cf Congregazione per la Dottrina della Fede-Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, nn.1-4.

[10] Cf M. TOSO, Welfare Society. La riforma del welfare: l’apporto dei pontefici, LAS, Roma 2003, pp. 78-79. Per la Chiesa non esiste separazione tra economia e morale. Esiste l’autonomia dell’economia, ma ciò non significa che questa sia totalmente autonoma rispetto all’ordine morale. L’economia sia come attività sia come scienza ha propri principi e leggi proprie ma essi sono connessi con l’ordine morale.

[11] BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 36.

[12] Cf ib., n. 38.

[13] Secondo l’attuale Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, ossia il professore Stefano Zamagni, nel Documento si attribuisce anche importanza al principio della responsabilità adiaforica, di cui quasi mai si parla. Il paragrafo 14 recita: «Inoltre, al di là del fatto che molti suoi operatori siano singolarmente animati da buone e rette intenzioni, non è possibile ignorare che oggi l’industria finanziaria, a causa della sua pervasività e della sua inevitabile capacità di condizionare e – in un certo senso – di dominare l’economia reale, è un luogo dove gli egoismi e le sopraffazioni hanno un potenziale di dannosità della collettività che ha pochi eguali». In sostanza, si fa riferimento qui ad una «struttura di peccato», come la chiamò, per primo nella Dottrina sociale della Chiesa, Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis del 1987. «Non è il solo operatore di borsa, o banchiere o uomo d’affari – scrive Zamagni – ad essere responsabile delle conseguenze delle azioni che pone in atto. Anche le istituzioni economiche, se costruite su premesse di valore contrario ad un’etica amica dell’uomo, possono generare danni enormi a prescindere dalle intenzioni di coloro che in esse operano» (S. ZAMAGNI, Verso una nuova finanza il cammino ora è segnato, in «Avvenire» [Martedì, 12 giugno 2018], p. 3).

[14] Cf Congregazione per la Dottrina della Fede-Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018, nn. 18-33.

[15] Come? Innanzitutto, prendendo coscienza, da parte dei cittadini-consumatori,  che dietro il sottocosto spesso si nasconde un sottosalario. In secondo luogo, informandosi sulle varie pagelle che vengono sempre più pubblicate circa la sostenibilità sociale ed ambientale delle multinazionali del cibo mondiale. Si tenga presente che in Italia sta invalendo l’uso di approntare liste di imprese che nel lavoro non usano il caporalato.

[16] Con quanto si propone qui non si intende affatto indicare un  Governo Mondiale Unico, un governo dispotico da parte di un Superstato, implicante la visione di un mondo ridotto ad unità produttiva, l’indebolimento degli Stati-Nazione e la loro sostituzione con una sovranità sopranazionale che li subordina a sé come ingranaggi di un sistema più vasto. Non si pensa ad un sincretismo cultural-religioso, ovvero una specie di religione cosmica-universale che rimpiazzi le diverse confessioni di fede e le rispettive culture, e che non intacchi la cultura tecnocratica dominante; e neppure ad una ONU come sistema o unica istituzione che impone le politiche sociali, economiche, culturali che permettano il dominio politico del mondo da parte del Potere finanziario transnazionale.

[17] Le varie istituzioni, comprese quelle internazionali, non possono adottare indifferentemente qualsiasi configurazione, proprio a motivo dell’«essenza» antropologica ed etica che deve caratterizzarle, «specificandole» rispetto al bene comune, ai principi di solidarietà e di sussidiarietà e ai valori democratici. Nella Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della pace, in particolare, oltre alla riforma dell’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite, si suggerisce anche quella delle Agenzie connesse, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, che, pur essendo nati con una vocazione e un mandato di governo della finanza, hanno fallito platealmente l’obiettivo della stabilità monetaria e del ridimensionamento significativo delle situazioni di povertà. Si suggerisce, inoltre, di innovare anche rispetto al «G8» e al «G20», e di procedere alla costituzione di banche centrali regionali, supportate da entità politiche corrispondenti. Secondo il Pontificio Consiglio, il processo di riforma delle istituzioni internazionali dovrebbe svilupparsi «avendo come punto di riferimento l’Organizzazione delle Nazioni Unite, in ragione dell’ampiezza mondiale delle sue responsabilità, della sua capacità di riunire le Nazioni della terra e della diversità dei suoi compiti e di quelle delle sue Agenzie specializzate. Il frutto di tali riforme dovrebbe essere una maggiore capacità di adozione di politiche e scelte vincolanti poiché orientate alla realizzazione del bene comune a livello locale, regionale e mondiale. Tra le politiche appaiono più urgenti quelle relative alla giustizia sociale globale: politiche finanziarie e monetarie che non danneggino i Paesi più deboli; politiche volte alla realizzazione di mercati liberi e stabili e ad un’equa distribuzione della ricchezza mondiale mediante anche forme inedite di solidarietà fiscale globale. Nel cammino della costituzione di un’Autorità politica mondiale non si possono disgiungere le questioni della governance (ossia di un sistema di semplice coordinamento orizzontale senza un’Autorità super partes) da quelle di un shared government (ossia di un sistema che, oltre al coordinamento orizzontale, stabilisca un’Autorità super partes) funzionale e proporzionato al graduale sviluppo di una società politica mondiale. La costituzione di un’Autorità politica mondiale non può essere raggiunta senza la previa pratica del multilateralismo, non solo a livello diplomatico, ma anche e soprattutto nell’ambito dei piani per lo sviluppo sostenibile e per la pace. A un governo sovranazionale non si può pervenire se non dando espressione politica a preesistenti interdipendenze e cooperazioni.

 

 

MEDIA E COSTRUZIONE DI UNA NUOVA EUROPA

Faenza, Chiesa di Santa Maria dell’Angelo, 17 maggio 2019

La costruzione dell’Europa non sarà mai un dono che piove dal cielo. Sarà soprattutto il frutto di una volontà tenace e di un metodo consapevole. Criticare l’Unione Europea è non soltanto legittimo, ma anche salutare. Le critiche, però, non debbono essere aprioristiche e pretestuose. Vanno mosse con misura e con giudizio, con un senso di realismo, prendendo coscienza che si è di fronte ad un bivio: o avanzare verso un’Europa politica unita, o regredire al livello di un coacervo di Stati nazionali, che vorrebbero essere forti come se l’Europa fosse unita, senza però cedere una minima parte della propria sovranità.

È abbastanza evidente che oggi il legame tra gli Stati europei si è indebolito e raffreddato, anche a causa del forte rallentamento della marcia verso quella democrazia politica, che Alexis de Tocqueville, nella sua opera La democrazia in America, divenuta un classico, chiama «l’uguaglianza delle condizioni». In definitiva, l’Unione europea è entrata in crisi, soprattutto perché è rimasta allo stadio di progetto incompiuto, essendo tuttora carente della sua parte più importante, e cioè della democrazia politica. Questa, fra l’altro, sul piano pratico e nell’immaginario collettivo, appare caratterizzata dalle derive di nazionalismi, populismi, leaderismi, neoliberismi individualistici e radicali, i quali al bene comune antepongono nuove ideologie, gruppi o interessi economici, l’idolatria della tecnica, del denaro e del potere.

Una democrazia politica europea, come anche ogni democrazia nazionale, presuppone l’unione morale di un popolo o, meglio, di un «noi»-di-popoli, senza cui resterebbe priva di anima propulsiva. Urge un popolo convintamente europeo, fondamentalmente unito.

Da un punto di vista valoriale, prima ancora di essere Unione dei mercati, l’Europa dovrebbe essere unione di popoli, ossia un noi-unione morale di persone-cittadini, protesi verso la realizzazione del bene comune. Detto diversamente, il fondamento dell’Europa politica non può che scaturire da una strutturazione o riorganizzazione della vita sociale di tipo personalista e relazionale, comunitaria, aperta alla trascendenza.

Il noi-di-popoli europeo, che oggi non bisogna tardare a formare e che, originariamente, è un «noi» di cittadini chiamati al bene comune, si caratterizza connaturalmente per il primato della politica rispetto al mercato e alla finanza, pur fondamentali rispetto alla concretizzazione dello stesso bene comune.

Se vi deve essere l’Europa dei mercati, non può assolutamente mancare l’Europa dei popoli, quale insieme di istituzioni sociali e politiche adeguate, ma soprattutto, quale unità spirituale e morale, che postula il primato delle persone, considerate nella loro intrinseca dignità e trascendenza.

È su questo piano che i mass media cattolici e di ispirazione cristiana hanno una missione intellettuale e pedagogica da compiere. E a questo sono resi atti qualora si lascino guidare da un Amore pieno di verità, il criterio fondamentale offerto dall’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, promulgata dieci anni fa nel prossimo mese di giugno. Solo un tale amore fa sì che la costruzione di una nuova Europa sia centrata sulla promozione della dignità dei popoli, delle persone, della loro fraternità, dei loro diritti e doveri, e della loro costitutiva trascendenza. Un Amore pieno di verità comanda il superamento di quell’individualismo libertario e neoutilitarista che oggi pare dominare l’ethos politico, e che porta inesorabilmente verso soluzioni conflittuali, anarchiche o dittatoriali, verso umanesimi senza Dio, disumani, non laici ma laicisti.

+ Mario Toso