OMELIA per il GIUBILEO degli INSEGNANTI

Faenza - Basilica cattedrale, 23 settembre 2016
23-09-2016
Cari fratelli e sorelle, in ogni stagione della nostra vita, dobbiamo rispondere alla domande di Gesù: «Chi sono io per l’opinione della gente?»; «Secondo voi chi sono io?». Come abbiamo sentito, per la gente è un profeta, identificato con Elia o il Battista. Per Pietro è il «Messia di Dio». Ma Gesù stesso si definisce «il Figlio dell’uomo, che deve morire e risorgere» (Lc 9, 22). Egli potrà essere chiamato Messia, solo dopo la morte e la risurrezione, quando, vincitore, sarà costituito dal Padre Signore della vita.
Chi sono, invece, i credenti, i discepoli? La risposta a questa domanda non la troviamo nel brano del Vangelo oggi proclamato. Si trova, però, subito dopo, nei versetti che seguono e nei quali leggiamo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9, 23-24). Detto altrimenti, chi desidera essere discepolo di Cristo sa che l’attende il cammino della croce. È la via della rinuncia a se stessi, è il decentramento da sé, è la liberazione dalle paure che bloccano la persona nella difesa ossessiva del proprio io e del proprio progetto. Contrariamente a quanto possa apparire, la proposta che ci fa Gesù Cristo, quella di seguirlo nel cammino della croce, non è annientatrice del nostro io. Non mortifica la nostra personalità. Tutt’altro. La fa fiorire. Ci chiama a superare il limite di persone che pensano di potersi realizzare e salvare ripiegandosi su di sé, contando solo sulle proprie forze. Certo, chi sceglie di condividere il cammino e la sorte di Cristo rischia di esporsi al boicottaggio sociale, al dileggio pubblico, come insegna la sua vita. Come, peraltro, è capitato a san Pio di Pietrelcina di cui oggi celebriamo la memoria. Fu santo soprattutto perché seppe percorrere il cammino della croce con dignità ed eroicità, subendo angherie anche da parte di uomini di chiesa. Essere fedele a Cristo oggi, in particolare, importa andare contro corrente, contro i luoghi comuni imperanti della cultura consumistica e materialistica, devota dell’individualismo più radicale, amante di una libertà senza limiti e responsabilità nei confronti degli altri. Risulta sempre più condiviso dal sentire comune che chi non è idolatra del proprio io assolutizzato è fuori dalla cerchia delle persone di successo,  dalla vera civiltà.
Ebbene, Gesù Cristo ci invita a percorrere un’altra strada, ad avere un’altra concezione di noi, ad avere cioè un’altra percezione, secondo la quale la nostra coscienza non deve rispecchiare un io chiuso in se stesso, che si nutre solo di sé, ed è privo di trascendenza. La coscienza dei figli di Dio non è totalmente autoreferenziale. Riflette l’apertura all’altro da sé, per cui non siamo chiamati ad essere Narciso. Nella nostra coscienza c’è l’apertura a Dio e, quindi, alla fraternità universale. Siamo chiamati a compierci attraverso la comunione con gli altri, il vero, il bene e Dio Padre.
L’invito di Cristo ai suoi discepoli di seguirlo nel cammino della croce è, allora, sollecitazione ad uscire dal proprio guscio, a realizzarsi anche nella parte più intima e profonda di se stessi, che ci mostra inclinati ad un’esistenza di dono, di trascendenza.
Come ammonisce san Luca nel suo Vangelo, i rischi che minacciano i discepoli sono due: quello di spendere la propria vita solo nell’accumulo dei beni e quello di aver paura di essere di Cristo e, quindi, di testimoniarlo. In questa maniera si tradisce la propria identità profonda di persone chiamate a coltivare il dialogo con gli altri, il colloquio con Dio, la comunione con Cristo, Figlio dell’uomo. Noi siamo persone nelle quali lo spirituale ha il primato sul corporeo e sul materiale. Siamo cristo-conformi, cioè esseri strutturati secondo l’immagine del Figlio di Dio, esseri strutturati a tu. L’attaccamento morboso ai beni della terra, la negligenza nei confronti del nostro essere di Cristo, ci portano al fallimento, alla perdita di noi stessi. Si finisce per non riconoscere il nostro essere nel suo volume totale. Si cade nella situazione evidenziata da Emmanuel Mounier già nel secolo scorso: «Non si sa più che cos’è l’uomo  e, poiché lo si vede passare attraverso trasformazioni impensate, si è convinti che non vi sia più natura umana».[1] «Il nostro compito principale – ripeteva – è di ritrovare la vera nozione dell’uomo».[2]
Questo compito concerne in modo particolare coloro che si dedicano all’insegnamento. Infatti, non si insegna per insegnare, ma per la vita, per aiutare i giovani a vivere bene, in pienezza. Coloro che si dedicano alla loro formazione non possono prescindere da una visione integrale della persona.
Ma, nel contempo, sappiamo tutti che l’emergenza più grave che attraversa i nostri Paesi, non è primariamente di tipo economico e politico. Essa è, anzitutto, pedagogica, educativa, per cui la risorsa più strategica per le società e l’umanità non è disponibile, se non in maniera ridotta. A fronte del fatto che le nuove generazioni non possono rimanere orfane di ideali, di padri e di maestri occorre pensare ad un nuovo rinascimento dell’educazione. La rinascita dell’educazione avviene ricostruendone le condizioni e i luoghi (famiglia, scuola, Chiesa); introducendo i giovani alla realtà (non solo virtuale) e al suo significato; mettendo a frutto il patrimonio della nostra tradizione culturale, preparando maestri di pensiero, oltre che, ovviamente, testimoni di vita nuova, secondo il sempre attuale insegnamento di Paolo VI. È un impegno che deve estendersi su più fronti.
Noi credenti, poi, non possiamo ignorare che una nuova educazione si rende disponibile mediante quella nuova tappa evangelizzatrice a cui chiama papa Francesco con la sua esortazione apostolica Evangelii gaudium. Partecipando a questa Eucaristia rinnoviamo, allora, il proposito di impegnarci, con le nostre comunità ed associazioni, nella sua ricezione. La nostra diocesi, assieme alle altre diocesi italiane, non a caso è già attivata in vista di ciò e recentemente, proprio qui in cattedrale, è stato distribuito un sussidio. Maria, Madre di Cristo e di una nuova umanità, san Pio da Pietrelcina ci aiutino.

 


[1] E. Mounier, Il personalismo, Milano 1952, pp. 125-126 (Oeuvres, vol. III, Seuil, Paris 1962, p. 510).
[2] E. Mounier, Lettere e diari [titolo originale Mounier et sa génération, 1954], Città Armoniosa, Reggio Emilia 1981, p. 109 (Oeuvres, vol. IV, Seuil, Paris 1962, p. 490).