OMELIA per la solennità di MARIA MADRE DI DIO

Faenza - Basilica Cattedrale, 1 gennaio 2017
01-01-2017

All’inizio di un Nuovo anno festeggiamo la divina maternità di Maria. Nell’espressione “Dio mandò il suo Figlio nato da donna” si trova condensata la verità fondamentale su Gesù come Persona divina che ha pienamente assunto la nostra natura umana. Egli è il Figlio di Dio, è generato da Lui, e al tempo stesso è figlio di una donna, Maria. Viene da lei. È da Dio e da Maria. Per questo la Madre di Gesù si può e si deve chiamare Madre di Dio.

Questo titolo, che in greco suona Theotókos, compare per la prima volta, probabilmente nell’area di Alessandria d’Egitto. Esso però fu definito dogmaticamente nel 431, dal Concilio di Efeso» (Benedetto XVI, Omelia del 31 dicembre 2006).

Fin dall’antichità, pertanto, la Madonna venne onorata con titolo di Madre di Dio (Theotókos). In occidente, tuttavia, non si trova per tanti secoli una specifica festa dedicata alla maternità divina di Maria. La introdusse nella Chiesa latina il Papa Pio XI nel 1931, in occasione del 15° centenario del Concilio di Efeso, e la collocò all’11 ottobre. Fu poi il beato Paolo VI, nel 1969, riprendendo un’antica tradizione, a fissare questa solennità al primo gennaio e a connetterla con la Giornata Mondiale della Pace. Festeggiare la Madre di Dio, che è Principe della pace, significa impegnarsi a costruire la pace sulle orme del Redentore.

In occasione del 1 gennaio, a partire dal beato Paolo VI, ogni pontefice è ormai abituato ad indirizzare ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile, un Messaggio per la Celebrazione della Giornata mondiale della Pace. Il Messaggio di papa Francesco per la 50a Giornata porta questo titolo: La nonviolenza:stile di una politica per la pace. In sostanza, il pontefice si augura che la carità e lo spirito della nonviolenza guidino il modo in cui ci trattiamo gli uni e gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. La nonviolenza deve diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme. I politici e i cittadini credenti hanno in Gesù Cristo il modello più alto di nonviolenza e di carità. Gesù insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cf Mt 5,44), disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cf Mt 26,52). La via della non violenza da lui tracciata fu percorsa sino alla fine, fino alla croce. Mediante essa ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cf Ef 2, 14-16). Ma perché, possiamo chiederci, la nonviolenza per papa Francesco, deve diventare lo stile delle convivenze sociali e di una politica impegnata a costruire la pace? La risposta non è difficile da trovare. Purtroppo oggi il nostro mondo, che pure contiene molteplici segni positivi di solidarietà e di unità, è spesso segnato dalla violenza e la stessa politica che dovrebbe, per propria vocazione e missione, contribuire a debellarla, può esserne una fonte. Basti pensare a quando la politica diventa rissosa, o non accede al negoziato per porre fine a rappresaglie, a conflitti infiniti che danneggiano le popolazioni inermi e recano benefici, come scrive il pontefice, solo a pochi «signori della guerra», a quando nella gestione della cosa pubblica vince l’illegalità e la corruzione, a quando per negligenza non si governa e non si affrontano con incisività i problemi sociali come la disoccupazione, che emargina specialmente le nuove generazioni, ma non solo. Accogliamo l’invito del papa che sollecita tutti, cittadini e politici, a costruire la pace mediante la non violenza attiva e creativa, mediante la carità. Combattiamo insieme quei nemici insidiosi che sono l’odio e la violenza verbale, eletti da molti a strumento di lotta politica, ai quali accennava ieri sera il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo Messaggio di fine anno. Oggi abbiamo bisogno di una società più unita, di una politica che sia animata da un cuore d’amore, specie nei confronti dei più fragili. Preghiamo con Maria, Madre del Principe della pace, anche santa Teresa di Calcutta, che papa Francesco, nonostante sia stata tacciata ingiustamente di assistenzialismo e cioè di non essersi impegnata nell’abbattere le cause dei mali sociali, indica come modello alla politica per il suo amore samaritano. Affrontiamo il male con il bene, spezziamo la catena dell’ingiustizia con le armi dell’amore, della libertà, della verità e della giustizia. Sorreggiamo la famiglia, indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono. Rileggiamo sovente il «manuale della strategia della costruzione della pace», così le definisce papa Francesco, e cioè le otto beatitudini (cf Mt 5, 3-10). Beati i miti – dice Gesù -, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia.

Riscopriamo la nostra appartenenza al Cristo totale, ossia a Cristo modello di non violenza. Impariamo da Maria a meditare sulla presenza di Gesù Cristo in noi e nella storia. Sul suo esempio impariamo Cristo nonviolento, custodiamolo (cf Lc 2, 16-21), viviamolo. Maria ha imparato Cristo non violento accompagnandolo nella sua Passione, rimanendo ai piedi della sua croce. Capiamo cosa significa perdonare, amare i nemici, morire per il bene. È a partire dall’esperienza di Lui che comprendiamo come non possiamo essere suoi veri discepoli senza accettare la sua proposta di non violenza, ossia divenendo persone capaci di sbaragliare il male con le armi dell’amore, della verità, della giustizia.