[ott 29] Tutti missionari e corresponsabili

29-10-2020

Premessa

Il titolo di questo incontro Tutti missionari e corresponsabili è stato scelto perché ci aiuta a vedere la continuità ideale tra la Lettera pastorale Voi siete la luce del mondo[1]e il Sussidio pastorale  per l’anno 2020-2021 Nuova evangelizzazione: luoghi pastorali.[2]

L’evangelizzazione intesa come compito di tutti

Per comprendere la missione dei credenti occorre far riferimento ad alcune premesse  di fede.  In maniera sintetica, posiamo dire:  Noi tutti siamo una missione, sia per mandato di Gesù – «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20-21) –, sia perché siamo battezzati, cresimati ed eucaristizzati. Battezzati, cresimati, eucaristizzati,  i credenti partecipano della vita di Cristo e della sua missione: predicare la buona novella, cioè la venuta del Regno di Dio.

Gli inizi della comunità cristiana

Negli Atti degli apostoli troviamo tratteggiata la comunità cristiana in questa maniera: erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. (At 2, 42 e ss.). Avevano un cuor solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era in comune (At 4, 32 e ss.). Ma non mancava mai la seguente connotazione: pervasi dallo Spirito santo, erano posseduti da un desidero incomprimibile di annunciare Cristo,morto e risorto. La Chiesa viveva del proprio mandato missionario. Non era sopraffatta da stanchezza. Trovava sempre energie nuove nell’annuncio di Cristo risorto, nonostante gli ostacoli.

Gli apostoli e i credenti convertiti andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola. Filippo va in Samaria.  Dalla Chiesa di Antiochia, inviati dallo Spirito Santo, partirono alla volta di Cipro, Barnaba e Saulo. Paolo si separa da Barnaba e si aggrega Sila. Attraversano la Siria e la Cilicia. Barnaba prende con sé Marco e ritorna a Cipro. Ciò che muove gli apostoli e i convertiti, perseguitati o no, è sempre il forte impulso dell’evangelizzazione. Non trattengono per sé Gesù Cristo, come un tesoro geloso. L’Apostolo scrive: «Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22).

Altri tratti delle prime comunità missionarie: carità e annuncio di Cristo

Già sin dagli inizi ci sono divisioni e discordie anche nella Chiesa di Corinto, alcuni dicono: Io sono di Paolo, io invece di Cefa, e io di Cristo. Paolo così educa i primi credenti rissosi: «È forse diviso Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? In altri termini, Paolo spiega che al centro della vita della comunità e dell’evangelizzazione c’è Gesù Cristo, il suo Amore. Al centro non ci debbono essere gli stessi evangelizzatori.

Nelle comunità vi sono diversità ed unità di carismi, vi sono molte membra e tutte operano per l’utilità comune, tutte sono mosse dall’unico Spirito d’Amore di Cristo (il carisma più alto). Uno solo è il Signore. Uno solo è Dio che opera tutto in tutti. Lo Spirito di Dio struttura tutti nella comunione con Cristo e con i fratelli, li sollecita alla costruzione della comunità, li proietta nell’annuncio di Cristo  risorto. A voi, afferma Paolo ho trasmesso, anzitutto, «quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (cf 1 Cor 12-15).

Tutta la vita della Chiesa è fondata sulla Carità di Cristo, ricevuta, accolta, celebrata e testimoniata. Tutto ciò che compie la Chiesa è mosso dalla Carità, permeato da essa. Carità è vita d’amore, è la comunione dei credenti con il Padre e tra di loro, è la celebrazione eucaristica e degli altri sacramenti, è l’azione del servizio ai più poveri, è l’annuncio di Cristo, è l’evangelizzazione. La vita della comunità non si riduce all’aiuto ai poveri, ma comprende per l’appunto l’evangelizzazione. Comprende, per esprimerci con un linguaggio più vicino a noi, la catechesi, l’educazione alla fede, la scuola cattolica.

L’evangelizzazione:  nella prospettiva del Concilio Vaticano II

Il compito dell’evangelizzazione è missione di tutta la Chiesa, di tutti:  vescovipresbiteri, diaconi, famiglie, christifideles laici,   genitori, religiosi, movimenti, associazioni, aggregazioni. L’evangelizzazione o la missione non è un momento episodico e passeggero della vita e della attività della Chiesa. Ma è la stessa natura della Chiesa. Questa è una comunione con Cristo per la missione, per essere missione, per continuare la missione di Cristo!

Quello che dice il Concilio Vaticano II viene dopo un tempo in cui ci furono dei riduzionismi. La prima riduzione riguarda i soggetti della missione. L’impegno missionario venne ridotto solo ad alcuni membri, sia in campo intra-ecclesiale sia in campo extra-ecclesiale. Ad intra, la missione salvifica della Chiesa venne ridotta all’attività sacramentale dei sacerdoti nei confronti dei fedeli, così che i primi erano considerati i soggetti e i secondi i destinatari della missione. Tra l’altro, il compito dei laici nelle realtà temporali non veniva considerato parte dell’attività salvifica, della loro attività missionaria, evangelizzatrice (oggi si parla di evangelizzazione del sociale). In ambito extra-ecclesiale  la missione è ridotta alla missione alle genti, ossia all’opera che solo alcuni conducevano nel mondo non ancora evangelizzato.  In tal modo, si creò la mentalità della delega, con la quale la missione era demandata ad alcuni, detti appunto «missionari»: una riduzione che, del resto, permane anche oggi nel linguaggio comune.

La seconda riduzione è: la missione è un momento della vita ecclesiale. Si parla di Chiesa missionaria per natura solo con il Concilio Vaticano II. Questo pone la dimensione missionaria al centro della sua ecclesiologia. La missione è la stessa natura della Chiesa. La missione non cesserà mai, perché fa parte dell’identitàdella Chiesa. Non è un momento della vita ecclesiale. La Chiesa è una missione. Non bisogna trascurare la radice teologica della missione, che è l’opera trinitaria: è la missione del Figlio e dello Spirito  da parte del Padre a costituire la Chiesa. Proprio in forza della missione trinitaria la Chiesa – tuttala Chiesa – è proiettata fuori di sé, verso il mondo.[3]

La compagine della comunità cristiana: verso la misura della pienezza di Cristo (Ef 4, 11-15)

Cristo «ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo». «Così […], agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità», che sospinge all’annuncio di Cristo. Tutto dev’essere ricapitolato in Cristo (cf Ef 1), che è venuto a porre in essere una nuova creazione. Tutti i credenti sono chiamati a partecipare e a essere responsabili di tale nuova creazione.

Oggi: siamo di fronte alla riorganizzazione territoriale delle parrocchie

La riorganizzazione territoriale delle parrocchie è un processo avviato da tempo in Italia, e anche nella nostra Diocesi, tramite la costituzione di Unità Pastorali (d’ora in poi UP). Queste sono state pensate per aiutare le singole parrocchie ad uscire dall’insufficienza e dall’autoreferenzialità, per aprirsi al territorio più ampio e utilizzare meglio le forze disponibili, immaginando una pastorale più dinamica, rispetto a quella tradizionale, che ruotava attorno all’importanza di presidiare il territorio. Si conoscono oramai più forme di UP. La prima forma è quella in cui due o più parrocchie guidate da un solo parroco, con eventuali presbiteri collaboratori (cf can. 526 § 1). In tal caso, ogni parrocchia deve avere il proprio consiglio per gli affari economici, mentre il consiglio pastorale può essere comune a tutta l’UP. La seconda forma prevede due o più parrocchie guidate da diversi presbiteri con il titolo di parroci, uno dei quali svolge la funzione di moderatore dell’UP (cf can. 517 § 1). Anche in questo caso, ciascuna parrocchia deve dotarsi del suo consiglio per gli affari economici, mentre il consiglio pastorale può essere comune a tutta l’UP.

La terza forma, infine, prevede che due o più parrocchie, ciascuna con il proprio parroco, il proprio consiglio per gli affari economici e il proprio consiglio pastorale, senza alcun tipo di vincolo giuridico, decidano di cooperare in alcuni settori (ad esempio, formazione dei catechisti, coordinamento orario per la celebrazione delle Messe, processioni, preparazione comune ai sacramenti del battesimo e del matrimonio, e così via). In tutte e tre le forme, è possibile nominare un presbitero o un diacono come responsabili di una pastorale di «ambito» trasversale all’intera UP: ad esempio per i giovani, gli anziani, i malati, i catechisti, le famiglie, gli emarginati.[4]

Valutazione e nuove pratiche pastorali in vista di una evangelizzazione più intensa e capillare

Che dire circa il percorso già avviato di ristrutturazione e di riorganizzazione territoriale delle parrocchie, in vista dell’evangelizzazione? Tenendo fermi alcuni tratti caratteristici ed essenziali della parrocchia (presenza della Chiesa nel territorio, ascolto della Parola, crescita della vita cristiana, dialogo, annuncio, carità generosa, adorazione e celebrazione), per cui essa è comunità di comunità, santuario ove gli assetati possono bere, centro di costante invio missionario, si deve riconoscere che la revisione e il rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti o, quanto meno, non ha sempre reso le UP più vicine alla popolazione e luogo di comunione viva e di partecipazione, completamente orientate alla missione. Si sente l’urgenza di una evangelizzazione più dinamica e diffusa, più partecipata, specie là ove, per varie ragioni, si è avviato un percorso di unificazione delle strutture parrocchiali e la riorganizzazione della pastorale nel territorio. La diminuzione dei presbiteri stanziali o presenti solo alla domenica o saltuariamente non favorisce più un incontro profondo con gli abitanti, giovani e anziani dei paesini di campagna, di collina o di montagna. Rispetto a queste nuove situazioni, che evidenziano l’esistenza di «piccole comunità», occorre che siano ripensate le modalità della presenza pastorale della Chiesa, affinché non manchino in esse l’annuncio, la preghiera, il culto, la carità, la formazione. Ci vuole una più decisa conversione pastorale delle parrocchie e delle comunità al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa (cf Istruzione della Congregazione per il Clero). E questo, perché le persone non possono essere attese, nella loro totalità, alle celebrazioni eucaristiche delle parrocchie, cui sono collegate le piccole comunità. Qui, il parroco cercherà di essere presente il più possibile, e tuttavia sarà meno l’uomo del fare e dell’intervento diretto e più l’uomo che presiedeallo «spezzare del pane», all’evangelizzazione, alla comunione, alla formazione, alla carità. Egli concentrerà le sue energie sulla celebrazione eucaristica, sulla formazione dei catechisti di fanciulli, ragazzi, giovani, famiglie, e dei ministri della Parola, piuttosto che accollarsi direttamente tutta la catechesi, la carità, l’assistenza agli ammalati, per quanto alcuni contatti diretti, come già accennato, non potranno mancare. Rispetto a queste nuove situazioni, si dovrà vivere una reale sinodalità delle comunità parrocchiali, alla luce non tanto della collaborazione quanto della comunione e della corresponsabilità tra le varie componenti ecclesiali. E così, si giungerà alla ridefinizionedei ruoli: i laici, da collaboratori dei sacerdoti, in forza del loro battesimo saranno riconosciuti come corresponsabili dell’essere e dell’agire della Chiesa. Il che non significa creare confusione di responsabilità nelle comunità. Rimane sempre l’asimmetria tra i sacramenti dell’iniziazione cristiana e il sacramento dell’ordine.

Tutto ciò richiede un particolare impegno nella formazione teologica sulla sinodalità del corpo ecclesiale per le Diocesi.[5]E, inoltre, la scelta attenta di laici ai quali affidare, tramite un mandato del vescovo o una chiamata da parte del parroco, vari servizia favore della comunità.

Il rapporto con la comunità dev’essere reale, verificabile. Ogni servizio deve ricevere un’attenzione particolare e deve prevedere un avvicendamento, per evitare che diventino diritti acquisiti.

La corresponsabilità nelle piccole comunità può essere vissuta mediante dei ministeri laicali, aventi un carattere di stabilità, come il lettorato e l’accolitato. Per questi ministeri istituiti è richiesta una preparazione idonea, solitamente presso la Scuola Diocesana di Formazione Teologica o gli Istituti Superiori di Scienze Religiose.

Oltre ai ministri istituiti, che possono assumere anche un ruolo di coordinamento pastorale delle comunità, sempre però in riferimento a un presbitero incaricato o a un diacono (!), vi possono essere i ministri straordinari della comunione. Essi non dovrebbero diventare di fatto «ordinari».
Dovrebbero cioè essere un fatto eccezionale, riferito ad occasioni straordinarie.

Stanno, inoltre, affermandosi i gruppi ministeriali,[6]come un insieme ristretto di persone che partecipa all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia o di una unità/zona pastorale, cooperando con il parroco, moderatore o no, e facendo capo a lui.[7]L’azione pastorale è esercitata anzitutto in gruppo, relativamente all’organizzazione, alle decisioni operative, alla loro messa in atto; ma anchesingolarmente, in ordine all’ambito pastorale di intervento (formazione, liturgia, annuncio, catechesi, relazioni, ecc.). L’équipe o gruppo ministeriale permette alla singola comunità di continuare ad essere artefice della missione della Chiesa nel territorio, localizzandosi e generando alla vita della fede. Figure ministeriali prevedibili: ministri ordinati, consacrati (religiosi e religiose), fedeli laici impegnati nel volontariato, coppie di sposi, giovani. Al presbitero rimane la responsabilità piena sulla pastorale, anche se, come già accennato, non è in grado di fare tutto personalmente. I membri del gruppo ministeriale, che non si definiscono a tavolino, ma vengono cooptati sul campo per quanto una comunità ha bisogno, previo momento formativo, ricevono una nomina (mandato) dal vescovo diocesano per un determinato servizio. La nomina è a tempo determinato e rinnovabile. Le équipe non sono, evidentemente, la soluzione definitiva dei problemi pastorali. Sono uno strumento per l’oggi, che va periodicamente verificato quanto ai tempi, alla disponibilità delle persone, all’aggiornamento. Rispetto al suddetto gruppo ministeriale occorre essere costantemente audaci e creativi al fine di servire meglio l’evangelizzazione e, inoltre avviare, un percorso di formazione.

Nella nostra Diocesi è stato pensato un percorso che si sviluppa in due anni: il primo verso la corresponsabilità pastorale; il secondo verso i gruppi ministeriali. È richiesto il coinvolgimento dei parroci e dei Consigli pastorali parrocchiali nella coscientizzazione dell’urgenza di una nuova evangelizzazione e della corresponsabilizzazione dei christifideles laicie della loro adeguata formazione. Su tale percorso, al termine del mio intervento, don Massimo Goni spiegherà più in dettaglio l’articolazione dei due anni.

L’iter formativo proposto non è una scuola di teologia a libera iscrizione, ma è per quelle persone che il parroco con il suo Consiglio pastorale parrocchiale avrà individuato come dotate di senso di appartenenza ecclesiale, capaci di dialogo e di comunione. L’iter formativo riguarda i laici ma anche, in alcune serate, i parroci. Pertanto, sarà un cammino che coinvolge presbiteri e laici.

La riorganizzazione territoriale delle parrocchie è un processo che continua

Rispetto a quanto detto, nelle mutate situazioni di cambiamento di rapporto fra sacerdote e comunità, per cui, alla figura tradizionale del pastore che viveva quotidianamente con il suo popolo, si sta progressivamente sostituendo la figura di un «apostolo-itinerante», che ha davanti a sé più comunità da servire, le nostre UP e i nostri Vicariati sono chiamati a prendere in considerazione quanto segue:

  • come possano le varie comunità, che rimangono prive di un sacerdote stanziale, organizzare la catechesi, gli itinerari formativi, la preghiera comunitaria, la cura dei malati e dei poveri, la gestione di ambienti, la loro manutenzione ed altro ancora, in modo stabile e corresponsabile;
  • come impegnarsi a suscitare vocazioni diaconali, vocazioni ai ministeri istituiti e ad altri ministeri laicali che possano eventualmente costituire gruppi ministeriali, come già avviene in altre diocesi, tenendo presente che il problema non è quello di sostituire con i laici i preti che mancano, ma di far partecipare pienamente i laici alla vita della Chiesa. Senza, poi, dimenticare la costante preghiera al Signore Gesù, perché mandi operai nella sua messe, in particolare santi sacerdoti. Rispetto a ciò, deve essere sempre viva una seria pastorale vocazionale in ogni parrocchia e in ogni associazione, ed anche l’accompagnamento spirituale, specie di coloro che manifestano una chiamata al ministero presbiterale;
  • la necessità, in un caso o nell’altro, di informare e sensibilizzare le comunità, di procedere all’individuazione delle persone, di darsi dei criteri da seguire per la loro scelta (spirito di comunione, dedizione per amore del Vangelo, capacità di inserirsi in una progettualità condivisa), di formarle adeguatamente, di accompagnarle;
  • il fatto che rendere corresponsabili i laici a livello ministeriale non significa diminuzione dell’impegno nella formazione e nell’accompagnamento dei christifideles laici nella diaconia sociale (familiare, economica, professionale, ecc.), politica,[8]

                                          + Mario Toso

[1]Cf M. TOSO, Voi siete la luce del mondo. Lettera pastorale per l’anno 2019-2020, Tipografia Faentina, Faenza 2019.

[2]Cf ID., Nuova evangelizzazione: luoghi pastorali, Tipografia Faentina, Faenza 2020.

 

[3]Su questi aspetti si veda: ERIO CASTELLUCCI, «Non temere, piccolo gregge», Cittadella Editrice, Assisi 2013, pp. 20-21.

[4]   Cf Erio Castellucci, Evangelii gaudium. «Una carovana solidale», San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2018, pp. 93-96.

 

[5]   La sinodalità concerne anzitutto e principalmente una Chiesa locale, ovvero una Chiesa che si realizza in un luogo. Il Codice di Diritto canonicodedica ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare «organismi di comunione» della Diocesi: il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale. Soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col «basso» e partono dalla popolazione, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale: tali strumenti, che qualche volta procedono con stanchezza, devono essere valorizzati come occasione di ascolto e di condivisione, per giungere ad un consensoe nonsemplicemente alla ratificazione del parere di un solo elemento che intende rappresentare la propria associazione, aggregazione o movimento. Per capire il senso di quanto detto, torna senz’altro utile la rilettura del testo conciliareChristus Dominus, che, nell’esordio del numero 11, presenta il concetto di Diocesi: «È una porzione del popolo di Dio, che è affidata alle cure pastorali del vescovo coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui unita per mezzo del Vangelo e della eucaristia nello Spirito santo, costituisca una chiesa particolare, nella quale è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica».

 

[6]   Su questo, si veda l’esperienza della Diocesi di Vicenza, presentata al presbiterio nell’incontro del 18 settembre 2019 presso la Casa del Clero. L’aspetto identitario di un Gruppo ministeriale è dato dalla cura pastorale della comunità, come partecipazione ad una responsabilità in capo al parroco, e si attua mediante un servizio rivolto ad aiutare la parrocchia o la piccola comunità ad essere innanzitutto evangelizzatrice, luogo di aggregazione e di solidarietà, presenza in dialogo con il territorio in cui risiede. La funzione del Gruppo ministeriale si distingue da quella del Consiglio pastorale. In quest’ultimo è preminente la funzione del discernimento e di indirizzo della vita pastorale delle comunità. Nel primo, è preminente l’impegno affinché ogni comunità possa realizzare le indicazioni del Consiglio pastorale e le varie comunità possano esprimere in maniera ordinata e armonica il cammino comunitario.

 

[7]   La costituzione di gruppi ministeriali è prevista nel can. 517, paragrafo 2: «Nel caso che il Vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale».

 

[8]   Su questo in particolare, mi permetto di rinviare a M. Toso, Cattolici e politica, Prefazione di Stefano Zamagni, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 20193. Si veda anche Id.,Uomini e donne in cerca di pace. Commento al Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2018, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2018.