[nov 14] Omelia – Festa patronale di Villa San Martino

14-11-2021

Villa san Martino, parrocchia 13 novembre 2021.

Caro Signor Parroco, fratelli e sorelle in Cristo,

celebriamo oggi la festa patronale  di san Martino di Tours. Siete davvero fortunati ad avere per la vostra comunità, come protettore ed intercessore presso Dio, un santo così noto e moderno allo stesso tempo. Si tratta di un santo che incarna molti tratti del Signore Gesù, in una potente sintesi. Avrò modo di spiegare questo a breve. È bene prima richiamare alcuni momenti chiave della sua vita. Nacque a Sabaria Sicca (Ungheria) in un avamposto dell’impero romano alle frontiere con la Pannonia. Il padre, tribuno militare della legione, gli diede il nome di Martino in onore di Marte, il dio della guerra. Ancora bambino si trasferì coi genitori a Pavia, dove suo padre aveva ricevuto un podere in quanto ormai veterano e in quella città trascorse l’infanzia. Nel 331 un editto imperiale obbligò tutti i figli di veterani ad arruolarsi nell’esercito romano. Fu reclutato nelle Scholae imperiali, corpo scelto di 5000 unità perfettamente equipaggiate: disponeva quindi di un cavallo e di uno schiavo. Fu inviato in Gallia, presso la città di Amiens nei pressi del confine, e lì passò la maggior parte della sua vita da soldato. Faceva parte, all’interno della guardia imperiale, di truppe non combattenti che garantivano l’ordine pubblico, la protezione della posta imperiale, il trasferimento dei prigionieri o la sicurezza di personaggi importanti.

In qualità di circitor, il suo compito era la ronda di notte e l’ispezione dei posti di guardia, nonché la sorveglianza notturna delle guarnigioni. Durante una di queste ronde avvenne l’episodio che gli cambiò la vita (e che ancora oggi è quello più ricordato e più usato dall’iconografia Nel rigido inverno del 335 Martino incontrò un mendicante seminudo. Vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante.

La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello militare. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che egli, già catecumeno, si fece battezzare. Martino rimase ufficiale dell’esercito per una ventina d’anni raggiungendo il grado di ufficiale nelle alae scholares (un corpo scelto). Giunto all’età di circa quarant’anni, decise di lasciare l’esercito. Martino si impegnò nella lotta contro l’eresia ariana e venne per questo anche frustato (nella nativa Pannonia). Si fece monaco a Poitiers. Nel 371 i cittadini di  Tours o vollero loro vescovo. Si dedicò, oltre alle attività caritative, anche alla educazione della fede, alla preparazione delle guide del popolo di Dio. Fondò a Ligugé il primo monastero dell’Europa occidentale, costituì a Marmoutier una comunità per la formazione del clero. Per vent’anni si impegnò nell’evangelizzazione del mondo rurale, dei contadini. Abbatté gli idoli pagani e sostenne i poveri contro l’esasperato fiscalismo imperiale. Potremmo, dunque, dire che egli eccelse come annunciatore e testimone dell’Amore del Padre, come dispensatore della Parola di Dio – il Logos fattosi carne -, come missionario innamorato del Figlio, prodigatosi nel liberare dal male e dagli idoli, nel donare la verità e la giustizia. Fu, inoltre, un grande animatore vocazionale, un suscitatore di persone che si consacravano a Dio nella vita religiosa e si facevano monaci. Proprio per questo, come ho accennato, può essere definito un santo  ricco di tanti tratti di somiglianza nei confronti di Gesù Cristo, ed anche un santo pienamente attuale rispetto alla missione della Chiesa di oggi. Siamo, infatti, all’inizio di un cammino sinodale che ci chiede di incentrare il nostro impegno nella comunione, nella partecipazione, nella missione, tre aspetti della vita cristiana che vanno vissuti assieme. Come Chiesa, siamo tutti comunione con Gesù Cristo e tra di noi. Perché in comunione con Gesù siamo anche partecipi della vita della Trinità e delle sue missioni. In particolare, siamo in comunione con la missione della incarnazione di Gesù nell’umanità, nella storia, per salvarle dal peccato e  renderle migliori. L’obiettivo principale del cammino sinodale, che avrà la durata di quattro anni, sino al 2025, è quello di incrementare il nostro essere missionariper portare a tutti il Signore Gesù. Tutte le nostre comunità e le nostre associazioni, assieme ai vari organismi di partecipazione, dovranno crescere nella missionarietà, riuscendo a far incontrare le persone con Gesù, perché tutti partecipino al suo compito di generatore di una vita nuova. Se noi nel periodo sinodale leggessimo tanti libri di teologia, facessimo tanti incontri e non riuscissimo a pregare, a portare o a riportare a Gesù anche una sola persona, uno solo dei nostri giovani che nel dopo cresima si sono allontanati da Lui e dalla Chiesa, avremmo fallito. La verità e l’efficacia del nostro cammino sinodale saranno reali se saremo stati capaci di far innamorare di Gesù i giovani, i nostri familiari, i nostri amici, per farli vivere come figli di Dio, come fratelli e sorelle, come missionari. In un tempo in cui si frequenta di meno la comunità, cresce l’indifferenza nei confronti di Dio, e non ci si sente parte della Chiesa, il cammino sinodale è stato pensato e previsto per farci più capaci di camminare con Dio, con Gesù Cristo, tra fratelli; più capaci di fare catechismo, di essere preti e diaconi coraggiosi nel fare la proposta di fede o vocazionale, ossia di entusiasmare le persone e i giovani nel mettere la propria vita a disposizione della comunità, dei poveri, degli ammalati, del bene comune, della cura del creato.

La festa di san Martino, ci porta luce, indicando la via della carità e dell’evangelizzazione insieme. Come san Martino ha vissuto la carità di Cristo evangelizzando e coltivando il proposito di creare per il suo tempo, partendo dalla fede, un nuovo pensiero, una nuova cultura, così anche noi ricordiamoci che l’amore per i poveri si completa, quando possibile, con l’impegno di abilitarli in una professione; che la carità vissuta offrendo beni materiali alle persone bisognose deve essere integrata dalla carità che è l’offerta della redenzione di Gesù, della educazione alla fede. In questa chiesa, come in ogni chiesa del mondo, il cielo (Dio), durante l’Eucaristia, si unisce alla terra (Umanità), e noi partecipandovi diventiamo cielo, Dio. Egli si fa uno di noi, cammina con noi, si dona a noi perché diventiamo dono agli altri, missionari di Lui. Ricordiamoci, allora, che ogni domenica, la Parola di Dio, la vita stessa di Dio, irrompono  qui perché siamo popolo che cammina  e annuncia Gesù. Siamo chiamati ad evangelizzare o a rievangelizzare, a seconda delle circostanze. La ragione principale per cui dobbiamo dispiegare una nuova evangelizzazione è che solo Gesù Cristo redime e salva! È lui la chiave di volta della storia, principio e fine. Solo Lui trasfigura l’esistenza ed offre senso al nostro soffrire, al nostro impegno di dono.

Solo l’incontro con Lui capovolge le nostre scale di valori sbagliate, che pongono in cima a tutto il nostro io, il consumo, il potere, il successo, l’avidità, mentre Dio e la vita spirituale sono messi all’ultimo posto. Solo l’amare Gesù Cristo, con tutta la mente e con tutto il cuore, ci consente di trasformare la nostra vita, di vivere la carità che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta e non avrà mai fine. È l’amore a Gesù Cristo, amato sopra ogni cosa, che consentirà di impegnarci di più a consolidare le nostre famiglie nell’amore, a vivere il lavoro come modo di collaborare con Dio nel coltivare il creato, a vincere la complessa crisi che stiamo vivendo in questo tempo di pandemia. Una nuova missionarietà domanda che ci convertiamo a Cristo, che viviamo Lui, per Lui, riconoscendolo nei «fratelli più piccoli», come fece san Martino che oggi festeggiamo. Se riusciremo a mettere in pratica quanto insegna a fare Gesù nel Vangelo odierno  – e cioè di fissare lo sguardo su di Lui, sulla sua incarnazione, morte e risurrezione e il suo ritorno alla fine dei tempi  (cf Mc 13, 24-32) –  se riusciremo ad imitare san Martino vescovo, pastore solerte nella duplice carità sia dell’aiuto al bisognoso sia della diffusione del Vangelo, apparirà chiaro quanto il nostro cristianesimo potrà essere rivoluzionario in una società spesso senza valori, senza una prospettiva di futuro, senza un pensiero pensante.

 

                                                  + Mario Toso