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Cardinale Achille Silvestrini, nuova edizione del libro a cura del vescovo Mario

a prima edizione del volume Cardinale Achille Silvestrini (Tipografia Faentina, 222 pp.) pubblicato nel 2020 e dedicato al cardinale originario di Brisighella è esaurita. Pertanto, a cento anni dalla nascita, è parso opportuno offrirne una seconda edizione. In questi anni, oltre alla pandemia da Covid, si sono manifestati tragici eventi di guerra. In Medio Oriente è recentemente deflagrato il conflitto tra Hamas e Israele, che va ad aggiungersi alla guerra fratricida tra Russia e Ucraina e ad altri conflitti esistenti nel mondo. Le molteplici guerre che dominano gli scenari del mondo, con il loro tragico seguito di morti, violenze, distruzioni, barbarie e profughi, fanno temere che la Terza guerra mondiale a pezzi – come ripete da diversi anni papa Francesco – possa diventare un’unica, grande guerra. La guerra è oggi il problema dei problemi, senza ignorare i cambiamenti climatici, il massiccio esodo di migranti, la povertà, la crisi energetica.

Occorre dire basta alla guerra e opporre a essa una decisa e sapiente nonviolenza attiva e creatrice. In questo contesto diventa sempre più attuale l’operato del cardinale Achille Silvestrini, protagonista di primo piano della diplomazia pontificia. Egli lavorò instancabilmente nella promozione del diritto alla libertà religiosa, alla sicurezza e alla cooperazione in Europa, alla pace e alla stabilità. Proprio per questo è parso opportuno inserire la lectio magistralis del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato che, il 27 ottobre scorso, ha ricordato i cento anni della nascita del cardinale brisighellese e la sua intuizione dell’importanza del multilateralismo nella costruzione di una nuova Europa e di una nuova comunità politica mondiale. L’intervento è pubblicato secondo la versione apparsa nell’Osservatore romano all’evento “Il cardinale Achille Silvestrini, uomo del dialogo”, celebrato nella sala Protomoteca in Campidoglio alla presenza del presidente della Repubblica, Mattarella.

Mario Toso, vescovo Faenza-Modigliana

La vita

Nato a Brisighella, nella Diocesi di Faenza, il 25 ottobre 1923, Silvestrini è entrato a 19 anni nel Seminario diocesano faentino dove, nel 1946, è stato ordinato sacerdote. Nel luglio 1973 è stato nominato sotto-segretario del Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa. Dal 1° luglio 1988 al 24 maggio 1991 è stato prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica. Da l 1991 al 2000 è stato prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. Creato cardinale da san Giovanni Paolo II nel 1988, è morto il 29 agosto 2019.

Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani: 18-25 gennaio

La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci invita quest’anno a rivivere la parabola del buon samaritano e a tenere insieme i comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo. Si apre di fatto con il comune ascolto delle Scritture del 18 gennaio e continua nella preghiera del vespro ospiti della chiesa ortodossa moldava il sabato 20.

Domenica 21 gennaio nella chiesa cattolica celebreremo la domenica della Parola di Dio per trovare in essa la sorgente della conversione sempre necessaria al cammino ecumenico e sarà il nostro vicario generale don Michele Morandi a guidarci nella celebrazione eucaristica alle 17,30 a San Francesco. Saranno presenti anche responsabili delle chiese e comunità cristiane della città.

La veglia di preghiera ecumenica sarà ospitata giovedì 25 gennaio alle 20,30 dalla comunità evangelica apostolica di via Piero della Francesca: il testo di quest’anno è preparato dalle chiese cristiane del Burkina Faso messe alla prova dalle violenze e dal terrorismo. Sarà un’occasione preziosa perché i canti saranno preparati insieme al coro dei francofoni africani e potremo anche ascoltare una seme di pace grazie alla presenza di una famiglia, testimone da anni di una relazione significativa fra Faenza e il Burkina. Questa veglia si iscrive in un mese denso di iniziative di pace fra il 1 gennaio, giornata mondiale della pace e il 4 febbraio, giornata della fratellanza umana.


Gli appuntamenti per la Giornata del Dialogo ebraico-cristiano: incontro il 18 gennaio e cena il 19

Quest’anno la giornata per il dialogo ebraico cristiano è caratterizzata dal testo profetico di Ezechiele con la scelta da parte della Commissione Episcopale della CEI per l’Ecumenismo e il Dialogo e dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia di una pagina celebre sulla resurrezione al cap. 37.  Nel sussidio della giornata si evidenzia che “l’immagine di Dio che traspare dal testo è quella del Creatore, come quella del racconto della creazione dove dona l’alito che fa vivere (cfr Gen 2). Forte di questa certezza il profeta può guardare al futuro: Dio ha creato e Dio creerà di nuovo. Emerge la presenza dello spirito di Dio capace di far rinascere, di far “ripartire”, di creare vita là dove c’era solo caos e morte. Il profeta attesta una fede che va oltre l’esperienza concreta e che si radica nel momento delle origini, completamente indisponibile all’uomo, ma comunque abitato dalla presenza efficace di Dio che interviene grazie al suo Spirito.”

In questa luce i vescovi ricordano le parole del Concilio: “La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro destino. Il suo messaggio non toglie alcunché all’uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo progresso” (GS 21). Siamo destinati ad un compimento. Come credenti desideriamo collaborare con tutti coloro che, seguendo le “aspirazioni più segrete”, contribuiscono a far nascere un mondo nuovo. Come credenti desideriamo offrire il nostro servizio a tutti per far sbocciare il Regno, rigenerando speranza, fiducia e coraggio.”

I rabbini ricordano che “in epoca moderna, con l’avvio del ritorno degli ebrei in terra d’Israele, questa pagina del profeta Ezechiele è stata letta in una prospettiva molto concreta di richiamo alla rinascita nazionale, e un’eco di questo approccio lo troviamo nelle parole del testo poetico, successivamente divenuto l’inno nazionale dello Stato d’Israele, composto nel 1877 da Naftali Herz Imber, che, con chiaro riferimento alle parole di Ezechiele dice, nella versione originale, “Non è ancora perduta la nostra speranza di tornare alla terra dei nostri padri”. Dopo la tragedia della Shoà, questo passo profetico di Ezechiele si è mostrato di un’attualità drammatica, non era più necessario ricercare alcun senso allegorico alla descrizione delle ossa rinsecchite, la cui visione era apparsa agli occhi del mondo in tutta la sua sconvolgente realtà, mentre le schiere dei risorti, descritti dal profeta, richiamano tutti i superstiti della Shoà che hanno cercato una nuova vita nel rinato stato ebraico.”

Nella città di Faenza questa giornata è anche quest’anno la prima di varie iniziative per il giorno della memoria e offrirà il 18 gennaio alle 18 nella chiesa di san Francesco l’intervento di Miriam Camerini, regista teatrale ed esperta di ebraismo, insieme al pastore valdese di Rimini Alessandro Esposito.

Viviamo mesi drammatici di guerra e di violenza per tutti gli abitanti di quella terra che in molti chiamiamo santa, l’esercizio del dialogo possa aiutare tutti i figli di Abramo  e tutti gli uomini di buona volontà a far rinascere possibilità di convivenza pacifica in quei luoghi.

Il giorno seguente, 19 gennaio, sarà sempre Miriam Camerini a offrire la possibilità di comprendere meglio il senso dello shabbat con una cena performance presso l’Istituto Alberghiero di Riolo Terme (prenotazione necessaria qui https://forms.gle/GobReKDap523Vfmt8 ), occasione di dialogo e di conoscenza per gli studenti coinvolti e per quanti vorranno raccogliere l’invito.


Sposarsi oggi: esiste ancora il ‘per sempre’? Il 14 gennaio incontro a Faenza con padre Alfredo Ferretti

Tutti sappiamo che negli ultimi decenni, nel nostro paese, sono avvenute trasformazioni che hanno modificato le relazioni familiari e sociali. Domenica 14 gennaio nella chiesa della Beata Vergine del Paradiso a Faenza alle 15 si terrà un incontro promosso dalla Pastorale Familiare e dal gruppo Talità Kum con padre Alfredo Ferretti, direttore del “Centro la Famiglia” di Roma dal titolo “Essere sposi oggi: è ancora attuale nel matrimonio il per sempre?”. Padre Alfredo collabora attualmente con diverse diocesi per le attività della Pastorale Familiare e accompagna gruppi di famiglie con separati e divorziati.

Nel 2020 il numero delle separazioni è risultato superiore a quello dei primi matrimoni

L’istituzione “famiglia” ha subito grandi cambiamenti: sono cresciute le famiglie ricostituite, i genitori soli, le unioni libere. Anche la lettura dei dati Istat mette in evidenza che il crollo dei matrimoni, avvenuto nel 2020 per la pandemia, in realtà accentua una tendenza che si osserva da oltre quarant’anni, legata a profonde trasformazioni sociali e demografiche. Nel 2020 il numero delle separazioni risulta superiore a quello dei primi matrimoni, mentre nel 2008 era in un rapporto inferiore ad un terzo. A ciò vanno aggiunte tutte le problematiche familiari sommerse. Molte coppie oggi scelgono la convivenza. Le scelte attuali hanno cambiato la vita delle persone e portato la Chiesa a interrogarsi sulla propria capacità di accogliere le nuove realtà familiari, nel tentativo di superare l’atteggiamento a volte giudicante di chi si sente “in regola”.

In Diocesi il gruppo Talità kum: un percorso assieme

Il gruppo “Talità kum”, nato nella Diocesi di Faenza a ottobre 2014, si propone di accompagnare coloro che, avendo vissuto l’esperienza della separazione o del divorzio, desiderano condividere con altri un cammino di crescita personale e spirituale nella comunità cristiana. Dalla condivisione delle esperienze emergono problematiche prevalenti: fatica nell’elaborazione del lutto, senso di fragilità e smarrimento, timore per il futuro dei figli, solitudine, ma anche desiderio di rinascita e di condivisione. Famiglia è anche la famiglia di chi ha visto la trasformazione del proprio legame in una separazione necessaria. Famiglia è anche la famiglia di chi si è trovato solo nella crescita dei figli. Famiglia è anche la famiglia ricostituita dopo un’esperienza di abbandono o di fallimento. Papa Francesco nell’“Amoris Laetitia” ci ha invitato al discernimento, ad astenerci dal facile giudizio, ad interrogarci su una pastorale schematica che si è sempre rivolta a gruppi di persone omogenee, con le stesse condizioni di vita. Accogliere significa vedere la persona al di là delle sue scelte, delle sue fatiche, dei suoi “fallimenti”, con il desiderio di costruire una vera comunità, costruita su relazioni sincere, senza il timore di perdere i punti di riferimento.


Ri-Creazione: vita da studente. Dal 15 al 19 gennaio incontri per giovani alla Biblioteca Cicognani

Venti minuti di spunti di riflessione sulla vita universitaria. Dal 15 al 19 gennaio con inizio alle 17 in aula San Pier Damiani del Seminario (presso le aule studio) viene proposto questo percorso a cura dell’Area Giovani e Vocazioni della Diocesi e dalla Biblioteca Card. Cicognani. A condurre gli incontri sarà don Michele Morandi, vicario generale e rettore del Seminario. La partecipazione è gratuita e non occorre iscriversi.


Il 1° gennaio in Cattedrale la Messa per la Giornata mondiale per la pace

Lunedì 1 gennaio Solennità di Maria Santissima Madre di DioGiornata mondiale della pace, in Cattedrale a Faenza messe alle 8 alle 10.30 e alle 12. Alle 17 Adorazione e Vespri, alle 18 messa presieduta dal vescovo monsignor Mario Toso.

Il Messaggio di papa Francesco

Intelligenza artificiale e pace

All’inizio del nuovo anno, tempo di grazia che il Signore dona a ciascuno di noi, vorrei rivolgermi al Popolo di Dio, alle nazioni, ai Capi di Stato e di Governo, ai Rappresentanti delle diverse religioni e della società civile, a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo per porgere i miei auguri di pace.

1. Il progresso della scienza e della tecnologia come via verso la pace

La Sacra Scrittura attesta che Dio ha donato agli uomini il suo Spirito affinché abbiano «saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro» (Es 35,31). L’intelligenza è espressione della dignità donataci dal Creatore, che ci ha fatti a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,26) e ci ha messo in grado di rispondere al suo amore attraverso la libertà e la conoscenza. La scienza e la tecnologia manifestano in modo particolare tale qualità fondamentalmente relazionale dell’intelligenza umana: sono prodotti straordinari del suo potenziale creativo.

Nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes, il Concilio Vaticano II ha ribadito questa verità, dichiarando che «col suo lavoro e col suo ingegno l’uomo ha cercato sempre di sviluppare la propria vita» [1]. Quando gli esseri umani, «con l’aiuto della tecnica», si sforzano affinchè la terra «diventi una dimora degna di tutta la famiglia umana» [2], agiscono secondo il disegno di Dio e cooperano con la sua volontà di portare a compimento la creazione e di diffondere la pace tra i popoli. Anche il progresso della scienza e della tecnica, nella misura in cui contribuisce a un migliore ordine della società umana, ad accrescere la libertà e la comunione fraterna, porta dunque al miglioramento dell’uomo e alla trasformazione del mondo.

Giustamente ci rallegriamo e siamo riconoscenti per le straordinarie conquiste della scienza e della tecnologia, grazie alle quali si è posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano la vita umana e causavano grandi sofferenze. Allo stesso tempo, i progressi tecnico-scientifici, rendendo possibile l’esercizio di un controllo finora inedito sulla realtà, stanno mettendo nelle mani dell’uomo una vasta gamma di possibilità, alcune delle quali possono rappresentare un rischio per la sopravvivenza e un pericolo per la casa comune [3].

I notevoli progressi delle nuove tecnologie dell’informazione, specialmente nella sfera digitale, presentano dunque entusiasmanti opportunità e gravi rischi, con serie implicazioni per il perseguimento della giustizia e dell’armonia tra i popoli. È pertanto necessario porsi alcune domande urgenti. Quali saranno le conseguenze, a medio e a lungo termine, delle nuove tecnologie digitali? E quale impatto avranno sulla vita degli individui e della società, sulla stabilità internazionale e sulla pace?

2. Il futuro dell’intelligenza artificiale tra promesse e rischi

I progressi dell’informatica e lo sviluppo delle tecnologie digitali negli ultimi decenni hanno già iniziato a produrre profonde trasformazioni nella società globale e nelle sue dinamiche. I nuovi strumenti digitali stanno cambiando il volto delle comunicazioni, della pubblica amministrazione, dell’istruzione, dei consumi, delle interazioni personali e di innumerevoli altri aspetti della vita quotidiana.

Inoltre, le tecnologie che impiegano una molteplicità di algoritmi possono estrarre, dalle tracce digitali lasciate su internet, dati che consentono di controllare le abitudini mentali e relazionali delle persone a fini commerciali o politici, spesso a loro insaputa, limitandone il consapevole esercizio della libertà di scelta. Infatti, in uno spazio come il web, caratterizzato da un sovraccarico di informazioni, possono strutturare il flusso di dati secondo criteri di selezione non sempre percepiti dall’utente.

Dobbiamo ricordare che la ricerca scientifica e le innovazioni tecnologiche non sono disincarnate dalla realtà e «neutrali» [4], ma soggette alle influenze culturali. In quanto attività pienamente umane, le direzioni che prendono riflettono scelte condizionate dai valori personali, sociali e culturali di ogni epoca. Dicasi lo stesso per i risultati che conseguono: essi, proprio in quanto frutto di approcci specificamente umani al mondo circostante, hanno sempre una dimensione etica, strettamente legata alle decisioni di chi progetta la sperimentazione e indirizza la produzione verso particolari obiettivi.

Questo vale anche per le forme di intelligenza artificiale. Di essa, ad oggi, non esiste una definizione univoca nel mondo della scienza e della tecnologia. Il termine stesso, ormai entrato nel linguaggio comune, abbraccia una varietà di scienze, teorie e tecniche volte a far sì che le macchine riproducano o imitino, nel loro funzionamento, le capacità cognitive degli esseri umani. Parlare al plurale di “forme di intelligenza” può aiutare a sottolineare soprattutto il divario incolmabile che esiste tra questi sistemi, per quanto sorprendenti e potenti, e la persona umana: essi sono, in ultima analisi, “frammentari”, nel senso che possono solo imitare o riprodurre alcune funzioni dell’intelligenza umana. L’uso del plurale evidenzia inoltre che questi dispositivi, molto diversi tra loro, vanno sempre considerati come “sistemi socio-tecnici”. Infatti il loro impatto, al di là della tecnologia di base, dipende non solo dalla progettazione, ma anche dagli obiettivi e dagli interessi di chi li possiede e di chi li sviluppa, nonché dalle situazioni in cui vengono impiegati.

L’intelligenza artificiale, quindi, deve essere intesa come una galassia di realtà diverse e non possiamo presumere a priori che il suo sviluppo apporti un contributo benefico al futuro dell’umanità e alla pace tra i popoli. Tale risultato positivo sarà possibile solo se ci dimostreremo capaci di agire in modo responsabile e di rispettare valori umani fondamentali come «l’inclusione, la trasparenza, la sicurezza, l’equità, la riservatezza e l’affidabilità» [5].

Non è sufficiente nemmeno presumere, da parte di chi progetta algoritmi e tecnologie digitali, un impegno ad agire in modo etico e responsabile. Occorre rafforzare o, se necessario, istituire organismi incaricati di esaminare le questioni etiche emergenti e di tutelare i diritti di quanti utilizzano forme di intelligenza artificiale o ne sono influenzati [6].

L’immensa espansione della tecnologia deve quindi essere accompagnata da un’adeguata formazione alla responsabilità per il suo sviluppo. La libertà e la convivenza pacifica sono minacciate quando gli esseri umani cedono alla tentazione dell’egoismo, dell’interesse personale, della brama di profitto e della sete di potere. Abbiamo perciò il dovere di allargare lo sguardo e di orientare la ricerca tecnico-scientifica al perseguimento della pace e del bene comune, al servizio dello sviluppo integrale dell’uomo e della comunità [7].

La dignità intrinseca di ogni persona e la fraternità che ci lega come membri dell’unica famiglia umana devono stare alla base dello sviluppo di nuove tecnologie e servire come criteri indiscutibili per valutarle prima del loro impiego, in modo che il progresso digitale possa avvenire nel rispetto della giustizia e contribuire alla causa della pace. Gli sviluppi tecnologici che non portano a un miglioramento della qualità di vita di tutta l’umanità, ma al contrario aggravano le disuguaglianze e i conflitti, non potranno mai essere considerati vero progresso [8].

L’intelligenza artificiale diventerà sempre più importante. Le sfide che pone sono tecniche, ma anche antropologiche, educative, sociali e politiche. Promette, ad esempio, un risparmio di fatiche, una produzione più efficiente, trasporti più agevoli e mercati più dinamici, oltre a una rivoluzione nei processi di raccolta, organizzazione e verifica dei dati. Occorre essere consapevoli delle rapide trasformazioni in atto e gestirle in modo da salvaguardare i diritti umani fondamentali, rispettando le istituzioni e le leggi che promuovono lo sviluppo umano integrale. L’intelligenza artificiale dovrebbe essere al servizio del migliore potenziale umano e delle nostre più alte aspirazioni, non in competizione con essi.

3. La tecnologia del futuro: macchine che imparano da sole

Nelle sue molteplici forme l’intelligenza artificiale, basata su tecniche di apprendimento automatico (machine learning), pur essendo ancora in fase pionieristica, sta già introducendo notevoli cambiamenti nel tessuto delle società, esercitando una profonda influenza sulle culture, sui comportamenti sociali e sulla costruzione della pace.

Sviluppi come il machine learning o come l’apprendimento profondo (deep learning) sollevano questioni che trascendono gli ambiti della tecnologia e dell’ingegneria e hanno a che fare con una comprensione strettamente connessa al significato della vita umana, ai processi basilari della conoscenza e alla capacità della mente di raggiungere la verità.

L’abilità di alcuni dispositivi nel produrre testi sintatticamente e semanticamente coerenti, ad esempio, non è garanzia di affidabilità. Si dice che possano “allucinare”, cioè generare affermazioni che a prima vista sembrano plausibili, ma che in realtà sono infondate o tradiscono pregiudizi. Questo pone un serio problema quando l’intelligenza artificiale viene impiegata in campagne di disinformazione che diffondono notizie false e portano a una crescente sfiducia nei confronti dei mezzi di comunicazione. La riservatezza, il possesso dei dati e la proprietà intellettuale sono altri ambiti in cui le tecnologie in questione comportano gravi rischi, a cui si aggiungono ulteriori conseguenze negative legate a un loro uso improprio, come la discriminazione, l’interferenza nei processi elettorali, il prendere piede di una società che sorveglia e controlla le persone, l’esclusione digitale e l’inasprimento di un individualismo sempre più scollegato dalla collettività. Tutti questi fattori rischiano di alimentare i conflitti e di ostacolare la pace.

4. Il senso del limite nel paradigma tecnocratico

Il nostro mondo è troppo vasto, vario e complesso per essere completamente conosciuto e classificato. La mente umana non potrà mai esaurirne la ricchezza, nemmeno con l’aiuto degli algoritmi più avanzati. Questi, infatti, non offrono previsioni garantite del futuro, ma solo approssimazioni statistiche. Non tutto può essere pronosticato, non tutto può essere calcolato; alla fine «la realtà è superiore all’idea» [9]e, per quanto prodigiosa possa essere la nostra capacità di calcolo, ci sarà sempre un residuo inaccessibile che sfugge a qualsiasi tentativo di misurazione.

Inoltre, la grande quantità di dati analizzati dalle intelligenze artificiali non è di per sé garanzia di imparzialità. Quando gli algoritmi estrapolano informazioni, corrono sempre il rischio di distorcerle, replicando le ingiustizie e i pregiudizi degli ambienti in cui esse hanno origine. Più diventano veloci e complessi, più è difficile comprendere perché abbiano prodotto un determinato risultato.

Le macchine “intelligenti” possono svolgere i compiti loro assegnati con sempre maggiore efficienza, ma lo scopo e il significato delle loro operazioni continueranno a essere determinati o abilitati da esseri umani in possesso di un proprio universo di valori. Il rischio è che i criteri alla base di certe scelte diventino meno chiari, che la responsabilità decisionale venga nascosta e che i produttori possano sottrarsi all’obbligo di agire per il bene della comunità. In un certo senso, ciò è favorito dal sistema tecnocratico, che allea l’economia con la tecnologia e privilegia il criterio dell’efficienza, tendendo a ignorare tutto ciò che non è legato ai suoi interessi immediati [10].

Questo deve farci riflettere su un aspetto tanto spesso trascurato nella mentalità attuale, tecnocratica ed efficientista, quanto decisivo per lo sviluppo personale e sociale: il “senso del limite”. L’essere umano, infatti, mortale per definizione, pensando di travalicare ogni limite in virtù della tecnica, rischia, nell’ossessione di voler controllare tutto, di perdere il controllo su sé stesso; nella ricerca di una libertà assoluta, di cadere nella spirale di una dittatura tecnologica. Riconoscere e accettare il proprio limite di creatura è per l’uomo condizione indispensabile per conseguire, o meglio, accogliere in dono la pienezza. Invece, nel contesto ideologico di un paradigma tecnocratico, animato da una prometeica presunzione di autosufficienza, le disuguaglianze potrebbero crescere a dismisura, e la conoscenza e la ricchezza accumularsi nelle mani di pochi, con gravi rischi per le società democratiche e la coesistenza pacifica [11].

5. Temi scottanti per l’etica

In futuro, l’affidabilità di chi richiede un mutuo, l’idoneità di un individuo ad un lavoro, la possibilità di recidiva di un condannato o il diritto a ricevere asilo politico o assistenza sociale potrebbero essere determinati da sistemi di intelligenza artificiale. La mancanza di diversificati livelli di mediazione che questi sistemi introducono è particolarmente esposta a forme di pregiudizio e discriminazione: gli errori sistemici possono facilmente moltiplicarsi, producendo non solo ingiustizie in singoli casi ma anche, per effetto domino, vere e proprie forme di disuguaglianza sociale.

Talvolta, inoltre, le forme di intelligenza artificiale sembrano in grado di influenzare le decisioni degli individui attraverso opzioni predeterminate associate a stimoli e dissuasioni, oppure mediante sistemi di regolazione delle scelte personali basati sull’organizzazione delle informazioni. Queste forme di manipolazione o di controllo sociale richiedono un’attenzione e una supervisione accurate, e implicano una chiara responsabilità legale da parte dei produttori, di chi le impiega e delle autorità governative.

L’affidamento a processi automatici che categorizzano gli individui, ad esempio attraverso l’uso pervasivo della vigilanza o l’adozione di sistemi di credito sociale, potrebbe avere ripercussioni profonde anche sul tessuto civile, stabilendo improprie graduatorie tra i cittadini. E questi processi artificiali di classificazione potrebbero portare anche a conflitti di potere, non riguardando solo destinatari virtuali, ma persone in carne ed ossa. Il rispetto fondamentale per la dignità umana postula di rifiutare che l’unicità della persona venga identificata con un insieme di dati. Non si deve permettere agli algoritmi di determinare il modo in cui intendiamo i diritti umani, di mettere da parte i valori essenziali della compassione, della misericordia e del perdono o di eliminare la possibilità che un individuo cambi e si lasci alle spalle il passato.

In questo contesto non possiamo fare a meno di considerare l’impatto delle nuove tecnologie in ambito lavorativo: mansioni che un tempo erano appannaggio esclusivo della manodopera umana vengono rapidamente assorbite dalle applicazioni industriali dell’intelligenza artificiale. Anche in questo caso, c’è il rischio sostanziale di un vantaggio sproporzionato per pochi a scapito dell’impoverimento di molti. Il rispetto della dignità dei lavoratori e l’importanza dell’occupazione per il benessere economico delle persone, delle famiglie e delle società, la sicurezza degli impieghi e l’equità dei salari dovrebbero costituire un’alta priorità per la Comunità internazionale, mentre queste forme di tecnologia penetrano sempre più profondamente nei luoghi di lavoro.

6. Trasformeremo le spade in vomeri?

In questi giorni, guardando il mondo che ci circonda, non si può sfuggire alle gravi questioni etiche legate al settore degli armamenti. La possibilità di condurre operazioni militari attraverso sistemi di controllo remoto ha portato a una minore percezione della devastazione da essi causata e della responsabilità del loro utilizzo, contribuendo a un approccio ancora più freddo e distaccato all’immensa tragedia della guerra. La ricerca sulle tecnologie emergenti nel settore dei cosiddetti “sistemi d’arma autonomi letali”, incluso l’utilizzo bellico dell’intelligenza artificiale, è un grave motivo di preoccupazione etica. I sistemi d’arma autonomi non potranno mai essere soggetti moralmente responsabili: l’esclusiva capacità umana di giudizio morale e di decisione etica è più di un complesso insieme di algoritmi, e tale capacità non può essere ridotta alla programmazione di una macchina che, per quanto “intelligente”, rimane pur sempre una macchina. Per questo motivo, è imperativo garantire una supervisione umana adeguata, significativa e coerente dei sistemi d’arma.

Non possiamo nemmeno ignorare la possibilità che armi sofisticate finiscano nelle mani sbagliate, facilitando, ad esempio, attacchi terroristici o interventi volti a destabilizzare istituzioni di governo legittime. Il mondo, insomma, non ha proprio bisogno che le nuove tecnologie contribuiscano all’iniquo sviluppo del mercato e del commercio delle armi, promuovendo la follia della guerra. Così facendo, non solo l’intelligenza, ma il cuore stesso dell’uomo, correrà il rischio di diventare sempre più “artificiale”. Le più avanzate applicazioni tecniche non vanno impiegate per agevolare la risoluzione violenta dei conflitti, ma per pavimentare le vie della pace.

In un’ottica più positiva, se l’intelligenza artificiale fosse utilizzata per promuovere lo sviluppo umano integrale, potrebbe introdurre importanti innovazioni nell’agricoltura, nell’istruzione e nella cultura, un miglioramento del livello di vita di intere nazioni e popoli, la crescita della fraternità umana e dell’amicizia sociale. In definitiva, il modo in cui la utilizziamo per includere gli ultimi, cioè i fratelli e le sorelle più deboli e bisognosi, è la misura rivelatrice della nostra umanità.

Uno sguardo umano e il desiderio di un futuro migliore per il nostro mondo portano alla necessità di un dialogo interdisciplinare finalizzato a uno sviluppo etico degli algoritmi – l’algor-etica –, in cui siano i valori a orientare i percorsi delle nuove tecnologie [12]. Le questioni etiche dovrebbero essere tenute in considerazione fin dall’inizio della ricerca, così come nelle fasi di sperimentazione, progettazione, produzione, distribuzione e commercializzazione. Questo è l’approccio dell’etica della progettazione, in cui le istituzioni educative e i responsabili del processo decisionale hanno un ruolo essenziale da svolgere.

7. Sfide per l’educazione

Lo sviluppo di una tecnologia che rispetti e serva la dignità umana ha chiare implicazioni per le istituzioni educative e per il mondo della cultura. Moltiplicando le possibilità di comunicazione, le tecnologie digitali hanno permesso di incontrarsi in modi nuovi. Tuttavia, rimane la necessità di una riflessione continua sul tipo di relazioni a cui ci stanno indirizzando. I giovani stanno crescendo in ambienti culturali pervasi dalla tecnologia e questo non può non mettere in discussione i metodi di insegnamento e formazione.

L’educazione all’uso di forme di intelligenza artificiale dovrebbe mirare soprattutto a promuovere il pensiero critico. È necessario che gli utenti di ogni età, ma soprattutto i giovani, sviluppino una capacità di discernimento nell’uso di dati e contenuti raccolti sul web o prodotti da sistemi di intelligenza artificiale. Le scuole, le università e le società scientifiche sono chiamate ad aiutare gli studenti e i professionisti a fare propri gli aspetti sociali ed etici dello sviluppo e dell’utilizzo della tecnologia.

La formazione all’uso dei nuovi strumenti di comunicazione dovrebbe tenere conto non solo della disinformazione, delle fake news, ma anche dell’inquietante recrudescenza di «paure ancestrali […] che hanno saputo nascondersi e potenziarsi dietro nuove tecnologie» [13]. Purtroppo, ancora una volta ci troviamo a dover combattere “la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare muri per impedire l’incontro con altre culture, con altra gente” [14]e lo sviluppo di una coesistenza pacifica e fraterna.

8. Sfide per lo sviluppo del diritto internazionale

La portata globale dell’intelligenza artificiale rende evidente che, accanto alla responsabilità degli Stati sovrani di disciplinarne l’uso al proprio interno, le Organizzazioni internazionali possono svolgere un ruolo decisivo nel raggiungere accordi multilaterali e nel coordinarne l’applicazione e l’attuazione [15]. A tale proposito, esorto la Comunità delle nazioni a lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme. L’obiettivo della regolamentazione, naturalmente, non dovrebbe essere solo la prevenzione delle cattive pratiche, ma anche l’incoraggiamento delle buone pratiche, stimolando approcci nuovi e creativi e facilitando iniziative personali e collettive [16].

In definitiva, nella ricerca di modelli normativi che possano fornire una guida etica agli sviluppatori di tecnologie digitali, è indispensabile identificare i valori umani che dovrebbero essere alla base dell’impegno delle società per formulare, adottare e applicare necessari quadri legislativi. Il lavoro di redazione di linee guida etiche per la produzione di forme di intelligenza artificiale non può prescindere dalla considerazione di questioni più profonde riguardanti il significato dell’esistenza umana, la tutela dei diritti umani fondamentali, il perseguimento della giustizia e della pace. Questo processo di discernimento etico e giuridico può rivelarsi un’occasione preziosa per una riflessione condivisa sul ruolo che la tecnologia dovrebbe avere nella nostra vita individuale e comunitaria e su come il suo utilizzo possa contribuire alla creazione di un mondo più equo e umano. Per questo motivo, nei dibattiti sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, si dovrebbe tenere conto della voce di tutte le parti interessate, compresi i poveri, gli emarginati e altri che spesso rimangono inascoltati nei processi decisionali globali.

* * *

Spero che questa riflessione incoraggi a far sì che i progressi nello sviluppo di forme di intelligenza artificiale servano, in ultima analisi, la causa della fraternità umana e della pace. Non è responsabilità di pochi, ma dell’intera famiglia umana. La pace, infatti, è il frutto di relazioni che riconoscono e accolgono l’altro nella sua inalienabile dignità, e di cooperazione e impegno nella ricerca dello sviluppo integrale di tutte le persone e di tutti i popoli.

La mia preghiera all’inizio del nuovo anno è che il rapido sviluppo di forme di intelligenza artificiale non accresca le troppe disuguaglianze e ingiustizie già presenti nel mondo, ma contribuisca a porre fine a guerre e conflitti, e ad alleviare molte forme di sofferenza che affliggono la famiglia umana. Possano i fedeli cristiani, i credenti di varie religioni e gli uomini e le donne di buona volontà collaborare in armonia per cogliere le opportunità e affrontare le sfide poste dalla rivoluzione digitale, e consegnare alle generazioni future un mondo più solidale, giusto e pacifico.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2023

FRANCESCO

“Per una rinascita”. Gli auguri di Buon Natale dal Vescovo Mons. Mario Toso

Carissimi tutti, sia questo un Natale di rinascita. Gesù viene tra noi perché viviamo con Lui. Lo accogliamo per vivere il suo Amore in tutti i nostri impegni e le nostre responsabilità. Un tale amore ci è donato per continuare con ardore ed intelligenza creativa il cammino sinodale, la Visita pastorale già iniziata, l’opera di ricostruzione delle infrastrutture, delle case danneggiate sia da una duplice alluvione sia dal terremoto, sia da una tromba d’aria che ha devastato colture, ha scoperchiato abitazioni e fabbriche. L’amore che ci porta Gesù Bambino mobilita la generosità, la solidarietà di tutti noi affinché insieme riusciamo a far fronte ad un’opera grande, comunitaria. Non è finito il tempo del mutuo aiuto. Tutt’altro. Deve continuare, con la consapevolezza che ci possiamo rialzare se siamo tutti uniti e convergenti. Nessuno può esimersi dal dare il proprio contributo. In questo momento storico è importante non perdersi d’animo e non fermarsi. Non possiamo non vivere i sentimenti e gli atteggiamenti di Gesù Cristo che si fa povero e nostro servo perché cresca in noi un’umanità nuova, degna dei figli di Dio, tutti fratelli e sorelle. Gesù Bambino si rende samaritano perché lo siamo anche noi, prendendoci cura gli uni degli altri, senza interruzioni. Cresciamo come comunità cristiane attive, inserite nel territorio, vivendo con verità ed ardore l’annuncio di Cristo, riconoscendolo nell’Eucaristia come hanno fatto i discepoli di Emmaus, operando con il suo Amore sia nella edificazione del suo Corpo sia nella umanizzazione di tutte le attività umane. Togliamo da noi il sale insipido, le asprezze, le avidità che, purtroppo, nel momento della ricostruzione non diminuiscono. Talvolta è vero il contrario. Accresciamo l’integrazione degli immigrati offrendo loro possibilità di qualificazione professionale e di inserimento nel mondo del lavoro, come già sta avvenendo in maniera esemplare in diverse cooperative ed imprese lungimiranti. Non c’è solo da offrire lavoro a chi è senza, ma occorre continuare a lavorare intensamente per migliorare le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, la loro remunerazione, la loro formazione morale e civile. Non dimentichiamo che la vera integrazione richiede la crescita del dialogo culturale e interreligioso, senza l’annientamento delle identità e della libertà. Risulta necessario, inoltre, un più stretto rapporto tra imprese e istituzioni scolastiche, perché si verifica che diverse aziende non trovano persone qualificate.  Il cantiere in cui ci troviamo a lavorare è ampio. Il nostro contesto socioculturale è segnato da gravi questioni proprie di una terza guerra mondiale a pezzi, di un’ecologia integrale, di epidemie sempre in agguato, di umanizzazione dell’intelligenza artificiale. Siamo, allora, architetti ed artigiani di pace a tutto campo, facendo sì che la nostra preghiera si traduca in opere concrete, come la costruzione di istituzioni atte a mantenerla e a consolidarla, riformando quelle insufficienti o inventandone di nuove, più efficaci. La pace viene dalle persone, dai cuori liberi dalla violenza, purificati dalle fede, immedesimati con la Persona del Signore Gesù. Vivendo in Lui, tutte le nostre famiglie, in rete con altre istituzioni, sono sollecitate all’educazione alla pace. Un grande tesoro da valorizzare sono i nostri nonni, che conservano un cuore ricco di empatia nei confronti delle nuove generazioni. Tutte le volte che ho la fortuna di incontrarli me ne convinco sempre di più.  Sono loro per primi a insegnarci la pace vera. Le urgenze che premono esigono che non perdiamo troppo tempo in parole. I poveri attendono. Mettiamoli al centro delle nostre sollecitudini. La Caritas diocesana sta facendo di tutto per aiutare il maggior numero possibile di alluvionati e di sfollati.

Accogliamo senza esitazioni il Figlio di Dio. AmiamoLo con tutto noi stessi, offriamo a Lui tutta la nostra vita. Con Lui vivremo attivi, creativi, gioiosi, ricchi di speranza, operosi nella carità dell’annuncio della testimonianza e del dono di noi stessi. Prepariamo in noi la sua via. Convertiamoci! Il Bambino Gesù vi benedica e vi colmi di ogni dono! Vi abbraccio tutti. Pace e ogni bene. Gloria a Dio!

                                                  + Mario Toso


La visita del Segretario di Stato, card. Parolin, per il 50° anniversario della morte del card. Amleto Cicognani

Vigilanza, sapienza e ferma speranza. Sono questi alcuni dei carismi che hanno guidato l’attività diplomatica del cardinale Amleto Cicognani nel suo lungo servizio per la Chiesa. In occasione del 50esimo della morte, la Diocesi di Faenza-Modigliana ha promosso nella giornata di 17 dicembre un convegno e una messa in suffragio del cardinale originario di Brisighella e che è stato, tra i numerosi incarichi ricevuti, segretario di stato per i papi Giovanni XXIII e Paolo VI. Una testimonianza di primo piano della Chiesa che la Diocesi e il vescovo monsignor Mario Toso hanno voluto fortemente ricordare. Per l’occasione, la giornata di commemorazione ha visto la visita, a Faenza, del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, che nella sua relazione ha ripercorso le tappe più significative della vita del cardinale Cicognani, prima di presiedere la messa in suffragio in Cattedrale.

Il convegno, alla sala San Carlo, è stato aperto dai saluti del vescovo Mario, e del vicario generale monsignor Michele Morandi. In particolare, monsignor Toso ha ribadito il forte legame che Amleto Cicognani, «illustre figlio di questa Diocesi» ha mantenuto con la sua terra d’origine.
Tra i relatori, oltre al vescovo e al cardinale Parolin, anche monsignor Maurizio Tagliaferri. Al convegno hanno presenziato anche l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni, il vescovo di Forlì, monsignor Livio Corazza e il vescovo emerito di Faenza, monsignor Claudio Stagni e le autorità, tra cui il sindaco di Faenza Massimo Isola, la vice sindaco di Brisighella Marta Farolfi e il comandante dei Carabinieri Alessandro Averna Chinnici.

I legami con la terra d’origine

«Nonostante la lontananza dovuta agli impegni apostolici – ha detto il vescovo – ebbe sempre nel cuore il suo paese di origine, Brisighella, dove nacque e rinacque alla fede. Le radici della sua vocazione, della sua spiritualità, affondano nella rigogliosa tradizione ecclesiale faentina. Alle origini della sua vocazione e della sua formazione stanno i genitori e la famiglia, assieme allo zelante parroco monsignor Antonio Casanova, animatore di tante istituzioni di bene. Nel Seminario di Faenza incontrò due figure eccezionali che ne segnarono indelebilmente la vita, il rettore monsignor Francesco Lanzoni (1862-1929) e il direttore spirituale il servo di Dio monsignor Paolo Taroni (1827-1901)».
«Sentiva un grande affetto per la sua Chiesa d’origine – ha proseguito il vescovo -. Non potendo mostrarlo di persona, non permettendoglielo i suoi alti incarichi, lo esprimeva con aiuti a istituzioni e persone. Dopo la guerra le necessità, peraltro, non si facevano mancare. Assieme al fratello cardinale Gaetano Cicognani, anche lui diplomatico, rivolse dapprima la sua attenzione al paese natio. Dietro consiglio del vescovo Giuseppe Battaglia procurò, nel 1947, una sede spaziosa all’asilo parrocchiale, centro insieme di attività catechistiche, ricreatorie e di Azione Cattolica. Nonostante non desiderasse apparire, tratto questo caratteristico del cardinale, il luogo venne intitolato alla famiglia e si chiamò “Asilo Cicognani”».Nel 1948 il vescovo Battaglia pose la prima pietra del nuovo Seminario, simbolo della ricostruzione materiale e spirituale della Diocesi. Il cardinale volle partecipare donando le magnifiche Cappelle che sorgono nel complesso inaugurate nel 1953.

Al servizio della Chiesa

Riprendendo le parole di san Giovanni paolo II, il cardinale Parolin ha definito Cicognani «un grande servitore della Santa Sede», e ha ripercorso le tappe principali della sua vita, che si è svolta in un contesto mondiale complesso: dalla crisi del ’29 alle, iniziali, difficili relazioni con gli Stati Uniti arrivando poi fino alla guerra mondiale, il rinnovamento post-conciliare e la guerra fredda. Il cardinale Cicognani seppe muoversi con sapienza e autonomia, distante da certe posizioni della curia romana, ottenendo risultati importanti nel suo operato pastorale su temi come la pace, la libertà, il disarmo, l’autodeterminazione dei popoli. Mostrò in particolare grande attenzione sugli effetti che le proprie parole potevano avere sulle chiese locali: «certe prese di posizione a livello diplomatico – ha sottolineato Parolin -, in epoca della guerra fredda, avrebbero potuto danneggiare non solo i rapporti con gli Stati, ma soprattutto le chiese locali orientali e i più deboli. Anche nei rapporti tra arabi e israeliani fu sempre misurato. Un insegnamento che vale ancora oggi per il presente».

Monsignor Tagliaferri ha approfondito, in particolare, l’attività diplomatica di Cicognani come nunzio apostolico negli Stati Uniti, durata ben 25 anni, e sui cui ancora tanto c’è da esplorare grazie all’apertura degli archivi vaticani. Fondamentale fu il suo ruolo nel riavvicinare le relazioni tra il Vaticano e gli Stati Uniti. Tagliaferri ha sottolineato alcuni temi specifici tra i suoi dossier come «le crociate contro Hollywood» o il «problema legato al controllo delle nascite».


Natale. La messa del vescovo Mario all’hospice Villa Agnesina

Nei giorni scorsi il vescovo monsignor Mario Toso ha presieduto la tradizionale messa di Natale all’Hospice Villa Agnesina di Castel Raniero a Faenza. Presenti alla celebrazione anche il sindaco, Massimo Isola, la direttrice del distretto ospedaliero, Donatina Cilla, e il direttore della struttura Luciano Montanari, e altri operatori e ospiti dell’hospice.
Un’occasione per vivere assieme l’avvicinarsi del Natale stando a fianco di chi, in questo momento, ha più bisogno.