La Finanza a Servizio Della Democrazia E Del Bene Comune

Bologna, 24 maggio 2019

Premessa: abbiamo bisogno di sistemi economico-finanziari a servizio dello sviluppo integrale e sostenibile, della democrazia in tutto il mondo

Per comprendere meglio il senso e la cogenza del Documento in esame sono utili alcune premesse.[1] Oggi la democrazia è posta fortemente in crisi come democrazia sostanziale a motivo soprattutto del mercatismo imposto dal capitalismo globale e della sua radicalizzazione individualistica. Le seduzioni individualistiche ed utilitaristiche del modello neoliberista riducono l’ideale della libertà per tutti a libertà per pochi, approdando alla democrazia di un terzo, vale a dire di una parte circoscritta, la più abbiente, dei cittadini. Il capitalismo che ha arrecato indubbi vantaggi a quei popoli più poveri, che hanno saputo cogliere le opportunità offerte dal mercato internazionale, diventando capitalismo finanziarizzato, con i suoi aspetti negativi, danneggia gravemente la vita sociale e la stessa economia produttiva, portando i sistemi democratici a mostrare la corda, stressandoli con un progressivo ridimensionamento dei diritti sociali ed economici dei cittadini. Se l’attuale sistema finanziario e monetario non verrà profondamente riformato avrà influssi devastanti sulla democrazia sostanziale perché le impedirà di realizzare la giustizia sociale. Senza giustizia sociale la democrazia si indebolisce, non riesce ad affrontare le diseguaglianze, non può realizzare la solidarietà e la inclusività, specie dei poveri. Se si vorrà trovare una via di uscita allo sfinimento di una democrazia rappresentativa, partecipativa, deliberativa, solidale, inclusiva, ossia ad una democrazia di bassa intensità, bisognerà: a) che siano superate le dottrine economiche neoliberistiche, che ancora oggi conferiscono al mercato, all’economia e alla finanza un’autonomia quasi assoluta rispetto alla politica e al connesso bene comune; b) sarà necessaria una riforma della finanza, per poter usufruire di quel bene pubblico che sono i mercati liberi, stabili, trasparenti, «democratici», non oligarchici, bensì funzionali alle imprese, ai lavoratori, alle famiglie, alle comunità locali, al bene comune, all’ecologia integrale. Negli ultimi anni, purtroppo, in assenza di una seria regolamentazione la tendenza dei mercati finanziari si è orientata automaticamente verso l’oligopolio anziché verso la concorrenza; c) l’instaurazione di un’economia inclusiva – precondizione di una democrazia altrettanto inclusiva, non potendo concretizzarsi una democrazia politica senza una «democrazia economica»  −, mediante l’irrobustimento di un’economia di mercato funzionale al bene comune nazionale e mondiale. E, pertanto, popolata, come ha illustrato l’enciclica Caritas in veritate (=CIV) di Benedetto XVI della quale ricorre il decimo anniversario della promulgazione,[2] da un’imprenditorialità plurivalente (imprese profit, finalizzate al profitto; imprese non profit, non finalizzate al profitto; e un’area intermedia tra queste),[1] coadiuvata da leggi giuste, da un’attività redistributiva da parte della politica, da un’economia animata in tutte le sue fasi dalla giustizia (cf CIV n. 37), dai principi della fraternità e della gratuità, dalla logica del dono, che diffondono e alimentano la solidarietà e la responsabilità sociale nei confronti delle persone e dell’ambiente, sollecitando una forma di profonda democrazia economica (cf CIV 39).

Purtroppo oggi l’economia e la democrazia sono influenzate negativamente mediante la costituzione di monopoli e di oligarchie che si sono formati talvolta anche con la complicità della stessa politica, come è stato per il caso della finanza. Questa, ha gradualmente  partorito un’autocrazia, a motivo dell’abolizione del Glass-Steagall Act nel 1999 (prima negli USA, poi, negli anni successivi, in Europa e nel resto del mondo), basato sul principio di separazione della banca produttiva dalla banca speculativa. Togliendo la separazione le banche hanno unito in sé l’attività produttiva e l’attività speculativa, giungendo ad utilizzare i risparmi raccolti – prima utilizzabili solo per finanziare l’attività produttiva – in operazioni speculative, mettendoli in serio pericolo. Si aggiunga che all’autonomizzazione del sistema finanziario e allo sviluppo vertiginoso della massa finanziaria, con un’intossicazione a largo raggio del mercato, creando difficoltà sistemiche, ha contribuito pure il cambio di finalità dei contratti cosiddetti «derivati», originariamente di natura assicurativa, in contratti con finalità speculativa. La finanza è divenuta una superpotenza, che non ha confini, non ha regole, non conosce diritti diversi dai suoi, sostiene e sovvenziona in tutte le sedi il suo totalitario «pensiero» mercatista. La sua «cultura» dominante, improntata al neoindividualismo libertario, e che non è soggetta a corti di giustizia,  tende ad influenzare e a tenere sotto controllo le democrazie, rendendole funzionali al suo sistema, indebolendole, come già detto, sempre di più sul piano sociale e della sovranità democratica. Facendo credere, fra l’altro, che il prodotto interno lordo non si fa con l’impresa e con il lavoro, ma con la speculazione. La finanza autocratica comanda su tutti: sugli Stati, sui popoli, sui governi, determinando talora il loro ordine del giorno. Se i titoli tossici, ovvero i mutui subprime cartolarizzati,[3] che sono stati tra le cause principali della recente crisi finanziaria, iniziata nel 2007-2008, non sono stati del tutto metabolizzati, ed anzi continuano ad essere prodotti, significa che i fondamentali del sistema finanziario non sono stati cambiati o profondamente riformati. Significa che il nostro mondo economico si trova sempre in una situazione di possibili bolle speculative che possono generare, da un momento all’altro, una nuova crisi finanziaria, con gravi danni per la giustizia sociale e la democrazia.

 

  1. Genesi, natura, obiettivi di «Oeconomicae et pecuniariae quaestiones». Un documento promulgato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

La crescente rilevanza, da una parte, della finanza contemporanea per lo sviluppo integrale e sostenibile, per la stessa democrazia dei popoli e il bene comune della famiglia umana, ma anche, dall’altra parte, la perdurante dannosità e pericolosità di un sistema economico-finanziario mondiale lasciato in balia dell’idolatria del profitto per il profitto; il pressante magistero sociale degli ultimi pontefici, specie di papa Benedetto XVI[4] e di papa Francesco;[5] la riflessione, in particolare, del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace;[6] hanno indotto la Congregazione per la Dottrina della Fede e il Dicastero per il Servizio Umano Integrale a promulgare il Documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones (=OEPQ), il 17 maggio 2018.

È da rilevare subito che si tratta del frutto di un lavoro congiunto tra Congregazione e il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Ciò sta a significare l’importanza del pronunciamento che avviene sia con l’avallo della Congregazione per la Dottrina della fede che impegna la sua autorevolezza e competenza su un tema prettamente morale, di Dottrina sociale della Chiesa, sia con l’approvazione di Papa Francesco – al termine del documento si legge, infatti: «Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa al sottoscritto Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede [ovvero S. Ecc. Mons. Giacomo Morandi], ha approvato queste Considerazioni, decise nella Sessione Ordinaria di questo Dicastero, e ne ha ordinato la pubblicazione» -, per cui il testo entra nel Magistero pontificio ordinario.

Il sottotitolo Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario ne evidenzia l’obiettivo e la natura.

Circa l’obiettivo, al n. 18 del Documento si trova scritto: «Allo scopo di offrire concreti e specifici orientamenti etici a tutti gli agenti economici e finanziari – da cui proviene sempre più una richiesta in tal senso – si intendono ora formulare alcune puntualizzazioni, in vista di un discernimento che tenga aperte le vie verso ciò che rende l’uomo davvero uomo e gli impedisca di mettere a repentaglio la sua dignità ed il bene comune». In sintesi, il Documento vuol’essere uno strumento per il discernimento a servizio di un nuovo pensiero e di una nuova progettualità sulla finanza, elaborati alla luce di una visione integrale dell’uomo e del bene comune. In particolare, il Documento sulla nuova finanza, come affermato nella nota 35, intende proseguire nella scia del discernimento compiuto dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace con le riflessioni intitolate Per una riforma  del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale.[7]

Non siamo di fronte ad una sorta di esortazione apostolica o ad un testo di taglio solo pastorale. In esso troviamo «un’analisi scientificamente fondata delle cause remote dei disordini e dei guasti che l’architettura dell’attuale sistema finanziario va determinando».[8] Non, dunque, una mera descrizione, sia pure puntuale ed accurata, degli effetti generati da una nuova finanza diventata, nel corso degli ultimi decenni, autoreferenziale, finalizzata cioè a se stessa, anziché servire il bene comune.

Merita che sia sottolineato che la riflessione offerta dal Documento appartiene all’ambito della teologia morale, comprensiva di una fondazione razionale e di un’antropologia che tengono unite tutte le attività umane, compresa quella relativa alla finanza, con l’etica, con un sapere sapienziale. La Chiesa si occupa della finanza perché ciò le è stato affidato da Gesù Cristo il quale, incarnandosi, redime l’uomo nella sua integralità e ricapitola in sé tutte le cose (cf Ef 1, 10), rinnovandole, rendendole più umane. La comunità cristiana riceve dal Signore Gesù la missione di redimere e di trasfigurare tutto l’uomo e tutte le sue attività vivendo in esse la Carità di Cristo, il suo Amore pieno di verità. Facendoli propri, riconoscendoli come legge fondamentale di vita, i credenti instaurano ed annunciano, nell’ambito di ogni attività, il Regno di Dio. In tal modo, liberano ogni settore dell’agire umano dal peccato e dall’egoismo, fortificando in esso il retto orientamento della ragione, la legge morale.[9]

Connessi con la lettura teologica della finanza sono tre i pilastri di una nuova finanza:

  1. un’antropologia diversa e nuova rispetto a quella oggi dominante, che appare neoindividualista, libertaria ed utilitarista, e che finisce per produrre, come ebbe a sottolineare papa Francesco, senza mezzi termini, un’economia che scarta, non include, anzi uccide. L’antropologia che regge una finanza nuova dev’essere, come si legge nei numeri 9 e 10, relazionale, razionale, comunionale e trascendente. Ecco, infatti, quanto troviamo scritto nel numero 9: «[…] senza un’adeguata visione dell’uomo non è possibile fondare né un’etica né una prassi all’altezza della sua dignità e di un bene che sia realmente comune. Di fatto, per quanto si proclami neutrale o avulsa da ogni concezione di fondo, ogni azione umana – anche in ambito economico – implica comunque una comprensione dell’uomo e del mondo, che rivela la sua positività o meno attraverso gli effetti e lo sviluppo che produce. In questo senso, la nostra epoca ha rivelato il fiato corto di una visione dell’uomo individualisticamente inteso, prevalentemente consumatore, il cui profitto consisterebbe anzitutto in una ottimizzazione dei suoi guadagni pecuniari. La persona umana possiede infatti peculiarmente un’indole relazionale ed una razionalità alla perenne ricerca di un guadagno e di un benessere che siano interi, non riducibili ad una logica di consumo o agli aspetti economici della vita». Nel n. 10 si legge ancora: «È facile scorgere i vantaggi derivanti da una visione dell’uomo inteso come soggetto costitutivamente inserito in una trama di relazioni che sono in sé una risorsa positiva. Ogni persona nasce all’interno di un ambito familiare, vale a dire già all’interno di relazioni che la precedono, senza le quali sarebbe impossibile il suo stesso esistere. Essa sviluppa poi le tappe della sua esistenza sempre grazie a legami che attuano il suo porsi nel mondo come libertà continuamente condivisa. Sono proprio questi legami originari che rivelano l’uomo come essere relazionato ed essenzialmente connotato da ciò che la Rivelazione cristiana chiama “comunione”. Questo originario carattere comunionale, mentre evidenzia in ogni persona umana una traccia di affinità con quel Dio che lo crea e che lo chiama ad una relazione di comunione con sé, è anche ciò che lo orienta naturalmente alla vita comunitaria, luogo fondamentale per la sua compiuta realizzazione. Proprio il riconoscimento di questo carattere, come elemento originariamente costitutivo della nostra identità umana, consente di guardare agli altri non anzitutto come a potenziali concorrenti, bensì come a possibili alleati nella costruzione di un bene che non è autentico se non riguarda tutti e ciascuno nello stesso tempo. Tale antropologia relazionale aiuta l’uomo anche a riconoscere la validità di strategie economiche che mirino anzitutto alla qualità globale della vita raggiunta, prima ancora che all’accrescimento indiscriminato dei profitti, ad un benessere che se vuole essere tale è sempre integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Nessun profitto è infatti legittimo quando vengono meno l’orizzonte della promozione integrale della persona umana, della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri. Sono questi tre principi che si implicano e richiamano necessariamente l’un l’altro nella prospettiva della costruzione di un mondo che sia più equo e solidale».
  2. Il principio secondo cui etica e finanza non possono continuare a vivere in sfere separate (cf nn. 7-12), come se fosse possibile una doppia etica. Occorre rigettare la tesi secondo cui la sfera dell’economia va tenuta separata sia dalla sfera dell’etica sia da quella della politica. Si tratta di superare definitivamente la cosiddetta tesi del NOMA (Non Overlapping Magisteria), formulata in economia nel 1829 da Richard Whateley, cattedratico all’Università di Oxford e vescovo della Chiesa anglicana. Nella dottrina sociale della Chiesa ciò è stato sollecitato dai tempi della crisi economica provocata dal crollo della Borsa di New York (1929), nel secolo scorso: tra ordine economico e ordine morale, secondo l’enciclica Quadragesimo anno del 1931 (= QA, n. 42), non esiste estraneità; tra di essi c’è connessione sebbene siano ordini distinti; l’etica riguarda l’economia perché questa è attività umana e come ogni attività umana è retta dalla legge morale.[10] Dopo la crisi economica di inizio di questo secolo (2007-2008), che ha ampiamente fatto toccare con mano come le imprese che  disprezzano l’etica falliscono, la Caritas in veritate di Benedetto XVI ha chiaramente affermato che «la sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all’attività dell’uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente».[11] Lo stesso papa Benedetto evidenzia che l’attività economica, proprio perché espressione dell’uomo non può prescindere dalla gratuità, che assume ed alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti ed attori.[12] Ogni realtà ed attività umana, afferma il Documento in esame, sulla scia della morale economica indicata dal Magistero sociale, se vissute nell’orizzonte di un’etica adeguata, cioè nel rispetto della dignità umana ed orientandosi al bene comune, sono positive.
  3. Con quanto appena affermato si allude al terzo pilastro della nuova finanza, anch’esso segnalato dal Documento e che qui esplicitiamo anche nelle sue connotazioni ecologiche.[13] Si tratta del grande principio morale rappresentato dallo sviluppo integrale e sostenibile, che potrebbe anche essere chiamato principio dell’ecologia integrale. Quest’ultimo, infatti, non è nient’altro se non il primo principio morale proposto da san Paolo VI nella Populorum progressio, ma riletto e riformulato dalla Laudato si’ di papa Francesco, tenuto conto della attuale questione ambientale. Un tale primo principio morale universale, secondo il Documento, consente di valutare la qualità umana ed etica dell’attuale sistema economico-finanziario, nei suoi agenti singoli e collettivi, negli intenti, nei mezzi, nelle istituzioni, negli effetti e nelle esternalità. In particolare, un tale principio primo permette di offrire una valutazione etica della finanza, delle azioni degli agenti, dell’uso degli strumenti finanziari, delle conseguenze con riferimento alla dignità delle persone e dei popoli, al bene comune, all’ecologia integrale. Dalla considerazione del suddetto primo principio, relativamente alla realtà della economia e della finanza, derivano orientamenti etici, ad esempio: 1) per il benessere: esso non si riduce al solo parametro economico, ma include altri parametri, quali ad esempio la sicurezza, la salute, la crescita del “capitale umano”, la qualità della vita sociale e del lavoro, la salvaguardia dell’ambiente; 2) per la libertà economica: se intesa in modo assoluto, staccata dalla verità e dal bene, genera centri di supremazia ed inclina verso forme di oligarchia finanziaria che nuocciono alla stessa efficienza del sistema economico; 3) per gli agenti economici e politici: la loro alleanza  è fondamentale per garantire che l’uso dei networks economico-finanziari, che agiscono sul piano nazionale e sovranazionale, sia a servizio del bene comune, dell’ecologia integrale; 4) per i mercati e la loro «sanità», per il loro svolgimento e la correzione dei loro effetti negativi sulla società e sull’ambiente: essi non sono una realtà per sé negativa; anzi, se orientati al servizio delle persone, delle famiglie, delle imprese, delle amministrazioni comunali, del bene comune, sono realtà buone, sono da considerare beni pubblici, in quanto mercati liberi, stabili, trasparenti, “democratici” (non oligarchici), ministeriali alla crescita integrale delle persone, delle famiglie, dei giovani che cercano lavoro, delle imprese, delle amministrazioni; 5) per gli strumenti dell’industria finanziaria: alcuni strumenti finanziari, di per sé leciti, in una situazione di asimmetria, possono diventare una speculazione illecita; 6) per la  finanziarizzazione del mondo imprenditoriale: la rendita da accumulazione di capitale può divorare il reddito da lavoro, con grave danno per i lavoratori, per le famiglie; 7) per il denaro: può essere usato contro l’uomo, da mezzo può diventare fine; 8) per il credito: applicare tassi di interesse eccessivamente alti è un’operazione illegittima e dannosa per la «sanità» del sistema economico; 9) per la speculazione: essa non è un male in sé, lo diviene, ad esempio, quando provoca artificiosi ribassi dei prezzi di titoli del debito pubblico.
  4. Altri orientamenti pratici

Sulla base dei grandi pilastri sopraesposti, il Documento offre alcuni orientamenti pratici volti alla liberazione e all’umanizzazione dei sistemi economico-finanziari:

  • Il potenziamento – in vista della certificazione dei nuovi prodotti finanziari e di mercati «sani» ossia protetti da intossicazioni provocate da strumenti economico-finanziari non affidabili, che mettono in pericolo la diffusione della ricchezza per tutti -, del coordinamento sovra-nazionale fra le diverse architetture dei sistemi finanziari locali (cf n. 19);
  • L’assicurazione della biodiversità economico-finanziaria, mediante politiche economico-finanziarie efficaci nell’assecondare la pluralità di soggetti e strumenti sani, ma anche nell’ostacolare tutti coloro che intendono deteriorare la funzionalità del sistema che produce e diffonde ricchezza (cf n. 20);
  • La regolazione, mediante solidi e robusti orientamenti, sia macro-prudenziali che normativi, dei mercati caratterizzati da una dimensione sovranazionale, i quali non devono essere lasciati ingenuamente a se stessi – i mercati dimostrano che non sono in grado di regolarsi da sé -, ma devono essere finalizzati alla realizzazione del bene comune, che è di tutti e non per pochi (cf n. 21);
  • un coordinamento stabile, chiaro ed efficace fra le varie autorità nazionali (che devono rimanere autonome) di regolazione dei mercati in vista della trasparenza dei mercati, di ciò che negoziano, nonché del superamento della concentrazione asimmetrica delle informazioni e del potere (cf n. 21);
  • una chiara definizione e separazione, per gli intermediatori bancari di credito, dell’ambito dell’attività di gestione del credito ordinario e del risparmio da quello destinato all’investimento e al mero business: il risparmio, specie quello familiare, è un bene pubblico da tutelare (cf n. 22);
  • la responsabilità sociale delle imprese finanziarie sia ad intra sia ad extra. In vista di ciò è necessario che nelle business schools cresca l’idea che l’etica è intrinseca all’attività imprenditoriale (cf n. 23);
  • l’istituzione all’interno delle banche di Comitati etici accanto ai Consigli di Amministrazione (cf n. 24);
  • convenienti dotazioni patrimoniali da parte delle banche, di modo che un’eventuale socializzazione delle perdite sia il più possibile limitata e ricada soprattutto su coloro ne sono stati effettivamente responsabili (cf n. 24);
  • una pubblica regolazione e valutazione supra partes dell’operato delle agenzie di rating del credito (cf n. 25);
  • controllo dei contratti assicurativi del rischio da fallimento, ossia dei credit default swap (CDS). Il diffondersi senza adeguati limiti di tale tipo di contratti favorisce il crescere di una finanza dell’azzardo e della scommessa sul fallimento altrui (cf n. 26);
  • la regolamentazione dei sistemi bancari collaterali (shadow banking system) e dei paradisi fiscali (cf n. 29);
  • una minima tassa sulle transazioni compiute offshore per risolvere buona parte dei problemi della povertà, della fame (cf n. 31);
  • la riduzione del debito pubblico accumulato dai Paesi meno sviluppati, aggravato da quei paradisi fiscali che favoriscono i cittadini che non pagano le tasse e scaricano passivi economici sulle spalle del sistema pubblico: pur mettendo ogni Paese di fronte alle sue ineludibili responsabilità, occorre anche consentire e favorire delle ragionevoli vie di uscita dalle spirali del debito, non mettendo sulle spalle degli Stati degli oneri che di fatto risultano insostenibili (cf n. 32). Ciò anche mediante politiche di ragionevole e concordata riduzione del debito pubblico, specie quando questo è detenuto da soggetti di tale consistenza economica da essere in grado di offrirla.[14]
  • La responsabilità dei cittadini (cf n. 33). Non tutto dipende da entità che superano le capacità degli individui e agiscono fuori dal nostro controllo. Questo significa che abbiamo a nostra disposizione strumenti importanti per contribuire alla soluzioni di tanti problemi anche sul piano monetario e finanziario. «Tutto ciò di cui abbiamo parlato finora non è soltanto opera di entità che agiscono fuori dal nostro controllo ma ricade anche nella sfera delle nostre responsabilità. Questo significa che abbiamo a nostra disposizione strumenti importanti per poter contribuire alla soluzione di tanti problemi. Ad esempio, i mercati vivono grazie alla domanda ed all’offerta di beni: a questo proposito, ciascuno di noi può influire in modo decisivo almeno nel dar forma a quella domanda. Risulta pertanto quanto mai importante un esercizio critico e responsabile del consumo e dei risparmi. Fare la spesa, impegno quotidiano con cui ci dotiamo anzitutto del necessario per vivere, è altresì una forma di scelta che operiamo fra i vari prodotti che il mercato offre. É una scelta con cui optiamo sovente in modo non consapevole per beni la cui produzione avviene magari attraverso filiere in cui è normale la violazione dei più elementari diritti umani o grazie all’opera di aziende la cui etica di fatto non conosce altri interessi al di fuori di quelli del profitto ad ogni costo dei loro azionisti. Occorre orientarci alla scelta di quei beni alle cui spalle sta un percorso degno dal punto di vista etico, poiché anche attraverso il gesto, apparentemente banale, del consumo noi esprimiamo nei fatti un’etica e siamo chiamati a prendere posizione di fronte a ciò che giova o nuoce all’uomo concreto. Qualcuno ha parlato a questo proposito di “voto col portafoglio”: si tratta infatti di votare quotidianamente nei mercati a favore di ciò che aiuta il benessere reale di noi tutti e di rigettare ciò che ad esso nuoce.[15]
  • la gestione dei propri risparmi, indirizzandoli, ad esempio, verso quelle aziende che operano con chiari criteri, ispirati ad un’etica rispettosa di tutto l’uomo e di tutti gli uomini ed in un orizzonte di responsabilità sociale.
  • Più in generale, ciascuno è chiamato a coltivare pratiche di produzione della ricchezza che siano consone alla nostra indole relazionale e protese ad uno sviluppo integrale della persona.
  • Non rimanere da soli a lottare. Unirsi agli altri. Davanti all’imponenza e pervasività degli odierni sistemi economico-finanziari, potremmo essere tentati di rassegnarci al cinismo ed a pensare che con le nostre povere forze possiamo fare ben poco. In realtà, ciascuno di noi può fare molto, specialmente se non rimane solo. Numerose associazioni provenienti dalla società civile rappresentano in tal senso una riserva di coscienza e di responsabilità sociale di cui non possiamo fare a meno. Oggi più che mai, siamo tutti chiamati a vigilare come sentinelle della vita buona ed a renderci interpreti di un nuovo protagonismo sociale, improntando la nostra azione alla ricerca del bene comune e fondandola sui saldi principi della solidarietà e della sussidiarietà. Ogni gesto della nostra libertà, anche se può apparire fragile ed insignificante, se davvero orientato al bene autentico, si appoggia a Colui che è Signore buono della storia, e diviene parte di una positività che supera le nostre povere forze, unendo indissolubilmente tutti gli atti di buona volontà in una rete che collega cielo e terra, vero strumento di umanizzazione dell’uomo e del mondo (nn. 33-34).

 

  1. Conclusione: ulteriori passi da compiere

Come rileva lo stesso Documento  al n. 5: «La recente crisi finanziaria poteva essere l’occasione per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria, neutralizzandone gli aspetti predatori e speculativi e valorizzandone il servizio all’economia reale. Sebbene siano stati intrapresi molti sforzi positivi … non c’è stata però una reazione che abbia portato a ripensare quei criteri obsoleti che continuano a governare il mondo». Con ciò rimangono in piedi tutti i rischi di una nuova crisi finanziaria mondiale, in tutta la sua drammaticità e negatività per i popoli e la democrazia. Occorre, dunque, pensare ad una seria ricezione del Documento anzitutto nei vari ambienti ove si punta alla formazione di una nuova cultura finanziaria, ossia nelle università e nelle istituzioni culturali, perché nei vari curricula sia approfondito e sviluppato nelle sue linee antropologiche ed etiche. Esso deve diventare fermento di nuove prassi, aiutando a superare l’ideologia mercantilistica oggi prevalente. In secondo luogo, è senz’altro indispensabile che sia capovolto l’attuale primato della finanza sulla politica, un primato che sminuisce ed erode la sovranità dei popoli. Dev’essere, cioè, recuperato il primato della politica sull’economia e sulla finanza. In vista di ciò va proseguita la riflessione e la riforma dell’attuale capitalismo finanziario, fondamentalmente speculativo, che attraverso le grandi «famiglie» bancarie e le grandi corporazioni industriali – quest’ultime in gran parte proprietarie delle prime -, domina e controlla il mondo. All’attuale oligopolio finanziario mondiale non corrisponde un’autorità politica altrettanto mondiale, democratica, strutturata in termini di sussidiarietà e di poliarchia, che lo possa regolamentare efficacemente al servizio del bene comune della famiglia umana. La Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, sulla cui scia si è posto il Documento,[16] è parsa più esplicita e sollecitante in merito alla riforma dell’architettura economica e finanziaria internazionale, congiuntamente a quella dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.[17]

+ Mario Toso

Vescovo di Faenza-Modigliana

 

[1] Cf Congregazione per la Dottrina della Fede-Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario (=OEPQ), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018.

 

 

[2] Cf BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009.

[3] «Alcuni prodotti finanziari, fra cui i cosiddetti “derivati”, sono stati creati – si legge nel Documento in esame – allo scopo di garantire un’assicurazione sui rischi inerenti a determinate operazioni, spesso contenenti anche una scommessa effettuata sulla base del valore presunto attribuito a quei rischi. Alla base di tali strumenti finanziari stanno contratti in cui le parti sono ancora in grado di valutare ragionevolmente il rischio fondamentale su cui ci si vuole assicurare. Tuttavia, per alcune tipologie di derivati (in particolare le cosiddette cartolarizzazioni o securitizations) si è assistito al fatto che a partire dalle strutture originarie, e collegate ad investimenti finanziari individuabili, venivano costruite strutture sempre più complesse (cartolarizzazioni di cartolarizzazioni), in cui è assai difficile – dopo varie di queste transazioni, quasi impossibile – stabilire in modo ragionevole ed equo il loro valore fondamentale. Ciò significa che ogni passaggio, nella compravendita di questi titoli, al di là del volere delle parti, opera di fatto una distorsione del valore effettivo di quel rischio da cui invece lo strumento dovrebbe tutelare. Tutto questo ha quindi favorito il sorgere di bolle speculative, le quali sono state importanti concause della recente crisi finanziaria. È evidente che l’aleatorietà sopravvenuta di questi prodotti – la dissolvenza crescente della trasparenza di ciò che assicurano – che nell’operazione originaria ancora non emerge, li rende sempre meno accettabili dal punto di vista di un’etica rispettosa della verità e del bene comune, poiché li trasforma in una sorta di ordigni ad orologeria, pronti a deflagrare prima o poi la loro inattendibilità economica e ad intossicare la sanità dei mercati. Si verifica qui una carenza etica che diviene tanto più grave quanto più tali prodotti sono negoziati sui cosiddetti mercati non regolamentati (over the counter) – esposti più dei mercati regolamentati all’azzardo, quando non alla frode – e sottraggono linfa vitale ed investimenti all’economia reale. Simile valutazione etica può essere effettuata anche nei confronti di quegli utilizzi dei credit default swap (CDS: i quali sono particolari contratti assicurativi del rischio da fallimento) che permettono di scommettere sul rischio di fallimento di una terza parte anche a chi non ha già assunto in precedenza un rischio di credito, e addirittura di reiterare tali operazioni sul medesimo evento, la qual cosa non è assolutamente consentita dai normali patti di assicurazione. Il mercato dei CDS, alla vigilia della crisi finanziaria del 2007, era così imponente da rappresentare all’incirca l’equivalente dell’intero PIL mondiale. Il diffondersi senza adeguati limiti di tale tipo di contratti, ha favorito il crescere di una finanza dell’azzardo e della scommessa sul fallimento altrui, che rappresenta una fattispecie inaccettabile dal punto di vista etico» (OEPQ n. 26).

[4] Basti anche solo pensare alla Caritas in veritate (=CIV) ove si prende seriamente in considerazione il problema della finanza moderna non come un problema di semplice ingegneria strutturale ed istituzionale bensì come un problema di risemantizzazione. Per l’enciclica di papa Benedetto si tratta di un problema eminentemente antropologico ed etico. Solo ricollocando le attività finanziarie e monetarie nel complesso delle altre attività umane, ossia nel pleroma delle molteplici finalità della persona, è possibile recuperarne il vero significato, la giusta valenza etica. Vale a dire, solo considerando l’insieme dei beni che l’uomo deve conseguire non in una maniera disarticolata, ma in ordine al compimento in Dio,  si può comprendere quanto gli attuali sistemi finanziari e monetari, che tendono ad ergersi ad assoluto e a subordinare a sé  l’economia reale e a «mercantilizzare» la politica, siano distorti e potenzialmente distruttivi per la civiltà, la democrazia e la famiglia umana.

[5] Sono punti di riferimento imprescindibile l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, ove al n. 49 si afferma che il denaro deve servire non governare e l’enciclica Laudato si’, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, specie al n. 189.

[6]Cf Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011. Non è la prima volta che il Pontificio Consiglio affronta tematiche relative all’economia e alla finanza. Basti anche solo pensare a: ID., Un nuovo patto finanziario internazionale 18 novembre 2008. Nota su finanza e sviluppo in vista della Conferenza promossa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Doha, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2009. Prima ancora si era interessato delle ricorrenti crisi finanziarie e della necessità di nuove istituzioni, con le seguenti pubblicazioni: Antoine de Salins-François Villeroy de Galhau, Il moderno sviluppo delle attività finanziarie alla luce delle esigenze etiche del cristianesimo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994; Social and Ethical Aspects of Economics, Atti relativi al I Seminario di economisti organizzato il 5 novembre 1990 presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Vatican Press, Vatican City 1992; World Development and Economic Institutions, Atti del II Seminario di economisti organizzato il 4 gennaio 1993, Vatican Press, Vatican City 1994. Entrambi i Seminari sono stati realizzati grazie alla collaborazione degli esperti, proff. Ignazio Musu e Stefano Zamagni, consultori del Pontificio Consiglio. Per una prima lettura delle Riflessioni del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sulla riforma dei sistemi finanziari e monetari, si legga: P. Foglizzo, Nuovi orizzonti per la finanza internazionale. Le proposte del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in «Aggiornamenti sociali», anno 63 (febbraio 2012), n. 2, pp. 117-125. Strumenti di divulgazione e di approfondimento delle Riflessioni sono: Comisión General «Justicia y Paz» de España, Por una reforma del sistema financiero y monetario internacional, Caritas Española Editores, Madrid 2012; Commission Justice et Paix Belgique Francophone, Quelle maîtrise politique des activités commerciales et financières mondiales? Réflexions consécutives à la pubblication (2011) par le Conseil Pontifical «Justice et Paix» du document «Pour une réforme du système financier et monétaire International dans la perspective d’une autorité publique à compétence universelle», Bruxelles 2013.

[7] Cf Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Nota per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011. A fronte della crisi e della recessione in atto, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, sulla base della propria mission e in occasione  del G20 a Cannes (3-4 novembre 2011), ha pensato di prospettare, in maniera più articolata, l’orientamento generale offerto dalla Caritas in veritate (=CIV), a proposito non solo dell’urgente necessità della riforma del sistema finanziario e monetario globale ma anche dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e dell’architettura economica e finanziaria internazionale – su questo punto specifico la Nota  del Pontificio Consiglio si differenzia maggiormente dal Documento in esame -, in vista della creazione di mercati liberi, stabili, trasparenti, «democratici», non oligarchici, ministeriali all’economia reale, alle imprese, ai lavoratori, alla famiglie, alle comunità locali, al bene comune. Muovendo dalla riflessione eminentemente teologica, antropologica ed etica della CIV, il Pontificio Consiglio rilevava il sovradimensionamento valoriale, l’autonomia senza limiti, l’incapacità di autoregolazione della nuova finanza.  Proponeva che ne fosse ripristinata l’identità e la funzionalità secondo la verità di un’autonomia non incondizionata, ma relativa alle persone e ai popoli, quali soggetto, fondamento e fine di esso. Nelle riflessioni della Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, i mercati finanziari  sono definiti «bene collettivo» (cf p. 20), «bene pubblico» (cf p. 29), perché costituiscono una delle condizioni fondamentali per la realizzazione del bene comune mondiale e dello sviluppo integrale ed inclusivo.

[8] S. ZAMAGNI, Verso una nuova finanza il cammino ora è segnato, in «Avvenire» (Martedì, 12 giugno 2018), p. 3.

[9] Cf Congregazione per la Dottrina della Fede-Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, nn.1-4.

[10] Cf M. TOSO, Welfare Society. La riforma del welfare: l’apporto dei pontefici, LAS, Roma 2003, pp. 78-79. Per la Chiesa non esiste separazione tra economia e morale. Esiste l’autonomia dell’economia, ma ciò non significa che questa sia totalmente autonoma rispetto all’ordine morale. L’economia sia come attività sia come scienza ha propri principi e leggi proprie ma essi sono connessi con l’ordine morale.

[11] BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 36.

[12] Cf ib., n. 38.

[13] Secondo l’attuale Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, ossia il professore Stefano Zamagni, nel Documento si attribuisce anche importanza al principio della responsabilità adiaforica, di cui quasi mai si parla. Il paragrafo 14 recita: «Inoltre, al di là del fatto che molti suoi operatori siano singolarmente animati da buone e rette intenzioni, non è possibile ignorare che oggi l’industria finanziaria, a causa della sua pervasività e della sua inevitabile capacità di condizionare e – in un certo senso – di dominare l’economia reale, è un luogo dove gli egoismi e le sopraffazioni hanno un potenziale di dannosità della collettività che ha pochi eguali». In sostanza, si fa riferimento qui ad una «struttura di peccato», come la chiamò, per primo nella Dottrina sociale della Chiesa, Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis del 1987. «Non è il solo operatore di borsa, o banchiere o uomo d’affari – scrive Zamagni – ad essere responsabile delle conseguenze delle azioni che pone in atto. Anche le istituzioni economiche, se costruite su premesse di valore contrario ad un’etica amica dell’uomo, possono generare danni enormi a prescindere dalle intenzioni di coloro che in esse operano» (S. ZAMAGNI, Verso una nuova finanza il cammino ora è segnato, in «Avvenire» [Martedì, 12 giugno 2018], p. 3).

[14] Cf Congregazione per la Dottrina della Fede-Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018, nn. 18-33.

[15] Come? Innanzitutto, prendendo coscienza, da parte dei cittadini-consumatori,  che dietro il sottocosto spesso si nasconde un sottosalario. In secondo luogo, informandosi sulle varie pagelle che vengono sempre più pubblicate circa la sostenibilità sociale ed ambientale delle multinazionali del cibo mondiale. Si tenga presente che in Italia sta invalendo l’uso di approntare liste di imprese che nel lavoro non usano il caporalato.

[16] Con quanto si propone qui non si intende affatto indicare un  Governo Mondiale Unico, un governo dispotico da parte di un Superstato, implicante la visione di un mondo ridotto ad unità produttiva, l’indebolimento degli Stati-Nazione e la loro sostituzione con una sovranità sopranazionale che li subordina a sé come ingranaggi di un sistema più vasto. Non si pensa ad un sincretismo cultural-religioso, ovvero una specie di religione cosmica-universale che rimpiazzi le diverse confessioni di fede e le rispettive culture, e che non intacchi la cultura tecnocratica dominante; e neppure ad una ONU come sistema o unica istituzione che impone le politiche sociali, economiche, culturali che permettano il dominio politico del mondo da parte del Potere finanziario transnazionale.

[17] Le varie istituzioni, comprese quelle internazionali, non possono adottare indifferentemente qualsiasi configurazione, proprio a motivo dell’«essenza» antropologica ed etica che deve caratterizzarle, «specificandole» rispetto al bene comune, ai principi di solidarietà e di sussidiarietà e ai valori democratici. Nella Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della pace, in particolare, oltre alla riforma dell’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite, si suggerisce anche quella delle Agenzie connesse, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, che, pur essendo nati con una vocazione e un mandato di governo della finanza, hanno fallito platealmente l’obiettivo della stabilità monetaria e del ridimensionamento significativo delle situazioni di povertà. Si suggerisce, inoltre, di innovare anche rispetto al «G8» e al «G20», e di procedere alla costituzione di banche centrali regionali, supportate da entità politiche corrispondenti. Secondo il Pontificio Consiglio, il processo di riforma delle istituzioni internazionali dovrebbe svilupparsi «avendo come punto di riferimento l’Organizzazione delle Nazioni Unite, in ragione dell’ampiezza mondiale delle sue responsabilità, della sua capacità di riunire le Nazioni della terra e della diversità dei suoi compiti e di quelle delle sue Agenzie specializzate. Il frutto di tali riforme dovrebbe essere una maggiore capacità di adozione di politiche e scelte vincolanti poiché orientate alla realizzazione del bene comune a livello locale, regionale e mondiale. Tra le politiche appaiono più urgenti quelle relative alla giustizia sociale globale: politiche finanziarie e monetarie che non danneggino i Paesi più deboli; politiche volte alla realizzazione di mercati liberi e stabili e ad un’equa distribuzione della ricchezza mondiale mediante anche forme inedite di solidarietà fiscale globale. Nel cammino della costituzione di un’Autorità politica mondiale non si possono disgiungere le questioni della governance (ossia di un sistema di semplice coordinamento orizzontale senza un’Autorità super partes) da quelle di un shared government (ossia di un sistema che, oltre al coordinamento orizzontale, stabilisca un’Autorità super partes) funzionale e proporzionato al graduale sviluppo di una società politica mondiale. La costituzione di un’Autorità politica mondiale non può essere raggiunta senza la previa pratica del multilateralismo, non solo a livello diplomatico, ma anche e soprattutto nell’ambito dei piani per lo sviluppo sostenibile e per la pace. A un governo sovranazionale non si può pervenire se non dando espressione politica a preesistenti interdipendenze e cooperazioni.