OMELIA per il X anniversario della morte del cardinale DINO MONDUZZI

Brisighella, 30 ottobre 2016
30-10-2016

Nella vita di una persona l’incontro con Gesù Cristo è importante perché trasforma la vita. Oggi il Vangelo di Luca ci presenta Gesù che si autoinvita a casa di Zaccheo. Egli ci cerca, come noi lo cerchiamo, e desidera fermarsi a casa nostra. A Zaccheo che cerca di vederlo salendo su un sicomoro, perché era piccolo di statura, Gesù dice: «… scendi, oggi devo fermarmi a casa tua». La narrazione dell’evangelista Luca è davvero istruttiva non solo dal punto di vista delle relazioni umane, ma anche da un punto di vista catechetico e pedagogico. Gesù ci cerca come persone, desidera incontrarci per quello che siamo, nella nostra parte più intima, bypassando, in certo senso, i nostri peccati, i nostri titoli, andando oltre. Zaccheo era un esattore delle tasse, disprezzato dalla gente, capo dei pubblicani, ricco. Gesù non si rivolge a lui per incontrare il personaggio, l’uomo di spicco, il funzionario o il peccatore, bensì Zaccheo, nient’altro che Zaccheo, come persona, con la quale instaurare un dialogo, diventare amico, entrando in casa, sedendo a tavola, condividendo il pane. La tavola, lo sappiamo, è il luogo dell’amicizia, dove si fa e si rifà la vita. Da Gesù non viene, prima di tutto, la richiesta di confessare il peccato o di espiare. Gesù dichiara il suo bisogno di stare con lui, di conoscerlo, di capire il suo mondo, ma non al modo di un missionario spiccio, impaziente, che vuole portare l’interlocutore subito dalla sua parte, forzando la sua libertà, dicendo: basta, lascia quello che stai facendo, convertiti, cambia vita, andiamo a pregare. Gesù non pone nessuna condizione all’incontro con Zaccheo se non di lasciarlo entrare in casa: «Devo venire a casa tua»! E Zaccheo ben felice lo accoglie, perché cercava di incontrarlo. L’evangelista Luca è sbrigativo, non la fa lunga nel suo racconto. Non sta a descrivere il pranzo o la cena, il dialogo avvenuto in casa. Non presenta le tappe psicologiche della conversione di Zaccheo. Quello che è chiaro è che il facoltoso capo dei pubblicani spalanca le porte di casa sua e accoglie cordialmente Gesù. Dall’incontro con il Maestro, che aveva solidarizzato con lui, senza mezze misure, sfidando le critiche dei benpensanti, deriva il cambiamento radicale dell’uomo Zaccheo. Egli, a tu per tu con il Signore misericordioso, si sente coinvolto nel mondo di Gesù e si converte. Cambia segno alla sua vita, facendo quello che non gli era stato nemmeno chiesto. Fa più di quello che la Legge imponeva: ecco qui, Signore, la metà dei miei beni per i poveri; e se ho rubato, restituisco quattro volte tanto. Qual’è la causa di un simile cambiamento? È lo sbalordimento e lo stupore per la bontà del Signore, per la sua amicizia e la sua attenzione benevola nei suoi confronti. L’incontro di Gesù con Zaccheo fa capire che il peccatore si scopre amato senza meriti. E proprio perché si sente solo amato e basta, rinasce moralmente e sceglie di vivere rettamente, rispondendo all’amore di Cristo. Lo sguardo intenso e profondo del Redentore provoca nel suo animo una risposta di dono e lo slancio nel servizio agli altri.

La comunità cristiana di Brisighella è composta da tante persone che hanno incontrato Gesù. Come Zaccheo, che ha accolto a casa sua il Redentore e si è convertito, tutti i credenti, decidendo di cambiare la loro vita e di vivere Cristo stesso, portano frutti di ogni bene. Le comunità cristiane, fondate e radicate in Cristo, accolto, incontrato e celebrato, diventano nel loro territorio un popolo di credenti completi e ben preparati per ogni opera buona. Sono una benedizione per tutti. Come i primi cristiani, sono lodati e amati. È veramente così anche per la comunità di Brisighella? È un popolo formato da persone trasformate, che trasfigurano le relazioni, le istituzioni, le famiglie, le imprese, i giovani?

Oggi siamo qui anche per ricordare, nel decimo anniversario della morte, la bella figura del Cardinale Dino Monduzzi, persona integra, preparata e nello stesso tempo discreta. In una sua lettera dell’11 febbraio 1987, rispondendo all’invito dell’Arciprete e dei Brisighellesi, che lo volevano nel paese natio per festeggiare la sua recente nomina a vescovo, scrive: «vorrei che l’onore fosse reso in primo luogo al Sacerdozio di Cristo in quanto tale e alla sua missione di salvezza». Chi nella sua vita ha davvero incontrato Gesù Cristo e conosce cosa provoca la presenza di Cristo nella propria esistenza, e cioè una salvezza che è soprattutto ricevuta dal Signore, si riconosce poca cosa, anche se scelto come successore degli apostoli. Nella sua lettera, don Dino – così è ancora oggi ricordato in Vaticano, ove è stato al servizio di ben quattro papi – mostra l’atteggiamento del vero credente, di colui che svolge con umiltà il proprio servizio per la realizzazione del Regno di Dio. Egli ha la chiara consapevolezza che ciò che conta, dopo tutto, è il nostro amore per Cristo, che deve essere amato sopra ogni cosa, per partecipare nel miglior modo possibile alla Sua missione. Sappiamo che don Monduzzi durante i primi passi del suo ministero sacerdotale fu dedito all’apostolato delle Missioni sociali dell’Azione Cattolica in Calabria e in Sardegna; poi si trovò immerso nella difficile, travagliata, ma esaltante realtà socio-politica-religiosa della Marsica in Abruzzo. Solo dopo è passato in Vaticano ove terminò la corsa della vita divenendo prima Cardinale.

Come comunità, possiamo vivere nostalgicamente di ricordi, giustamente orgogliosi di aver dato alla Chiesa numerosi sacerdoti, suore e diversi Cardinali, l’ultimo dei quali, tanto amato, e che ricordiamo da qui, perché a Roma, è S. Eminenza Achille Silvestrini. Ma il modo più consono e vero di fare memoria è quello di rivivere i tempi trascorsi per trarne ispirazione e slancio in vista di un nuovo impegno missionario. Brisighella e dintorni è stata una fucina di robuste vocazioni laicali e sacerdotali, religiose, perché costituita da famiglie solide, capaci di trasmettere la fede ai giovani; perché ricca di associazioni e movimenti cattolici e di ispirazione cristiana in grado di educare ad una fede adulta, ad una testimonianza coraggiosa e credibile nella società civile e politica. Sollecitati anche dalla bella figura del Cardinale Monduzzi, che ha maturato la sua vocazione in un contesto comunitario pullulante di fanciulli cattolici e di adulti tutti dediti ad insegnare l’ideale missionario anche in mezzo ai compagni, poniamoci la domanda: le nostre famiglie sono ancora in grado di far amare Gesù come il Bene più grande, per il quale dare se stessi ed essere missionari come Lui, a partire da quell’intimità itinerante che formiamo in Lui grazie al dono del suo Spirito? Esistono ancora organizzazioni, movimenti cattolici in grado di educare ad una fede matura che assegna il primato a Dio e non all’appartenenza partitica, pur importante? Alberga ancora nei cuori il convincimento che la nostra fede, intesa come comunione con Gesù Cristo, è il dono più grande per noi e per coloro che incontriamo o accogliamo perché profughi? Siamo timorosi o introversi, nel senso che non pensiamo più di dover essere missionari e curiamo solo il nostro orticello ecclesiale?

Nell’Eucaristia che ora proseguiamo, preghiamo i nostri defunti, ma in modo particolare il Cardinale Dino Monduzzi, perché ci ottengano da Dio una fede viva ed operosa, uno spirito autenticamente missionario, nuovi pastori per la nostra Diocesi.