Frammentazione

→ Sintesi diocesana: p. 12-14   

Le persone si sentono distanti le une dalle altre e fanno esperienza di una Chiesa frammentata. In tanti gruppi sono emerse la fatica e lo sconforto: molti non si sentono in cammino con i fratelli. Spesso la mancanza di coinvolgimento e di una partecipazione condivisa, l’abitudine, fanno sì che i luoghi e i servizi siano delegati solo a poche persone, quasi sempre le stesse.

Emerge che la maggior parte dei gruppi è autoreferenziale e con un orizzonte ristretto: questa chiusura su sé stessi, sul gruppo, nella vita consacrata, nell’associazione, nella parrocchia, non porta a sentirsi parte di un unico cammino.

La Chiesa rischia di essere una ONG (una Pro-Loco) che gestisce servizi o una Chiesa distante, divisa in piccole realtà, comunque una Chiesa che non sa entrare in relazione con la vita reale ed intercettare l’uomo di oggi.

Si fa esperienza di ambiti della vita in cui non c’è nulla della Chiesa perché là non c’è la presenza di uomini e donne di fede. Mancano le occasioni di incontro alle quali partecipare, per mancanza di adulti disposti a prendersi cura dei ragazzi e soprattutto dei disabili.

 

→ Parola di Dio: At 2, 1-17.21  

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.  Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua.

 

→ Domande per aiutare la narrazione   

Ci sono fatiche particolari di cui facciamo esperienza e in quali ambiti ecclesiali?

Quale cambiamento renderebbe meno faticoso il nostro impegno?

Riusciamo ad avere uno sguardo fuori dal nostro gruppo/comunità? Siamo “in uscita”? Cerchiamo di essere aperti all’altro, di coinvolgere e di avere uno stile sinodale nel vivere la Chiesa e i vari servizi?

In quali spazi/tempi facciamo esperienza di un’abitudine, di un “si è sempre fatto così”?

La nostra attuale esperienza è di gruppi chiusi e autoreferenziali?

C’è qualcuno che non è presente che stiamo dimenticando, che è fuori dal nostro gruppo (es. i poveri, gli ultimi)?

Chi chiede cura e attenzione da parte nostra e della comunità cristiana?

CI prendiamo cura gli uni degli altri? Qualcuno sta aspettando il nostro invito, la nostra accoglienza, il nostro servizio?

Cosa comporterà per noi e per la Ciesa assumere queste attenzioni?

Ci sono luoghi in cui la Chiesa non è presente non riuscendo ad intercettare l’uomo di oggi?

Nei nostri gruppi/comunità riusciamo a vivere le diversità e i conflitti aprendoci al confronto?

Riusciamo a vivere come comunità le decisioni, le scelte, le attività? Ciò che facciamo è condiviso o è solo di qualcuno?

Quali occasioni abbiamo per esprimere la misericordia della Chiesa?

Ricordiamo situazioni riuscite di integrazione delle diversità?

Cosa pensiamo ci stia suggerendo lo Spirito?