Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni non ammettono replica di sorta. Le sue affermazioni sono perentorie, riprese e ripetute con insistenza, come a dire: ‘Le cose che vi dico vanno accolte per la fiducia che avete in chi ve le dice; non si tratta di capire, ma di cogliere con gioia la bellezza del dono che vi sto annunciando’.
Proviamo a pensare a ciò che in realtà Gesù ha fatto donando Sé stesso nell’Eucaristia, proprio partendo dal mistero della Sua presenza reale, che è l’oggetto della Solennità del Corpus Domini, mentre il Giovedì santo nella Cena del Signore celebra il Sacrificio di Cristo nel segno sacramentale.
Non dobbiamo infatti dimenticare che il Mistero dell’Eucaristia è anzitutto il Sacrificio di Cristo che viene perpetuato in Sua memoria, con il quale si annuncia la morte e la risurrezione di Cristo, al quale noi partecipiamo con la Comunione eucaristica; ma è anche mistero della presenza del Signore, tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
Perché mai Gesù avrà scelto il pane e il vino come segni del suo mistero di amore e di presenza? Perché avrà voluto che il pane e il vino, una volta trasformati nel Corpo e nel Sangue Suo fossero da noi consumati come cibo, quando ci accostiamo per comunicarci di Lui nella Messa?
Il vangelo di Giovanni afferma senza esitazione la volontà di Gesù a questo riguardo: ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna’ perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda’ questo è il pane disceso dal cielo”.
I segni scelti da Gesù, il pane e il vino, li troviamo nell’ordinarietà dell’esistenza, come alimento per la vita dell’uomo. Con questi elementi Gesù mantiene la realtà del dono della sua vita sia nel sacrificio al Padre, sia nell’essere alimento per la nostra vita di figli di Dio.
Quando sentiamo il sacerdote pronunciare le parole di Gesù: ‘Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi’, dobbiamo pensare che guardando, toccando e mangiando quel pane noi di fatto guardiamo, tocchiamo e mangiamo ciò che ci mette in contatto con il Corpo glorioso di Cristo. Come nel mistero dell’Incarnazione il Verbo di Dio prese la natura umana per entrare nella nostra storia, così anche oggi il Cristo glorioso presso il Padre si fa presente in mezzo a noi con il segno del Pane e del Vino. Non sono un segno indicatore, ma una realtà vera. La Liturgia ha questa capacità di farci penetrare oltre il tempo e lo spazio, e mediante le preghiere e i riti metterci in contatto con il Cristo glorioso del cielo.
Se Gesù avesse detto ai suoi apostoli quando lo guardavano salire al cielo: ‘Quando volete pensare a me, guardate in alto: io vi vedrò’, noi saremmo rimasti contenti e convinti che ciò si sarebbe realizzato. Gesù invece ha voluto continuare la sua presenza sulla terra in modo diverso di prima, ma vero e reale.
Possiamo noi dire che questo a Lui non è possibile? Gesù non ha risposto alle difficoltà che gli hanno fatto i suoi ascoltatori, perché non avrebbero capito. L’alternativa che ha posto è stata solo una: ‘Credete in me, fidatevi e sarete felici’.
Davvero solo un cuore divino poteva pensare ad un modo così singolare e fuori dalla portata umana, per essere vicino a tutti coloro che lo desiderano, senza bisogno di spostarsi come dovevano fare gli abitanti della Palestina. E nello stesso tempo per incontrarlo così ci invita a riunirci in assemblea santa di Dio, ad essere cioè Chiesa riunita dalla sua parola, a vivere l’incontro con Lui non in una solitudine intimistica, ma nella gioia di una assemblea in festa. È quanto ci ha ricordato San Paolo con la forza del suo linguaggio: ‘Il calice della benedizione, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?’. La risposta è ovviamente affermativa, perché il Sangue di Cristo è stato versato sulla Croce realmente anche per me e ora io entro in rapporto con esso perché ne possa raccogliere tutta l’efficacia.
Così il pane che noi spezziamo è comunione con il Corpo di Cristo, presente nel sacramento; e questa comunione ci riunisce nel Corpo mistico del Signore, che è la sua Chiesa: ‘Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane’. E con questo abbiamo scoperto qual è il fine dell’Eucaristia: tenerci in comunione con il Signore risorto, per essere uniti tra noi nel suo Corpo che è la Chiesa.
Il momento tipico della festa del Corpus Domini è la processione, cioè la manifestazione pubblica della comunità ecclesiale, non come esibizione trionfalistica, ma come umile testimonianza di quello che siamo, popolo in cammino verso il Regno, che porta con sé la fonte della sua speranza: l’Eucaristia.
Ci metteremo in cammino pregando e cantando per dire anzitutto a noi stessi che la nostra vita in Dio ha bisogno della preghiera, e per dire a tutti che Dio cammina con noi e con tutti coloro che lo cercano. Poi vorremo dire che ciò che avviene nella Chiesa è per il bene di tutti; fintanto che c’è chi prega, fintanto che la parola di Dio è proclamata, fintanto che c’è la Messa, fintanto che c’è la carità vissuta abbiamo motivo di sperare.
Siamo grati ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che si rendono disponibili per il Ministero di distribuire la Comunione, portandola anche ai malati, cioè a coloro che più hanno bisogno di essere sostenuti nella fede e nella speranza. Ringrazio i nuovi ministri che ora verranno istituiti e anche coloro che oggi hanno rinnovato la loro disponibilità.
Grazie Signore perché sei rimasto con noi e ci accompagni perché vuoi bene a tutti e ci attendi come fratelli nella tua casa