OMELIA per la VEGLIA per le VOCAZIONI

Bagnacavallo, Pieve di San Pietro - 16 aprile 2016
16-04-2016

Cari giovani e fedeli,

il brano del Vangelo di Luca (Lc 19, 1-10) ci presenta l’incontro di Gesù con Zaccheo. Fermiamo l’attenzione su due nuclei dell’episodio che sono: la ricerca di Zaccheo e l’iniziativa missionaria di Gesù. Ciò può aiutare a vivere meglio la nostra Veglia di preghiera per le Vocazioni e l’ammissione di Emanuele Casadio, Marco Fusini e Michele Rosetti tra i candidati al Diaconato e al Presbiterato.

La ricerca di Zaccheo. Egli è un esattore-capo degli impiegati del fisco, un funzionario che è anche ricco. Fa parte di una categoria considerata perduta, dannata, perché nell’opinione comune si riteneva impossibile che un ricco si potesse convertire e salvare (cf Lc 18, 24-25). Ma nell’incontro con Gesù avviene quello che umanamente è impossibile. È interessante considerare come l’evangelista Luca descriva, un po’ divertito, Zaccheo: «piccolo di statura», incuriosito dal passaggio di Gesù, il maestro, che attraversava la città di Gerico. Poiché la folla era numerosa e nascondeva Gesù, Zaccheo escogita la trovata di arrampicarsi su un sicomoro. Il funzionario del fisco, superando ogni complesso di dignità e di prestigio sale sull’albero per vedere Gesù. In tal modo, inizia il cammino che lo porta all’incontro con Gesù. Zaccheo, come ogni uomo, ricco o povero, umile o altolocato, è in ricerca. In ognuno di noi c’è il desiderio di un «di più» di quello che può offrire la nostra vita quotidiana di studio o di lavoro, di dedizione, passione e delusioni. Siamo sempre protesi verso un Assoluto che possa appagare il cuore, e spegnere la nostra sete di bene, di vero e di Dio. Zaccheo che sale sull’albero è il simbolo dell’uomo che per vedere meglio ciò a cui aspira dal profondo di sé, sceglie di cavarsi fuori dalla confusione, dalla folla. Esce dalla mischia per guadagnare un punto di osservazione superiore, al fine di scorgere meglio ciò che, ultimamente, ricerca.

Sappiamo che Gesù, pur immerso in una folla confusionaria, non è distratto dalla ressa che lo circonda. Ha «occhi» per Zaccheo. Lo vede, lo chiama, e si autoinvita a casa sua. Gesù entra nella vita del funzionario del fisco, solidarizza con lui sfidando le critiche dei benpensanti. La gente con i suoi pregiudizi si frappone tra Zaccheo e Gesù. Ma Zaccheo risponde subito all’invito. È senz’altro questa la ragione per cui questo brano evangelico è stato scelto per l’odierna Veglia di preghiera per le vocazioni. Alle parole: «Zaccheo, presto, vieni giù, perché oggi devo fermarmi a casa tua», corrispose una pronta risposta. Zaccheo, narra Luca, «discese in fretta e lo accolse con gioia in casa» (Lc 19,6).

Tutti i credenti, fedeli laici, sacerdoti, religiosi e consacrati, trovano in Zaccheo un modello di vocazione e di risposta. Zaccheo vive l’esperienza della vocazione come uno che spalanca prontamente la propria casa e la propria vita a Gesù, e si mette a disposizione, non solo a parole ma coi fatti, dei suoi fratelli, non cambiando professione ma modo di esercitarla. Davanti a Gesù decide un mutamento radicale, relativo al suo status di funzionario del fisco e di uomo facoltoso: dà metà dei suoi beni ai poveri e restituisce il quadruplo a chi ha frodato.

Cari giovani, noi mostriamo agli altri di essere persone vocate, chiamate, appartenenti a Dio, quando la nostra vita è trasformata, non è più solo per noi, ma per Gesù, per i fratelli, specie per i più poveri. Pregare per le vocazioni significa domandare al Signore persone nuove, coraggiose nel bene, capaci di mettersi in discussione e di assumere nuovi atteggiamenti e stili di vita. La comunione con Cristo, accolto a casa nostra, ci fa rinascere e ci restituisce alla nostra vocazione originaria: essere di Dio e dei fratelli. Sentirsi responsabili della loro dignità e della loro crescita. Non defraudarli dei loro diritti. Concepire la propria vita come un servizio a Dio e a loro. Farsi poveri, dando soprattutto la vita, sull’esempio di Gesù che «da ricco che era, si fece povero per arricchirci con la sua povertà» (2 Cor 8,9). In definitiva, Zaccheo incontrando Gesù si è sentito chiamato ad «evangelizzare» i poveri, un inviato a porsi al loro servizio.

Gesù il missionario, l’evangelizzatore. Nell’incontro con Zaccheo, il ricco pubblicano di Gerico, Gesù si mostra come Colui che prende l’iniziativa. Come abbiamo udito, fa la proposta di autoinvitarsi a casa. Annuncia la salvezza a lui e alla sua famiglia. Entrando nella casa del funzionario, Gesù porta la salvezza anche a chi è ritenuto estraneo o ai margini del popolo di Israele. Siamo così al secondo momento della nostra riflessione: l’iniziativa missionaria di Gesù. Tutti i credenti, battezzati e cresimati, sono chiamati ad essere missionari, sono mandati ad evangelizzare. Emanuele, Michele e Marco questa sera chiederanno di imitare più da vicino Gesù, il missionario. Domanderanno, in particolare, di essere ammessi tra i candidati al sacramento dell’Ordine. A suo tempo, associati al ministero del vescovo, serviranno la Chiesa. Con i sacramenti e la Parola edificheranno le comunità dei credenti. Condivideranno con tutti i credenti, sia pure in maniera diversa, la missionarietà di Cristo.

A questo proposito, desidero ricordare a tutti noi che – preti, diaconi, consacrati, laici – siamo impegnati nell’evangelizzazione non come persone che si sono autodestinate a ciò. Non siamo mandati in missione per una nostra iniziativa autonoma, per una smania di protagonismo, per conto nostro, ma per conto di Dio, per «conto-Terzi», per conto della Trinità. Ma se questo è vero, occorre anche dire che non andiamo in missione come persone «forzate», telecomandate. Non siamo costretti ad uscire e ad andare. La missione a cui ci dedichiamo non è un’imposizione da parte di Dio. Il Padre ha mandato il Figlio non contro la sua volontà. Fa altrettanto con noi. Dio non è un «Padre-padrone» incombente, despota. Egli è e resta sempre il nostro fortissimo e tenerissimo Abbà, il nostro Babbo. La nostra determinazione a partire per l’evangelizzazione è frutto di un amore ricevuto, di un innamoramento. Gesù affida il compito di pascere le pecore nel momento in cui domanda a Pietro se lo ama e dopo averne ricevuto l’assicurazione. Ricordiamo qui il brano del Vangelo che abbiamo sentito leggere domenica scorsa. Gesù non ha chiesto primariamente a Simone: Pietro, hai capito il mio messaggio? È chiaro per te ciò che ho fatto? Ciò che devi annunciare agli altri? Chiede, anzitutto: Mi ami? Mi vuoi bene? Detto altrimenti, per l’evangelizzatore e il costruttore di comunità cristiane è richiesto prima di tutto l’amore a Gesù. Senza di esso si fatica invano. Questo, allora, non vuol dire che non conta lo studio serio, l’approfondimento razionale della nostra fede, l’impegno ad inculturarla nei vari contesti e nelle istituzioni. Meno conosciamo la persona che amiamo e meno il nostro amore è stabile e duraturo. Il nostro amore per lei è meno motivato e fondato. Non si può amare una persona senza conoscerla adeguatamente. Tantomeno Dio. Pertanto, cari figli, candidati al sacerdozio: ci vuole e affetto per Gesù e conoscenza di Lui: una conoscenza non solo teorica, dottrinale, bensì esperienziale, ossia acquisita abitando a casa sua, dimorando con Lui, in Lui, pregandolo, condividendo i suoi stessi sentimenti.

In questa felice circostanza per la nostra Chiesa, che è in Faenza-Modigliana, mi preme sottolineare ancora un altro elemento. Uscire oggi ad evangelizzare non vuol dire coltivare solo la preoccupazione di far crescere e maturare una fede che c’è già, con il catechismo, con i sacramenti e le devozioni. Oggi è cruciale farla nascere, anzi – cosa ancora più difficile – farla rinascere in coloro che, per varie ragioni, l’hanno abbandonata. Per questo non basta una pastorale di conservazione. Ne occorre una di evangelizzazione o di ri-evangelizzazione, alle quali non sempre siamo preparati e formati. Viviamo in un tempo in cui occorre tornare a seminare per la prima volta o bisogna farlo per la seconda. Occorre aiutare le persone, i giovani, i ragazzi, i non credenti, ad incontrare per davvero Gesù, non tanto come una dottrina da apprendere, non come una persona da studiare o da analizzare in laboratorio, ma da amare! O diventiamo evangelizzatori appassionati o ci riduciamo a freddi professionisti della Parola, del sacro. Dobbiamo essere discepoli innamorati di Gesù, e questo in ogni periodo della nostra vita. Conta l’unione a Lui, l’essere cuore a cuore con Lui, costantemente, ora dopo ora. Minuto dopo minuto. Occorre essere completamente suoi.

Cari Seminaristi, in un mondo in cui sono di più le ombre delle luci, c’è per noi una consolante novità. Sta rifiorendo in non pochi laici la consapevolezza di non essere solo i destinatari o i semplici fruitori dell’insegnamento offerto dai pastori ma i nuovi protagonisti di una nuova evangelizzazione. I laici non si sentono più truppe di riserva. Ebbene, cari Emanuele, Marco e Michele, mentre vi donate al Signore abbiate coscienza di non essere da soli a lavorare nella vigna del Signore. Crescete con l’intento di raccordarvi con altri operai-evangelizzatori, mandati dal Signore in campi ricchi di messe. Una chiesa più popolata da vocazioni forti, non solo sacerdotali ma anche laicali e religiose, è più bella, più giovane, più ricca di gioia contagiosa: la gioia di vivere Cristo, salvezza e speranza del mondo intero.