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Intervento alla XVI Assemblea diocesana di Azione Cattolica
Errano, 19 febbraio 2017
19-02-2017

Carissimi, in questa 16.a Assemblea diocesana dell’AC, il mio più sentito saluto a tutti voi. E subito il mio ringraziamento per l’impegno profuso dalla vostra Associazione nelle parrocchie e nella Diocesi di Faenza-Modigliana, a servizio dell’evangelizzazione. Ringrazio, in particolare, coloro che – dalla Presidente diocesana ai Presidenti parrocchiali – hanno avuto una responsabilità apicale di coordinamento e di animazione, ma anche i singoli associati per la loro testimonianza cristiana nei vari luoghi di vita. Non intendo escludere dal ringraziamento gli Assistenti. Formulo i più fervidi e cordiali auguri alla futura dirigenza, per chi sarà Presidente diocesano, scelto o scelta da una terna di nomi, come previsto dal vostro Statuto, sottoposta al vescovo.

La verifica del cammino triennale già trascorso aiuterà sicuramente il rilancio del vostro prossimo compito di servizio alla Chiesa locale, in uno spirito di comunione col Vescovo e le altre componenti della comunità cristiana. Sarò contento, dopo la proclamazione dei nuovi Presidenti parrocchiali, che sarà fatta più avanti, di dare a loro il mandato, di durata triennale, come segno anche della loro stretta collaborazione con il vescovo.

Una guida – oltre alla vostra bella e gloriosa tradizione faentina – la offre l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (=EG), che tutte le diocesi italiane, ma non solo, sono dedite a recepire e a tradurre in vita apostolica, mediante una coraggiosa conversione pastorale, in uno slancio missionario, caratterizzato dalla gioia del Vangelo. Secondo papa Francesco occorre entrare decisamente in una nuova tappa evangelizzatrice. Si tratta di un’evangelizzazione che deve compiersi nella sinodalità, respirando con due polmoni – parrocchia e diocesi, diocesi e Chiesa universale -, operando su due versanti, ad intra e ad extra della Chiesa stessa. Questa è comunione con Cristo e tra noi, in vista della missione, ossia è comunità permanentemente «in uscita».

Non bisogna dimenticare che l’evangelizzazione include una dimensione sociale, come ha ampiamente illustrato papa Francesco nell’EG, specie nel IV capitolo. Non ci può essere una Chiesa a metà, come anche il laicato non può essere impegnato solo ad intra e non ad extra.

Nell’EG il pontefice invita i christifideles laici a non rinunciare, in particolare, al realismo della dimensione sociale del Vangelo (cf EG n. 88). Non bisogna promuovere, allora, né un laicato affetto da una sorta di complesso di inferiorità, che conduce a relativizzare o ad occultare la sua identità cristiana e le sue convinzioni (cf EG n. 79); né laici poco propensi a dedicarsi alle parrocchie (cf EG n. 81), e, invece, maggiormente dediti ad una difesa ossessionata del loro tempo e della loro gloria personali (cf EG n. 93); né un laicato che ha la pretesa di «dominare» lo spazio della Chiesa (cf EG n. 95); nemmeno un laicato «introverso», poco propenso ad un impegno di incarnazione dei valori cristiani nel sociale (cf EG n. 102).

In questo periodo l’AC si è consacrata, assieme a tutte le altre componenti ecclesiali, alla ricezione dell’EG. Pertanto, sta già riflettendo su quale tipo di laicato occorre oggi investire, in linea con gli insegnamenti di papa Francesco. Proprio per questo non mi dilungo nel discorso e nemmeno sul tipo di Chiesa che egli ci propone.

In vista della preparazione, organizzazione, celebrazione ed attuazione del futuro Sinodo dei giovani, con i giovani, per i giovani, l’AC si è già mobilitata. Anche in questo caso essa continuerà ad offrire il suo specifico contributo, a partire dalla partecipazione nella Consulta giovanile, da poco istituita, in vista del raggiungimento degli obiettivi sinodali. Non è inutile richiamarne qui alcuni:

  1. divenire protagonisti nel rinnovamento e nella costruzione della comunità ecclesiale, scegliendo gradualmente il proprio ministero, assumendo responsabilità nella catechesi, nell’esercizio della carità, nella amministrazione dei beni ecclesiastici, nelle varie branchie della pastorale (vocazionale, giovanile, missionaria, culturale, famigliare, sanitaria, scolastica, sociale, massmediatica, ecc.) alla quale corrispondono vari Uffici o Centri della Diocesi, che peraltro sono in fase di revisione;

  2. divenire gradualmente protagonisti e costruttori della società secondo lo spirito del Vangelo, il principio dell’incarnazione, la testimonianza della vita e l’azione. Il credente è chiamato a confessare la sua fede anche nel sociale. La redenzione di Cristo, infatti, ha inevitabilmente una dimensione e un significato sociali. Grazie alla sua incarnazione, che assume tutto l’uomo, Cristo non redime solo la vita interiore e il singolo ma anche le relazioni sociali tra gli uomini e i popoli (cf Evangelii gaudium, n. 178).

Come avete sentito, tra gli obiettivi vi è quello di aiutare i giovani a divenire anche protagonisti di una nuova evangelizzazione del sociale. E, quindi, occorre, come ha detto recentemente il vostro Presidente Matteo Truffelli, in un’intervista ad «Avvenire», non tanto fare dei giovani un oggetto di studio quanto piuttosto mettersi al loro fianco per interpellarli e invitarli ad assumersi le loro responsabilità. I giovani non sono solo il futuro di qualcosa, ma il presente della Chiesa e del mondo. L’auspicio è, allora, che la Chiesa intera sappia mettersi in ascolto di queste vite e, quindi, in discussione circa la sua attuale pastorale giovanile, soprattutto del post-cresima. Va rivisto l’impegno pedagogico e l’opera di orientamento vocazionale e di accompagnamento, entrambi frutto di una sinergia tra vari soggetti, non esclusi gli assistenti e i sacerdoti, i quali sono imprescindibili per la formazione cristiana.

Occorre puntare a che i nostri giovani, affascinati da Cristo, diventino gradualmente abili ed efficaci comunicatori della fede ad altri giovani, a partire da una vita che è luce e che irradia Gesù, incontrato ed amato. Non basta che siano provetti comunicatori, occorre che siano esperti della vita cristiana, dell’umano redento e trasfigurato, ossia persone nelle quali la fede si traduce in vita, in opere, come è avvenuto in diversi giovani dell’AC, alcuni dei quali sono pervenuti alla venerabilità e alla santità.

Gli obiettivi del futuro Sinodo diocesano sono senz’altro omogenei con la natura ecclesiale, educativa e missionaria dell’AC. Pertanto è da immaginare una sintonia ed una sinergia davvero più intense tra le comunità parrocchiali, diocesana e l’AC. La fraternità collaborante, in questi anni di impegno missionario, sarà il segno distintivo di un’«uscita evangelizzatrice» compiuta assieme, pensando al futuro del Vangelo in questo territorio. Non possiamo tardare a formare nuove generazioni di credenti, per il bene della Chiesa e della società civile. Gioverà una cura particolare sul piano spirituale, perché l’appartenenza a Cristo non sia nominale o formale, ma si radichi nella vita, nelle scelte e nella cultura, oltre che nelle istituzioni. Sorreggerà la convinzione che incontrare, conoscere ed amare Cristo è un diritto di tutti, compresi coloro che, mediante i lunghi viaggi della speranza, giungono da noi, spogliati di tutto.

L’AC sia davvero un’associazione radicata nel futuro. Cristo ci abbraccia e ci pervade per intero, perché egli è lo «stesso ieri, oggi, e per sempre» (Eb 13,8). Egli ci attende, risorto e glorioso, alla destra del Padre. Il futuro rappresenta il traguardo del nostro compimento in Lui, nella pienezza della sua statura morale e spirituale. E lo rappresenta perché siamo già innestati in Cristo. Esso, pertanto, indica una direzione, un anelito, un compito, una progettualità, aperta al trascendente. Viviamo con lo sguardo proteso verso le cose di lassù, la Gerusalemme celeste.

Di nuovo tante grazie e tanti auguri per i vostri lavori, per l’agenda del prossimo triennio. Dio vi benedica, a sua maggior gloria!

Consulta diocesana e Sinodo dei Giovani
Intervento di mons. Vescovo ai lavori di apertura della Consulta diocesana dei giovani
12-02-2017

È bello incontrarvi e stare con voi, con la Consulta dei giovani della nostra Diocesi
Siete stati costituiti in Consulta:

  • per iniziare a vivere un PROGETTO entusiasmante, in particolare per preparare il Sinodo dei giovani;
  • ma, prima di tutto, per essere e vivere nella Gioia di un INCONTRO unico – quello con Gesù Cristo, il Signore della vita e della gioia – che trasfigura la nostra esistenza e che «abilita» nel far incontrare Gesù Cristo;
  • per divenire moltiplicatori della gioia di vivere insieme con Lui e con i giovani, ascoltandoli, formando una comunione, una famiglia, un popolo nuovo: divenendo, cioè, sempre più protagonisti della comunità che è la Chiesa e della costruzione di una nuova società.

Dunque, iniziate un cammino. Sarete in cammino, per essere Chiesa giovane che diventa più capace di incontrare e comunicare con i giovani, per aiutarli a realizzare pienamente la loro gioia in Gesù, Uomo Nuovo perché Uomo-Dio.
Alcune precondizioni in vista del futuro Sinodo, di cui sarete informati sulla sua natura, sul suo inizio e sul suo svolgimento:

  1. rinnovare, rivivere il proprio incontro con Gesù, approfondirlo, per essere sempre più suoi, per «dimorare», per «vivere» Lui, la sua passione per Dio e per l’uomo, la sua voglia di cambiare i cuori, le teste e il mondo;
  2. essere in dialogo, in amicizia con i propri compagni, anche con i giovani non credenti, per capire le loro domande, per cogliere i loro desideri più profondi, per aiutarli a trovare risposte che costruiscono la loro gioia di vivere, che si struttura attorno al vivere insieme, con tutti, con e nella comunione-comunità ecclesiale e civile, da costruttori del bene comune, capaci di moltiplicare i pani, di realizzare lo sviluppo integrale e sostenibile di tutti. Con riferimento a questa precondizione sarà necessario sondare, intervistare, parlare con i giovani, facendosi aiutare anche da ricerche e studi già esistenti;
  3.  incominciare a vivere il cammino sinodale pregando, capendo se stessi, la propria identità, entrando sempre più nella grande esperienza dell’essere salvati, redenti, ovvero trasfigurati dall’Amore con la maiuscola, dell’essere salvati come comunità, gioiosa esistenza di dono reciproco e al Padre: la propria vita cresce e matura, e così la propria felicità, nella misura in cui ci doniamo agli altri e a Dio;
  4. entrare nel percorso che sta compiendo oggi la Chiesa per essere e comunicare gioiosamente Gesù, ossia apprestarsi a conoscere il volto della Chiesa che papa Francesco, in continuità con il Concilio Vaticano II, tratteggia nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium; in definitiva, mettersi dentro il cammino della nostra Diocesi, che attualmente è impegnata nella ricezione della suddetta esortazione.

Le precondizioni segnalate, per sé, indicano già alcune tappe del cammino che vi dovrebbe preparare a divenire attori  del prossimo Sinodo, voluto e pensato, sulle orme del Sinodo della Chiesa universale, come Sinodo dei giovani, con i giovani, per i giovani. Ovviamente, come vi sarà spiegato, ciò richiederà di capire cos’è un Sinodo, di programmarlo, di coinvolgersi e di coinvolgere, di celebrarlo, di attuarlo nei suoi orientamenti finali. In definitiva, vi sarà richiesto un di più di impegno, che avrà momenti belli ma anche carichi di sfida, perché richiedenti costanza, metodo di lavoro, capacità di interagire e di collaborare, senza stancarsi. Ma l’obiettivo che ci si ripropone vale tutto lo sforzo necessario, perché dalla buona riuscita del Sinodo dipenderà il futuro della Chiesa e dell’evangelizzazione nel nostro territorio. Sicuramente è Gesù la prima causa e garanzia di una vita gioiosa delle nuove generazioni di giovani, è l’Eucaristia che costruisce la Chiesa e i cristiani, ma non poco dipenderà anche dalle componenti, dai soggetti della Chiesa di oggi, cioè da noi, da voi. Occorrono umiltà e responsabilità.
 
Ulteriori coordinate fondamentali.
Obiettivo complessivo del Sinodo: viverlo, celebrarlo per prendere coscienza di essere e di costruirsi come popolo missionario che annuncia Gesù Cristo, il suo Vangelo a tutti. L’incontro con Gesù, la comunione che accresce l’intimità con l’Inviato dal Padre, ci struttura come missionari, ossia come inviati a nostra volta, non tanto come persone obbligate ad un peso gravoso che sfinisce, bensì come persone che irradiano il loro innamoramento, l’esperienza di un incontro che affascina e riempie il cuore di gioia incontenibile, ossia di una felicità che si comunica e si condivide.
Sotto-obiettivi del Sinodo:

  1. divenire protagonisti nel rinnovamento e nella costruzione della comunità ecclesiale, scegliendo gradualmente il proprio ministero, assumendo responsabilità nella catechesi, nell’esercizio della carità, nella amministrazione dei beni ecclesiastici, nelle varie branchie della pastorale (vocazionale, giovanile, missionaria, culturale, famigliare, sanitaria, scolastica, sociale, massmediatica, ecc.) alla quale corrispondono vari Uffici o Centri della Diocesi;
  2. divenire gradualmente protagonisti e costruttori della società secondo lo spirito del Vangelo, il principio dell’incarnazione, la testimonianza della vita e l’azione. Il credente è chiamato a confessare la sua fede anche nel sociale. La redenzione di Cristo, infatti, ha inevitabilmente una dimensione e un significato sociali. Grazie alla sua incarnazione, che assume tutto l’uomo, Cristo non redime solo la vita interiore e il singolo ma anche le relazioni sociali tra gli uomini e i popoli (cf Evangelii gaudium, n. 178).

Le due vocazioni e missioni – essere costruttori della comunità ecclesiale e della società civile, in senso complessivo – non sono disgiunte. Ognuna ha bisogno dell’altra. Al lato pratico, comportano un minimo di informazione su ciò che è la Chiesa o popolo di Dio, sui suoi ministeri, sulle sue componenti, sulla sua missione (e, quindi, un po’ di cristologia, ecclesiologia, liturgia, sacramentaria); su ciò che è una società, sui suoi obiettivi, sulla sua costruzione secondo i principi, i criteri e gli orientamenti pratici dell’insegnamento sociale, sull’impegno dei giovani come ha ricordato papa Francesco a Firenze e a Cracovia durante la Giornata mondiale della gioventù: non essere persone che stanno alla finestra a guardare e che lasciano decidere tutto agli altri.

  1. Divenire gradualmente abili ed efficaci comunicatori della fede ai giovani, a partire da una vita che è luce e che irradia Cristo. Non basta essere provetti comunicatori, occorre essere esperti della vita cristiana, dell’umano, ossia persone nelle quali la fede si traduce in vita, in opere.

Auguro a tutti di «vedere» Gesù Cristo, di «rimanere» con Lui (cf Gv 1,39), il che implica un «toccarlo», un «ascoltarlo» e un «comunicarlo». Sono tutti verbi che appartengono alla sfera dell’esperienza. Fate, dunque, esperienza di Cristo, della sua bontà, della sua forza d’amare. La migliore motivazione per decidersi a comunicare Gesù è contemplarlo con amore, è sostare ad ascoltare le sue parole. Bisogna che si sappia recuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova.

Costruttori di Pace
Faenza - Chiesa di S.Agostino, 4 febbraio 2017
04-02-2017

La fiaccolata della pace per le vie della città è avvenuta all’insegna dello slogan «Costruiamo la pace». I bambini, in Piazza del popolo, hanno costruito, con le lettere dell’alfabeto, la parola «Pace». La pace riguarda la nostra vita, in particolare la vita sociale. Se volessimo raffigurare la pace, potremmo immaginarla come una casa da costruire. La casa della pace, ci ha insegnato san Giovanni XXIII, ora santo, va costruita su quattro pilastri: verità, libertà, giustizia, amore. Senza uno di questi quattro pilastri la casa della pace non sta in piedi, non cresce salda e compatta. Ci debbono essere tutti e quattro i pilastri, insieme. Così, va costruita la pace. Impegnandosi a realizzare i diritti e i doveri dei singoli e dei popoli. Non dobbiamo mai dimenticare la Pacem in terris di papa Giovanni XXIII. Dobbiamo rileggerla sovente e attuarla, integrandola con i contenuti delle successive encicliche sociali.
Non basta dire voglio la pace. Come avete ben evidenziato, occorre diventare costruttori di essa, artigiani appassionati e provetti di essa. Così, per sé, non basta manifestare per le vie delle città a favore della pace nel mondo: bisogna lavorare a realizzarla, a partire da se stessi, dalla propria famiglia, dalle relazioni con le persone che incontriamo e con le quali ci rapportiamo ogni giorno. Non basta dire «io sono per la pace nel mondo» e, poi, vivo non volendo bene all’altro, non dandogli quello che gli spetta, addirittura schierandomi contro il diritto di nascita di chi è nel grembo della propria mamma, depredando le risorse del creato, sfasciando la famiglia, non adoperandomi perché tutti abbiano un lavoro dignitoso, lucrando sulla produzione delle armi. Non è sufficiente portare al collo la bandiera della pace, appenderla a casa, fuori dalla finestra o issandola su un pennone e, poi, offendere le persone, calunniarle, non amarle, non accoglierle dal profondo del cuore, non pagare il loro lavoro dipendente, non salutarle.
La Parola di Dio di questa sera (cf Mt 5, 38-48) ci sollecita a diventare costruttori di pace amando gli altri come li deve amare un figlio di Dio, il quale, attraverso Gesù, ci insegna ad amare anche i nemici. «Avete inteso che fu detto – afferma Gesù – : Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti».
Amare i nemici, coloro che ci perseguitano e dicono male di noi, ci emarginano, ci considerano esseri inferiori, non ci lasciano  vivere secondo quanto richiede la libertà religiosa: significa fare in modo che nel nostro cuore non ci sia spazio per l’odio nei loro confronti. Non dobbiamo desiderare per loro il male. Se vogliamo essere degni figli del nostro Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, dobbiamo amare i nostri nemici, pregare per loro, perché si correggano e diventino migliori. Ciò, al lato pratico, significa essere impegnati in un processo di guarigione del nostro cuore: un processo continuo, perché dobbiamo essere perfetti come il Padre nostro. Ciò richiede un lavorio spirituale quotidiano, che non finirà mai.
Dunque, secondo l’insegnamento che ci deriva dal brano del Vangelo, che è stato proclamato questa sera, siamo invitati a divenire costruttori di pace, costruttori di ponti tra le persone e i popoli, come ci ha insegnato Giorgio La Pira, pregando con cuore sincero per i nostri nemici, dando a loro molto di più di quello che si meriterebbero. Che ce ne viene? Quale sarà il risultato? Vedremo che la preghiera per i nostri nemici porterà due frutti: il primo frutto sarà che il nostro nemico migliorerà, perché la preghiera ha questa capacità, quella di trasformare il cuore di pietra in un cuore di carne che sa amare e volere il bene altrui. È come se si ponessero dei carboni ardenti sulla testa di chi ci vuole male, sino a sciogliere il ghiaccio che c’è nel suo cuore. Il secondo frutto sarà che anche noi miglioreremo, diventeremo, in certo modo, più figli del Padre. E così, ci sentiremo più fratelli, parte di una stessa famiglia. I due frutti ottenuti mediante la preghiera contribuiranno alla pace.

Prolusione di apertura della Scuola di formazione socio-politica
Faenza - Sala san carlo, 27 ottobre 2016
27-10-2016

Riflettere sull’Europa con lo sguardo rivolto anzitutto al futuro delle giovani generazioni: un quadro culturale per la Scuola di formazione sociale

La gravità della crisi attuale obbliga ad investire sull’Europa dei popoli, partendo da una profonda riflessione, che permetta di superare pregiudizi, rivalità istituzionali e forme di pensiero retrò, vetero nazionalismi, localismi folkloristici. Oggi appare urgente programmare la formazione di una mentalità europea, che abbracci un orizzonte e un arco temporale più vasti del momento attuale, oramai testimone del regresso e dello sfaldamento dell’Unione economica. Basti pensare ai danni della Brexit.

È abbastanza evidente che il legame tra gli Stati europei si è indebolito e raffreddato anche a causa del forte rallentamento della marcia verso quella democrazia politica, che Alexis de Tocqueville nella sua opera La democrazia in America, divenuta un classico, chiama «l’uguaglianza delle condizioni». In definitiva, l’Unione europea è entrata in crisi soprattutto perché è rimasta allo stadio di progetto incompiuto, essendo tuttora carente della sua parte più importante, e cioè della democrazia politica. Purtroppo, disgrazia nella disgrazia, non sembra facile trovare una via d’uscita dalla crisi economica, non essendo disponibile una politica all’altezza della sua vocazione al servizio del bene comune. La crisi economica oggi appare insuperabile non solo per il deterioramento interno della finanza, ossia la sua destrutturazione etica, ma soprattutto perché si accompagna ad un’eguale crisi sistemica della politica. Questa è caratterizzata dalle derive di nazionalismi, populismi, leaderismi, neoliberismi individualistici e radicali, i quali antepongono al bene comune gruppi o interessi economici, l’idolatria del denaro e del potere.

In breve, è evidente la carenza di una «democrazia del popolo», che impedisce la concretizzazione della «democrazia per il popolo». Una democrazia politica europea, come anche ogni democrazia nazionale, presuppone l’unione morale di un popolo o, meglio, di un «noi»-di-popoli senza cui resterebbe priva di anima propulsiva. Urge un popolo convintamente europeo.

Da un punto di vista assiologico, prima ancora di essere Unione dei mercati, l’Europa dovrebbe essere unione di popoli, ossia un noi-unione morale di persone-cittadini protesi verso la realizzazione del bene comune. Detto diversamente, il fondamento dell’Europa politica non può che scaturire da una strutturazione o organizzazione di tipo personalista e relazionale, comunitaria, aperta alla trascendenza.

Il noi-di-popoli europeo, che oggi non bisogna tardare a formare e che, originariamente, è un «noi» di cittadini chiamati al bene comune, si caratterizza connaturalmente per il primato della politica rispetto al mercato e alla finanza, pur fondamentali rispetto alla concretizzazione dello stesso bene comune.

Se vi deve essere l’Europa dei mercati, non può assolutamente mancare l’Europa dei popoli, quale insieme di istituzioni sociali e politiche adeguate, ma soprattutto, quale unità spirituale e morale, che postula il primato delle persone, considerate nella loro intrinseca dignità e trascendenza.

Proprio per questo, i padri fondatori dell’Europa economica e monetaria puntavano a consolidarla quanto prima nella sua dimensione politica, deputata a conseguire il bene comune europeo in una maniera più compiuta. Ma l’opera, sebbene proseguita con l’istituzionalizzazione del Consiglio Europeo, della Commissione Europea, della Corte e del Parlamento Europei e, ultimamente, della Banca Centrale Europea (BCE), appare gravemente deficitaria sia sul piano delle strutture sia – non lo si dimentichi – sul piano della formazione degli stessi europei, aspetto su cui si ritornerà.

Per instaurare la «democrazia ad opera del popolo», occorre stabilire, come già accennato, un’uguaglianza di condizioni, che non possono verificarsi senza adeguate politiche economiche, finanziarie, fiscali, sociali, comunitarie. È chiaro, infatti, che l’assenza di un potere politico danneggia la stessa moneta unica.

Per superare la crisi economica, causa dell’aumento di diseguaglianze, che erodono la democrazia partecipativa ed inclusiva,1 occorre innanzitutto riformare l’Unione economica e finanziaria. Occorre dare slancio ad un’economia sociale, tramite l’adozione di nuove strategie per il mercato unico, ribaltando quel «primato dell’azionista» (shareholder primacy) che è stato agevolato e sollecitato dai comportamenti dei mercati finanziari speculativi e dalle teorie degli economisti conservatori.

Occorre, in particolare, che i Paesi europei recuperino un certo margine di sovranità sulla finanza speculativa, attraverso il correlativo recupero di una certa sovranità fiscale. Regole finanziarie più deboli creano un’economia più debole.2 La riforma del sistema finanziario e monetario dev’essere, poi, conseguita all’interno di un quadro mondiale, scongiurando il pericolo che la realtà delle democrazie sia sopraffatta dalla prevaricazione di «interessi multinazionali non universali, che le indeboliscono e le trasformano in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti» (Francesco, Discorso al Parlamento europeo del 25 novembre 2014). In definitiva, in Europa e nel mondo, la politica dovrà riappropriarsi del suo ruolo di servizio del bene comune.

Parimenti, se vorrà essere per il popolo, l’Europa dovrà praticare, con la disciplina del bilancio, politiche volte ad incrementare la crescita.

Sarebbe insensato, poi, contrapporre alle politiche sociali quelle di competitività e di produttività. Senza un aumento della produttività, prima o poi diventa impossibile garantire il finanziamento delle politiche sociali. Peraltro, senza il progresso sociale si intacca il «capitale sociale» che è appunto ministeriale alla produttività e alla competitività.

Oggi, rispetto al progetto di un’Europa politica sembra prevalere uno «spirito di negazione», cioè una denigrazione sistematica dell’impresa comune. Spesso, però, si ignorano alcuni fatti rilevanti: nel giro di pochi anni l’Unione Europea è riuscita a consolidare il suo mercato, a dotarsi di una moneta unica e a estendere il suo territorio verso l’Est. Sono state create istituzioni. Sono state introdotte procedure, sono state concordate regole e previste sanzioni. Ma le persone che popolano l’Europa sono state trattate come parenti poveri, mentre sono proprio esse la chiave di volta del successo dell’impresa europea. Da qui, la necessità di formarle, educarle, entusiasmarle, impegnandosi almeno su tre fronti. Il primo è quello dell’abbattimento dell’individualismo libertario mediante l’antidoto della rigenerazione del sociale, investendo sulla fraternità e sulla logica del dono e della gratuità. Se continuasse ad imperversare l’attuale individualismo, verrebbe spezzato lo Stato di diritto, spina dorsale della democrazia, aprendo spazi all’anarchia sociale. Il secondo è quello della difesa e della promozione della libertà religiosa, radice degli altri diritti. Senza libertà religiosa l’ethos europeo sarebbe gradualmente privo di fondamenti morali e il cristianesimo non potrebbe, accanto ad altre religioni, dare il suo apporto specifico, come in passato. Il terzo è quello della composizione, all’interno di una società sempre più multietnica, multiculturale e multi religiosa, di una coscienza sociale comune. Su questo versante, forse non si è sufficientemente riflettuto, presi dall’urgenza dei problemi dell’accoglienza degli immigrati. Non può bastare l’integrazione lavorativa. È pregiudiziale l’integrazione e la comunione sul piano dei beni-valori condivisi. Su questo versante bisognerà impegnarsi specie con una grande opera educativa.

Viene spontaneo domandarsi: quale potrà essere, in una società così complessa e diversificata, la piattaforma di beni-valori comuni? Sarà possibile raggiungerla fra persone di credo, cultura, etnia, usi e costumi tanto diversi? La mescolanza delle culture non solo è possibile, ma è feconda e apportatrice di valori. Ma a quali condizioni? Sarà possibile accendere in tutti uno spirito europeo, formando domani un unico popolo, se già attualmente si ha l’impressione di una certa babele culturale e sociale?

La costruzione dell’Europa non sarà mai un dono piovuto dal cielo. Sarà soprattutto il frutto di una volontà tenace e di un metodo consapevole. Criticare l’Unione Europea è non soltanto legittimo, ma anche salutare. Le critiche, però, non debbono essere aprioristiche e pretestuose. Vanno mosse con misura e con giudizio, prendendo coscienza che non si è di fronte ad un’ineluttabilità, ma ad un bivio: o avanzare verso un’Europa politica unita o regredire al livello di un coacervo di Stati nazionali, che vorrebbero essere forti come se l’Europa fosse unita, senza però cedere una minima parte della propria sovranità nazionale.

L’uscita dal dilemma richiede di non occultare la verità o di non far finta di nulla. L’Unione economica e monetaria ha una sua importanza, un suo significato e precise esigenze. Come allora non convergere sulla necessità di un’Unione più solida e sostanziale, che attiene ai valori essenziali, cioè all’uomo con i suoi doveri e diritti inalienabili, con la sua dignità trascendente?

La creazione degli «Stati uniti d’Europa» non può ignorare almeno le seguenti tappe:

  • L’impegno di costruzione non di un ennesimo mega Stato, dotato di una sovranità illimitata, bensì un’unione di popoli collocata all’interno di una «sovranità del genere umano». Vale a dire, all’interno di una società politica mondiale di popoli, avente come corrispettivo un’autorità (non un potere) politica mondiale, retta dai principi della destinazione universale dei beni, della solidarietà universale, della sussidiarietà e della giustizia sociale, oltre che della libertà.

  • La divisione dei ruoli tra gli Stati e l’Unione Europea.

  • La divisione dei ruoli tra il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali.

  • Il perseguimento dell’Unione come precondizione del bene-essere di tutti i popoli.

  • Il passaggio ad un’Unione federale, attingendo agli strumenti messi a disposizione dalla migliore tradizione del federalismo solidale, ma non solo.

  • Il rafforzamento dell’Eurozona sia nella sua dimensione politica (creazione di un Parlamento dell’Eurozona all’interno del Parlamento europeo, divisione dei ruoli con i Parlamenti nazionali, come sopra accennato) sia nella sua dimensione economica e sociale (politiche nazionali ed europee per incentivare la crescita, riforme strutturali, riforme del sistema finanziario e politiche fiscali tali da favorire opportunità di lavoro per tutti, disciplina di bilancio, riconversione energetica) .

  • La preparazione di responsabili politici dal punto di vista morale e professionale mediante una formazione specifica.

  • Fare gli europei! Il che implica che i giovani, in modo particolare, crescano con una mentalità non rinchiusa nel locale, nel piccolo cabotaggio, ma sappiano integrarsi nell’ampiezza del contesto globale. E, inoltre, che conoscano l’attuale strutturazione istituzionale con i suoi pregi e i suoi limiti, e siano in grado di interagire con essa, contribuendo alla revisione, ricezione e utilizzo di disposizioni, politiche, finanziamenti e progetti, in vista di uno sviluppo sostenibile diffuso.

 

Proprio ai fini della realizzazione di quest’ultima tappa, che è ultima in ordine di elencazione ma non di importanza, si è voluta una Scuola di Formazione Sociale e Politica, centrata sul tema dell’Europa. D’altra parte, come ha sottolineato papa Francesco a Cracovia, non è lecito essere giovani imbambolati e intontiti, confondendo la felicità con un divano comodo. Certo, per gli interessi di molti questo sarebbe più conveniente che aver a che fare con giovani svegli, desiderosi di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore. Non bisogna lasciare che altri decidano il futuro per i giovani (cf Francesco, Veglia con i giovani, sabato 30 luglio 2016).

1 Cf J. E. STIGLITZ, Le nuove regole dell’economia. Sconfiggere la disuguaglianza per tornare a crescere, Il Saggiatore, Milano 2016, pp. 145-146.

2 Cf ib., p. 51.

Saluto ai giovani pellegrini in partenza per la GMG di CRACOVIA
Faenza, Basilica cattedrale - 19 luglio 2016
19-07-2016

Cari giovani in partenza per Cracovia, intanto un caro benvenuto qui nella Chiesa madre o matrice, la cattedrale. È significativo che per partire si sia scelto questo luogo da cui, in certo modo, sono generate le altre chiese, i cristiani. Ma domandiamoci subito: cosa andiamo a vedere, a cercare? Non è una domanda banale. È chiedere a noi stessi di scendere in profondità, nella nostra coscienza, per trovare le ragioni della scelta di essere diretti verso la città di due grandi testimoni della misericordia: san Giovanni Paolo II e santa Faustina Kowalska. In questi giorni sono stati riscaldati i motori prima del via, tramite attività, incontri, lavori di gruppo, consegna dei kit per i partenti. Carichi di zaini, bandiere, striscioni, entusiasmo, gioia, speranze, su cosa fissiamo lo sguardo?

Partiamo sicuramente per conoscere gente nuova, per fare esperienza di una Chiesa fatta anche di molti giovani; per stringere l’amicizia tra noi e con i credenti di altri continenti. È bello uscire dalla propria casa o città per guardare al mondo da un altro punto di vista, diverso da quello abituale. C’è sempre un arricchimento. Ma qualcuno potrebbe obiettare: perché andare in Polonia e non rimanere a casa, con i propri fratelli e sorelle e i genitori, per fare del volontariato nel proprio paese o quartiere o per andare a pregare a Gamogna?

In effetti, cari giovani, un posto o l’altro, Cervia o Cracovia, pur essendo differenti, non possono influire ultimamente sul raggiungimento dell’obiettivo che desiderate fortemente. Se voi desiderate, con tutto il cuore, di incontrare Gesù, tutto sommato un luogo vale l’altro, anche se Cracovia non è Cervia e viceversa. Se uno o una desidera rimanere da solo con il Signore, andare a Cervia o a Cracovia è abbastanza indifferente, perché Gesù lo si trova in tutte le chiese e in tutti i luoghi del mondo.

Vi dico questo perché tutto quello che avete vissuto in questi mesi o vivrete nei prossimi giorni, se è importante come luogo o ambiente, non conta, però, di più del vostro obiettivo o scopo del viaggio. Conta di più il vostro desiderio di incontrarvi in maniera diversa tra voi e gli altri, ma soprattutto con Chi vi chiama ad amarlo di più, a sognare con Lui un mondo nuovo, una Chiesa, una comunità o un gruppo nuovi!

Il nostro andare a Cracovia non è solo un ricercare qualcosa di insolito o di diverso per poi rimanere uguali o per ritornare a casa peggiori di prima. Se si va a Cracovia è per ritornare cambiati. Se si va lì, che è una città particolare, bella dal punto di vista artistico, ma per noi anche significativa perché vi ha operato il grande Giovanni Paolo II, quand’era vescovo, è per un motivo principale e primario: vivere in maniera piena il Giubileo della Misericordia, per diventare testimoni della misericordia del Padre. Devo, allora, pensare così: vado a Cracovia per trovare momenti di intimità con Colui che mi chiama fuori dall’abitudinarietà, dal solito tram tram e mi invita a raggiungerlo in un luogo in cui, in forza del convenire di tanti giovani già credenti o in ricerca, potrò avere un’esperienza unica. Sarà un’esperienza speciale, ma lo dovrà essere soprattutto perché potrò mettermi a tu per tu con Lui, anche in mezzo a una grande folla. È decisivo per la mia vita che lo possa incontrare o re-incontrare, in un modo o nell’altro: con la preghiera che mi consente di dialogare con Lui, quasi astraendomi da chi mi circonda; percependo il senso di fede di tanti coetanei, gioendo della loro fierezza di essere credenti; confessandomi da un sacerdote, specie se non lo ho fatto prima in quest’anno giubilare. Nel suo Messaggio per la GMG, papa Francesco racconta, non a caso, che una confessione fatta prima di uscire con gli amici gli ha cambiato la vita. Ebbene, a Cracovia potrete trovare tanti sacerdoti, ma anche vescovi! Saranno ben felici di dispensare il perdono di Gesù, per farvi gustare la sua misericordia e per farvi diventare testimoni luminosi di essa.

A Cracovia trovate il tempo per porvi questa domanda: che importanza dó a Gesù nella mia vita. Lo pongo al centro dei miei pensieri e delle mie scelte? Che idea ho della sua Chiesa? La sento lontana, non mia, troppo ingombrante? In una recente ricerca dell’Università Cattolica di Milano, curata da Paola Bignardi, è stato posto ai giovani il seguente quesito: «La fede cambia la vita?». Le risposte lasciano basiti. Rarissimamente la fede è intesa come incontro personale con Gesù Cristo. Piuttosto, viene colta come un insieme di verità, una dottrina, come l’adeguarsi ad un’etica imposta dalla comunità, quasi come una camicia di forza che comprime la libertà.

Cari giovani, una delle questioni che le nostre comunità di credenti devono affrontare è l’indiscutibile realtà di troppi che, dopo la Cresima, si allontanano o perdono la fede. Andare a Cracovia, allora, dovrà essere l’occasione per ritornare ad una fede sentita e vissuta: una fede che non si fonda solo sulle emozioni e sui grandi eventi, pur necessari per tenerla in vita, ma in particolare su impegni quotidiani costanti, richiedenti il dono eroico di sé, con l’aiuto del Signore. Cercate a Cracovia di ritrovare l’ardore dei discepoli di Emmaus, che seppero riconoscere Gesù allo spezzare del pane, provate ad avere momenti in cui il vostro cuore sarà vicino a quello di Gesù, provate a vederLo come il vostro Tutto, da amare sopra ogni cosa. A Cracovia, dunque, rinnovate lo stupore dell’incontro personale e comunitario con Gesù.

Sin d’ora preghiamoLo così:

Caro Gesù, eccomi davanti a Te. Tu conosci tutto di me. Certamente ti è noto che ce la metto tutta nell’amarti e nel seguirti. Ma, come ben vedi, non sempre ce la faccio. Ti dimentico. Ti perdo. Accetta, comunque, il mio impegno. Curo in ogni modo di servirti, di costruire la mia comunità, di accoglierti e di amarti negli amici, nelle persone povere, ma anche antipatiche e scostanti. Tu sai ciò di cui ho bisogno per amarti di più. Riscalda il mio cuore. Illumina i miei pensieri. Sorreggimi nella ricerca di Te. Che io non smetta mai. Non permettere che mi lasci andare.

Ora parto con tanti altri giovani amici. Ti portiamo dentro al cuore. Fa’ che sia un viaggio colmo di gioia e di speranza. Fa che torniamo più convinti di appartenerti. Facci sentire legati alla nostra comunità, come inviati da essa, per essa. Facci tuoi, Tu: Luce, Calore, Amore, Via, Verità e Vita.

Questo partire è per tornare. Fa che ritorniamo riconfermati e cresciuti nella fede.

Chi parte come amico torni rafforzato nell’amicizia grazie all’amore di Cristo. Chi parte con l’intento di trovare senso e gioia nella vita torni con un animo liberato dal ripiegamento e dalle chiusure, aperto a Dio e agli altri.

Chi parte con il proposito di diventare evangelizzatore, catechista, sacerdote o missionario torni fortificato nel dono di sé a Cristo e alla Chiesa.

Prendiamo, dunque, cari giovani, tra le nostre mani la missione che ci appartiene e porta a mostrare a tutti l’infinito tesoro che è Cristo, ragione della nostra vita, luce per le nostre inquietudini, gioia di essere dono.

Non dimenticate di pregare per le nostre comunità, le vostre famiglie: vi, ci accompagnano con tanta simpatia, ma anche con un po’ di trepidazione. Non deludiamole. Facciamo l’esperienza di una Chiesa viva. Siamo Chiesa gioiosa di annunciare il Vangelo. Immergiamoci nel sogno di Dio per offrire speranza al nostro mondo, per abituarci a pensare secondo fraternità.

Buon viaggio. Arrivederci a Cracovia.