OMELIA nel 700 ANNIVERSARIO della MORTE di S. UMILTA’

Faenza, Basilica Cattedrale - 22 maggio 2010
23-05-2010


Che cosa ha da dire oggi, a noi uomini e donne del terzo millennio, una suora morta sette secoli fa in pieno Medio evo?


Per chi non conosce S. Umiltà di Faenza, non ritengo impossibile un atteggiamento simile, che finisce per essere uno dei tanti pregiudizi che ci impediscono di conoscere i tesori nascosti della nostra storia di famiglia.


Intanto questa Santa è ancora presente in mezzo a noi con le sue figlie spirituali, che hanno continuato la sua opera educativa attraverso l’esempio della loro vita monastica e la scuola. La loro comunità monastica è stata uno strumento di crescita per molte persone che hanno voluto far tesoro della propria vita in questo mondo, tenendo presente nello stesso tempo il proprio destino eterno. È questa infatti la risposta vera al profondo desiderio del cuore di ogni uomo.


Ci orienta in questo pensiero la prima lettura dal libro del Siracide: ‘Avvicinatevi, voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia scuola. Fino a quando volete rimanerne privi, mentre la vostra anima ne è tanto assetata?’


La vicenda umana di Rosanese Negusanti ha l’esperienza sufficiente per essere maestra per varie situazioni umane, essendo stata una donna di mondo, sposata con figli, consacrata nella vita eremitica e infine fondatrice di due monasteri.


La sapienza della sua dottrina non ha origine umana, ma deriva soprattutto dalla sua unione con Dio, e dalle ispirazioni misteriose che ha ricevuto, come ella stessa riconosce: ‘Quanto sono debitrice al mio Signore Gesù Cristo e alla mia beata Signora, che mi hanno scelto dal mondo, mi hanno colmata di grazie, mi hanno accolto come serva e chiamata alla vita religiosa’E se vi annunzio e vi narro la salvezza, o pronunzio parole sante, non è mio merito. Non rendete onore a me, perché parlo con la lingua, ma queste parole non sono mie. Infatti non sono una maestra: in che modo potrei insegnare a voi? Date lode alla regina perché sua è la benevolenza: lei infatti è la maestra di tutte le genti che da lei vogliono imparare‘ (Sermoni IX,17-19).


Ciascuno di noi ha a disposizione la propria vita come unica opportunità, che deve essere vissuta senza sbagliare l’obiettivo e il modo di raggiungerlo. L’obiettivo è quello di arrivare oltre a questa vita che finisce, per entrare nella vita eterna. La vita vera non può finire, ed è chiaro che non può essere quella che viviamo quaggiù; sono troppe infatti qui le differenze e le ingiustizie, per cui ci deve essere la vita alla quale ci sentiamo di aspirare.


Il modo per arrivarci è la via che ci ha tracciato il Signore, venuto nel mondo apposta, visto che da soli non riuscivamo a trovarla. Come dice San Pietro: ‘voi foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, con il sangue prezioso di Cristo’, per cui ‘comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio‘.


Chissà perché la prima reazione che ci viene in mente di fronte a queste considerazioni è che con questi discorsi qualcuno ci voglia rendere la vita triste, togliere il divertimento, farci soffrire; mentre la nostra aspirazione è quella di goderci la vita. Il punto è proprio questo, capire dov’è la vera gioia: se sta nel pensare solo a noi, o non piuttosto nel tenere conto anche degli altri, che ci stanno attorno, tanto più se Colui che ci ha dato la vita alla fine vuole sapere che cosa ne abbiamo fatto.


S. Umiltà è maestra di vita attraverso i Sermoni che ci ha lasciato, indirizzati alle sue monache e attraverso loro a tutto il popolo cristiano. Lo dice lei stessa: ‘Possono chiamarsi religiosi tutti coloro che possiedono le virtù, sebbene non vivano sotto una regola, né siano separati dal mondo, o indossino abiti diversi, perché non sono i vestiti a farli santi’ (VIII,41).


Con il linguaggio immaginoso proprio del tempo la sua dottrina illustra anzitutto i misteri dell’incarnazione del Signore, e quello della sua passione e morte. Poi indica il percorso che l’uomo deve fare per diventare Dio, perché Gesù Cristo è morto e risorto per questo. Modello di questo cammino è la Vergine santa.


All’uomo, per raggiungere questo ideale, viene chiesto di morire a se stesso, per seguire Cristo. È quanto il vangelo ci ha detto, con le due brevi parabole sul Regno dei cieli. Chi trova questo tesoro ‘va, vende tutti i suoi averi’ e compra il campo o la perla preziosa che ha scoperto. In questo percorso anche i santi incontrano la prova, la ‘notte dell’anima’, quando tutto diventa difficile e anche Dio si nasconde.


Ma l’anima che ha intuito per la grazia dello Spirito santo qual è il segreto per la vera vita arriva a dire più volte nel Sermone XI: ‘Io ti chiedo solo amore’. Questo insegnamento è valido per tutti i tempi.


È l’insegnamento del Salmo: ‘Ricordati, Signore del tuo amore, della tua fedeltà che è da sempre’. È ciò che impara lo scriba del vangelo, diventato discepolo del Regno: saper far tesoro delle cose nuove e delle cose antiche, purché siano vere.


È quello che ha saputo fare S. Umiltà sette secoli fa. È quello che viene proposto anche a noi oggi, alla scuola del vangelo e sull’esempio dei santi: è possibile vivere letteralmente da Dio in questa vita, se non ci lasciamo ingannare a questo riguardo come Adamo, dal Maligno, ma ci lasciamo condurre dall’insegnamento di Gesù e dall’esempio dei santi. È questo che vuole Dio stesso per la nostra gioia eterna, che se non fosse eterna non sarebbe nemmeno gioia.


Nel fare memoria di questa nostra santa patrona a settecento anni dalla sua nascita al Cielo, oltre ai sentimenti di riconoscenza da parte di tutta la città per quello che ha continuato a fare per Faenza in questi secoli attraverso le sue Monache, vogliamo fare tesoro del suo perenne insegnamento di vita evangelica. Anche il nostro tempo ha necessità di riscoprire l’importanza della santità in tutte le situazioni della vita, per la serenità delle persone e per la pace della società. Per una comunità il ricordo vivo dei propri Santi è motivo di conforto per il presente e di speranza per il futuro, perché a nulla varrebbe il progresso tecnologico ed economico senza una crescita ancora maggiore nelle virtù. I nostri Santi sono il vero nostro vanto, e la promessa di tempi migliori.