RIFLESSIONE ai GIOVANI A GAMOGNA

Eremo di Gamogna, 24 settembre 2016
24-09-2016

Cari giovani, è bello essere qui in questo luogo di pace, fondato, secondo la tradizione, da san Pier Damiani. Sulle sue orme desideriamo metterci alla scuola della Parola e in ascolto di Dio. Guardando a voi, così numerosi, viene da avere speranza per la Chiesa che è in Faenza e Modigliana. C’è ancora futuro per il cristianesimo qui in Romagna. Vi sono giovani che se ne fanno carico, ricevendone il testimone da grandi santi che hanno onorato questa terra e l’hanno resa casa di Dio, popolo ricco di fede e di opere, grazie all’evangelizzazione e alla testimonianza del Vangelo.

Siamo qui, in disparte, come i discepoli attorno a Gesù, per re-incontrarLo, per non essere «pensionati» anzitempo, per vivere una vita in pienezza, con passione. Il papa Francesco nel suo discorso a Blonia, nel parco Jordan, confidava: «Nei miei anni vissuti da Vescovo ho imparato una cosa – ne ho imparate tante, ma una voglio dirla adesso -: non c’è niente di più bello che contemplare i desideri, l’impegno, la passione e l’energia con cui tanti giovani vivono la vita. Questo è bello! E da dove viene questa bellezza? Quando Gesù tocca il cuore di un giovane, di una giovane, questi sono capaci di azioni veramente grandiose. È stimolante, sentirli condividere i loro sogni, le loro domande e il loro desiderio di opporsi a tutti coloro che dicono che le cose non possono cambiare».

Anche i vostri sacerdoti ed animatori, anche il vostro vescovo, che è salesiano, tutti, sono felici nel vedere un gruppo di giovani così numeroso e la cui bellezza viene da Gesù, che tocca e trasforma il loro cuore.

Diceva ancora il papa a Blonia: «Voglio anche confessarvi un’altra cosa che ho imparato in questi anni. Non voglio offendere nessuno, ma mi addolora incontrare giovani che sembrano “pensionati” prima del tempo. Questo mi addolora. Giovani che sembra che siano andati in pensione a 23, 24, 25 anni. Questo mi addolora. Mi preoccupa vedere giovani che hanno “gettato la spugna” prima di iniziare la partita. Che si sono “arresi” senza aver cominciato a giocare. Mi addolora vedere giovani che camminano con la faccia triste, come se la loro vita non avesse valore. Sono giovani essenzialmente annoiati… e noiosi, che annoiano gli altri, e questo mi addolora. E’ difficile, e nello stesso tempo ci interpella, vedere giovani che lasciano la vita alla ricerca della “vertigine”, o di quella sensazione di sentirsi vivi per vie oscure che poi finiscono per “pagare”… e pagare caro».

Secondo papa Francesco i giovani non debbono essere né rassegnati né rinunciatari rispetto ai grandi ideali che abitano nel loro cuore. Non debbono essere nemmeno disuniti, incapaci di fare «massa critica» rispetto ad una società che li snerva e li riduce a zombi, deprivandoli dei loro sogni. Per reagire a questa situazione c’è una sola strada da percorrere. Non so se avete fatto caso ad un passaggio del discorso di papa Francesco in cui osserva: « […] ci siamo riuniti per aiutarci a vicenda, perché non vogliamo lasciarci rubare il meglio di noi stessi, non vogliamo permettere che ci rubino le energie, che ci rubino la gioia, che ci rubino i sogni con false illusioni». Ebbene, ecco la strada: per non diventare pensionati anzitempo, rinunciatari, giovani che gettano la spugna prima di incominciare a lottare, occorre riunirsi attorno a Cristo, fare comunione con Lui. La risposta alla nostra debolezza morale e al nostro disorientamento è Gesù Cristo, che non è una cosa, non si compra in un negozio, ma è una persona. Gesù Cristo è colui che sa dare vera passione alla vita, è colui che ci porta a non accontentarci di poco e ci sospinge a dare il meglio di noi stessi. Egli ci sollecita ad alzare lo sguardo e a sognare alto.

Siamo qui, per incontrarLo, per contemplarLo, per accoglierLo e condividerLo. Chi accoglie Gesù impara ad amare come Gesù.

È, dunque, fondamentale poterLo incontrare realmente. Bisogna che si riesca a trovare il momento per farlo, creando il silenzio attorno a noi, in noi, per essere a tu per tu con Lui, spogli di ogni pensiero che ci sovrasta e che ce Lo nasconde. Dovremmo poterlo raggiungere bypassando tutto ciò che si frappone tra noi e Lui, per essere guardati, per guardarLo negli occhi, per pregarLo, per parlargli, domandandogli cosa desidera da noi, dalla nostra vita, per donarci a Lui con tutto noi stessi. Giungendo a «toccarlo» con il nostro spirito e a vederlo, giungendo ad essere intimi a Lui, assumiamo il suo punto di vista sul mondo e sulla storia, facciamo nostri i suoi sentimenti, riceviamo il mandato di essere suoi missionari, e superiamo le nostre paralisi e chiusure, vinciamo la paura di uscire, non siamo più imbambolati ed intontiti, persone-divano, passive. Chi vive un’intimità intensa con Lui, che è il Missionario per eccellenza, perché Inviato dal Padre a portare la salvezza a tutti, diventa annunciatore di una redenzione ricevuta e sperimentata, che trasfigura il nostro essere e lo rende più sensibile al vero, al bene e a Dio. Si fa portatore di una libertà che sceglie e persegue il progetto di quella nuova umanità che egli è venuto a seminare nei solchi della storia: un’umanità solidale, giusta, pacifica, aperta alla TRASCENDENZA. La comunione con Gesù Cristo ci rende persone che non confondono la felicità con un divano, bensì persone sveglie, desiderose di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni genuine del cuore. I giovani, amici di Gesù, non si lasciano vincere in slancio e operosità da altri giovani, forse più vivi, ma non i più buoni, e nemmeno da quegli adulti che preferiscono avere a che fare con giovani poco svegli e poco vivaci intellettualmente, e così decidono il futuro per loro. Cari giovani, dice papa Francesco, non siamo venuti al mondo a “vegetare”, per passarcela comodamente. Siamo venuti al mondo per lasciare un’impronta, ossia per costruire un mondo nuovo, una famiglia di fratelli, ove si cresce in dignità e tutti possono fiorire. Come Gesù bisogna avere una buona dose di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate. Bisogna andare per le strade del nostro Dio che invita ad essere suoi evangelizzatori (su questo ritornerò fra breve), attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Egli ci stimola a pensare un’economia più solidale di quella che abbiamo, a portare la Buona Notizia, in tutti gli ambiti di vita (cf Discorso a Cracovia, Campus Misericordiae, 30 luglio 2016).

Come sottolineavo poco fa, facendo comunione con Gesù Cristo viviamo un’Intimità Itinerante, che ci rende inviati, missionari di Lui. Ciascuno e tutti siamo una missione: siamo e dobbiamo essere missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. Nel n. 262 dell’Evangelii gaudium, si precisa che dobbiamo essere missionari con Spirito. «Evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano. Dal punto di vista dell’evangelizzazione, non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore. Tali proposte parziali e disgreganti raggiungono solo piccoli gruppi e non hanno una forza di ampia penetrazione, perché mutilano il Vangelo. Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne. La Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera».

Ma perché dobbiamo essere missionari?

Per quanto concerne le motivazioni del nostro essere missionari, nell’Evangelii gaudium troviamo queste affermazioni: «La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. […]La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri» (n. 264).

Ma sempre nell’esortazione Evangelii gaudium è indicata un’altra motivazione: «Il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L’entusiasmo nell’annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa» (n. 265).

Detto altrimenti, siamo chiamati ad evangelizzare perché in ogni uomo è inscritta l’immagine di Cristo. Ogni persona è strutturata sulla figura di Gesù Cristo. E, quindi, è caratterizzata dalla propensione innata a crescere in modo da raggiungere la statura del Figlio di Dio. Proprio per questo in ogni persona vi è un dovere e un diritto ad essere evangelizzati. Spesso come credenti dimentichiamo questo aspetto e rinunciamo ad essere missionari. Noi non dobbiamo dedicarci ad un proselitismo aggressivo, perché lederebbe il diritto alla libertà altrui. Ma non possiamo scordare che se desideriamo vivere la misericordia di Dio nella sua integralità, ed essere di Cristo, uno degli aspetti da attuare è proprio questo: amare le persone aiutandole a crescere secondo l’immagine di Cristo e, quindi, rendendole consapevoli della loro vocazione alla cristo-conformità. Questo vuol dire vivere da missionari. E non semplicemente da filantropi o da persone che praticano la carità assistenziale, senza far trasparire l’amore di Cristo, come semplici operatori sociali.

Un’ultima motivazione per essere missionari secondo l’Evangelii gaudium è questa: «Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare, il messaggio che non può manipolare né illudere. È una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo. È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare. La nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore» (Ib.).

Cari giovani, in questo luogo santificato da san Pier Damiani e da tanti altri monaci e credenti, riscopriamo la nostra identità di missionari. Per esserlo realmente comprendiamo e approfondiamo davanti a Dio, pregandoLo, le ragioni per cui lo dobbiamo essere. Il nostro impegno futuro dipenderà proprio dall’aver capito le motivazioni profonde per cui siamo e dobbiamo essere evangelizzatori di Gesù Cristo, l’Uomo Nuovo, nel nostro territorio.