OMELIA per le esequie di MONS. GIUSEPPE PIANCASTELLI

Brisighella - Collegiata, 28 agosto 2015
29-08-2015
  1. Morte lacerazione profonda ma non totale

La morte è esperienza tragica di rottura con questo mondo, con la nostra condizione terrena, con le nostre responsabilità, con la nostra comunità e famiglia. I nostri progetti finiscono repentinamente. Mentre ci ritenevamo fino a poco tempo prima indispensabili, con la nostra scomparsa  non lo siamo più. La storia prosegue nel suo cammino senza sosta e senza di noi. Lasciamo tutto. Non portiamo nulla con noi. Tutto finisce e non apparteniamo più a questa terra, a noi tanto cara, se non con i nostri resti mortali, e con una nuova presenza invisibile. La nostra morte recide i legami terreni, e tuttavia non ci separa del tutto dai nostri fratelli e da Dio. La vita non è tolta ma trasformata (cf 1 Cor 15, 51-57). Nulla ci separerà dall’amore di Cristo (cf Rm 8,35). Sant’Agostino, santo di cui oggi la Chiesa celebra la memoria così si esprimeva a proposito della morte: «La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo». Cara comunità di Brisighella ricordiamo Mons. Giuseppe, sempre così attento alle persone, specie ai poveri, come uno che sta nella stanza accanto alla nostra. Preghiamolo, sorridiamo come prima, pensiamolo.
 
 

  1. Morte liberazione dal contingente e apertura all’incorruttibilità, alla pienezza di Dio

La morte, per alcuni aspetti, è una liberazione dalle nostre ansie e dai limiti dovuti alla contingenza, al male. Con la morte, che è il massimo della nostra fragilità, siamo, specie quando avanza l’età e crescono le malattie, sollevati dal limite, dalla sofferenza, dal sentirci sproporzionati rispetto ai nostri compiti. Siamo portati verso la vivente Luce che è Dio, pienezza di vita. Se i pesi delle croci che portiamo con Cristo, per suo amore, uniti a Lui, possono essere fonte di redenzione, nondimeno schiacciano e fanno sentire la loro forza condizionatrice, distruttiva. Monsignor Giuseppe, in un incontro avuto con me, dopo il mio ingresso di qualche mese fa, dopo aver espresso alcune sue preoccupazione di fronte alla complessità di alcune situazioni della parrocchia, aveva confidato il desiderio di essere trasferito. Viveva quasi in punta di piedi, ha scritto un suo collaboratore. Non amava i clamori. Preferiva agire ed influire nel nascondimento, formando le coscienze, affinandole nel giudizio, non ignorando, anzi apprezzando e sapendo utilizzare al meglio quei mezzi di comunicazione sociale, che sono stati definiti il quarto potere, ma che per lui erano considerati soprattutto un megafono per dire dai tetti la Parola. La sua morte improvvisa ha provocato per noi, per lui e per questa comunità le condizioni di un passaggio radicale. Ora, tocca ad altri predisporre i nuovi piani pastorali, organizzare la carità, annunciare con gioia il Vangelo, piantare e coltivare, spezzare il pane della Parola e dell’Eucaristia. Quando ci avviamo al giorno senza tramonto, come già detto, non ci separiamo del tutto dai nostri fratelli, ma partecipiamo alla vita delle comunità qui in terra collocandoci in un’altra dimensione. Ci teniamo uniti mediante la comunione dei santi, mediante il ponte che è Cristo, Sommo Sacerdote, e che, come Dio-Uomo, tiene unite le due sponde, quella della mortalità e quella dell’immortalità. I sacerdoti, i religiosi, i fedeli laici che passano ad un’altra esistenza, rivestendosi di incorruttibilità, sono presenti in un altro modo, fanno il tifo per coloro che rimangono, sostenendoli spiritualmente e moralmente nel loro pellegrinaggio verso la meta finale, la città santa, la gioia della Gerusalemme celeste.
 

  1. L’incontro a cui aneliamo

Poco tempo fa, celebrando la solennità di santa Chiara nel convento delle Clarisse di Faenza abbiamo avuto modo di ricordare anche il momento del suo trapasso. La santa, nel momento del suo distacco dalla comunità che aveva fondato e dalla Chiesa – che, assieme a Francesco, aveva contribuito a riparare, specialmente dal punto di vista spirituale – fu consolata dalla visita di papa Innocenzo IV, di cardinali e di prelati. Don Giuseppe è partito dalla sua comunità senza avere nessuno accanto, senza che nessuno, come desiderò per sé il Cardinale Martini, gli tenesse la mano nel momento della partenza. Egli ha condiviso la sorte di tanti poveri e di tante persone sole. Con ogni probabilità, quando giungerà la nostra ora – dobbiamo essere sempre pronti a prendere in mano il bastone da viaggio e a calzare i sandali – non avremo al nostro capezzale chissà quali personaggi – sicuramente sarebbe auspicabile avere una presenza amica e fraterna -, ma sarà soprattutto consolante l’incontro con il Signore, il Pastore dagli occhi grandi che vede oltre il buio della morte e ci conduce a casa, dal Padre. Nelle vicende della nostra vita, affrontiamo la strada ad occhi aperti, lottiamo ed amiamo anche quando l’uomo esteriore si sta disfacendo, desiderando sempre e solo Lui, la pace della sua presenza, fissando lo sguardo sulle cose di lassù.
 

  1. Caro Monsignor Giuseppe, Dio ti accolga nel suo abbraccio

La dipartita di un figlio per il padre, di un sacerdote e di un confratello del presbiterio è una ferita profonda al cuore. Quello che non abbiamo fatto in tempo a darti, caro don Giuseppe, te lo doni il Padre, Colui che vede tutto e che tu hai amato sopra ogni cosa, donandolo a tutti quelli che hai incontrato con il tuo ministero pastorale e culturale. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna», ci ha assicurato Gesù (Gv 6, 51-58). Noi viviamo con questa fede e ti pensiamo nell’abbraccio di Dio.
 Peraltro, non si deve interrompere una maternità e una paternità nei confronti della comunità che ti ha avuto quale padre e maestro zelante e premuroso. Proprio per questo ieri stesso ho provveduto a nominare amministratore parrocchiale il sig. don Vecchi Stefano, Vicario foraneo della porzione di Chiesa che include la comunità di Brisighella. La Madonna del Monticino che veglia sulla città accolga l’arciprete Mons. Giuseppe Piancastelli e accompagni l’intera comunità nel suo cammino di fede e di crescita nell’amore di Dio.