Omelia per S. ANTONIO DI PADOVA

Faenza, chiesa di san Francesco 13 giugno 2019

  1. Cari fratelli e sorelle, ogni anno abbiamo la grazia di venerare sant’Antonio di Padova, un santo a tutti noi caro. Lo ricordiamo come santo popolare, amato in tutto il mondo. Non possiamo ignorare che egli seppe amare Dio sopra ogni cosa con un cuore ardente e, nello stesso tempo, mostrò l’amore di Dio alla gente, ai suoi fratelli e sorelle, ai più piccoli, con un impegno straordinario. I tanti miracoli da lui compiuti attestano quanto amasse la carne di Cristo, Cristo presente nei suoi fratelli. Antonio di Padova amava la gente ed era riamato da essa. In un momento storico in cui la Chiesa mostrava segni di decadenza, al pari di san Francesco, si dedicò a ripararla. Mentre nella Chiesa cresceva la confusione e la distanza tra l’autorità religiosa e i fedeli a motivo delle eresie e di una vita mondana diffusa tra i pastori di allora, egli si dedicò alla predicazione, alla formazione delle coscienze, all’accompagnamento spirituale: coltivava l’intelligenza dei credenti, confessava ore e ore, senza riposo e senza prendere cibo. Combatté le divisioni, i mali sociali del suo tempo, quali l’usura, la sopraffazione dei potenti sui deboli. E noi che facciamo? Ci impegniamo a rinnovare la Chiesa? Diamo come cosa normale che esista un cristianesimo solo proclamato ma non vissuto? Possiamo dirci cristiani anche quando non mettiamo in pratica il Vangelo o quando non pensiamo la nostra fede, ossia quando non la approfondiamo e non la comunichiamo?
  2. «Tutto intero ti devi a Lui», soleva ripetere e scrivere il Santo (S. Antonii Patavini, Sermones domenicales et festivi, Padova 1979, vol. II, p. 163): Antonio di Padova sin da giovane sentì forte il desiderio missionario con una dedizione totale nella risposta. L’amore di Dio e dei fratelli in Lui bruciò la sua breve – 36 anni – e intensissima esistenza. Come narrano gli antichi biografi: «morì per sfinimento di eccesso di lavoro e per scarso nutrimento e riposo». A Padova giunse nell’ultimo anno della sua vita (1231). La sua fu un’azione decisiva che segnò la rifondazione cristiana di Padova, la sua rinascita. Vi predicò la Quaresima, la prima Quaresima con predicazione quotidiana ininterrotta di cui si abbia memoria nella Chiesa d’Occidente, un’innovazione destinata ad avere uno sviluppo grandioso nei secoli successivi.

Domandiamoci: nell’annunciare Cristo nella nostra società, consumiamo anche noi la nostra vita? O siamo dei rassegnati, contenti di vivere una fede per noi stessi, per la nostra consolazione interiore e basta. Oppure: riteniamo che Cristo non abbia più nulla da dire alla nostra cultura? Non dovremmo, invece, pensare che Cristo è principio di trasfigurazione della vita, di una nuova cultura?

  1. Nella predicazione di Antonio, Carità e verità andavano insieme. Era dolce ed esigente nello stesso tempo. Perché? Egli pensava che il cristianesimo non può essere vissuto senza coltivare la verità sull’uomo e su Dio.
    Per Antonio, il cristianesimo senza la verità finisce per scadere in un sentimentalismo, in una semplice pratica che non cambia il cuore. L’amore cristiano diventa un guscio vuoto, che viene riempito arbitrariamente. Quando il cristianesimo è vissuto senza coltivare la verità sull’uomo e su Dio diventa preda delle emozioni e delle opinioni contingenti. La carità, ovvero l’amore cristiano, viene ridotto ad un umanitarismo generico e “neutrale”, che lascia in secondo piano la verità vivente e personale di Gesù Cristo. Antonio, che come Francesco ebbe una particolare predilezione per i poveri, prima ancora che dalla povertà di beni economici e di potere politico, fu colpito dalla povertà di sapere circa il senso della vita e il destino dell’uomo. E per combattere questa forma di povertà – intellettuale e spirituale – impiegò attivamente l’ultimo decennio della sua vita impegnandosi nel «dar ragione» del pensiero di Cristo ai suoi interlocutori.
  2. Il linguaggio dei miracoli è quello più familiare al Santo di tutto il mondo. Quanti miracoli ha compiuto. Ma il miracolo da lui privilegiato ed indicato sopra tutti i miracoli è Cristo risorto nel suo vero corpo, che sprigiona energia salvifica: Cristo incarnato nell’Eucaristia, fatto cibo per noi, per la nostra salvezza. Uniti a Cristo «veniamo guariti, esauditi. Finisce ogni miseria. Subito fuggono la morte, gli errori e le disgrazie. Gli ammalati si levano guariti, il mare si calma, le catene si rompono. I giovani e i vecchi … riacquistano l’uso delle membra, ritrovano le cose perdute. Svaniscono i pericoli. Raccontino queste cose quelli che le sanno; le dicano specialmente i padovani…» (traduzione del Si quaeris, Preghiera in onore di Sant’Antonio, composta nel 1233). Cari fratelli e sorelle, noi che non raramente desideriamo il miracolo, ricordiamo che il miracolo da ricercare sopra ogni cosa è il Cristo risorto, presente in mezzo a noi nell’Eucaristia, con il suo Spirito d’amore. Se il miracolo che chiediamo al Signore non giunge, associamoci al sacrificio di Gesù, alla sua morte e risurrezione. Avverrà il miracolo dei miracoli: una unione più profonda con la missione di Cristo, con le sue sofferenze. Completeremo in noi la sua redenzione.

+ Mario Toso