Cari fratelli e sorelle, cari giovani, in questa II Domenica di Pasqua ci è offerto il dono di poter ordinare due nuovi diaconi permanenti, Bruno Balla e Claudio Violani. La gioia è grande perché la nostra Chiesa di Faenza-Modigliana, attraverso il loro impegno e le loro promesse, esprime vitalità e continuità nel servizio al Signore Gesù e ai fratelli.
Cari Bruno e Claudio, nel vostro cammino di fede avete già assunto importanti responsabilità: innanzitutto, costituendo quelle chiese domestiche che questa sera, con trepidazione, affetto e un giusto orgoglio vi accompagnano; in secondo luogo, mediante il ministero della catechesi, l’animazione delle vostre comunità parrocchiali ed anche, nel caso di Claudio, il servizio nella Comunità Papa Giovanni XXIII, che ci rammenta la missione e il fulgido esempio dell’indimenticabile don Oreste Benzi.
Il vostro servizio alla comunità ecclesiale e il vostro percorso formativo al diaconato, da tempo vi ha posti in vista e vi ha fatto conoscere quali testimoni del Risorto. E, tuttavia, credo che, non ci sbaglieremmo, se vi consideriamo i diaconi che si inseriscono nella comunità diocesana in un tempo di particolare grazia e lavoro pastorale, qual è quello che insieme abbiamo vissuto e stiamo vivendo. Ossia il tempo del Giubileo della misericordia, concluso appena qualche mese fa; della ricezione comunitaria delle esortazioni apostoliche di papa Francesco – Evangelii gaudium e Amoris laetitia -; della preparazione del Sinodo dei giovani. Viene spontaneo, allora, pensarvi e definirvi come i diaconi che fanno proprio l’amore misericordioso di Dio Padre, l’impegno del rinnovamento della Chiesa sul piano della comunione e della missione, l’accompagnamento dei giovani, a cominciare dai vostri figli, affinché diventino costruttori gioiosi delle loro comunità ecclesiali nonché della società odierna.
Voi entrate, nel tessuto comunitario della famiglia di Dio, in un momento storico del tutto particolare, quali servi sia delle necessità dei singoli fratelli sia delle loro relazioni in Cristo e tra di loro.
Guardando alla significativa figura di santo Stefano, uno dei sette scelti dagli apostoli al ministero della carità, protomartire, apprendiamo più cose. Egli non disgiunse carità e annuncio di Cristo. Carità e annuncio vanno sempre insieme. Stefano, che fa della sua vita un dono con la carità, completava l’amore per il Signore Gesù, parlando di Lui crocifisso e risorto, come centro della storia e della nostra vita. La Chiesa è stata progettata ed attuata, anzitutto, per essere esperienza umana della forza della risurrezione nella storia: con le parole, ossia annunciando, evangelizzando, santificando; e con i fatti, ossia testimoniando con le opere di servizio ai poveri, con l’eroismo di fedeltà, col martirio che dà fecondità alla Chiesa stessa.
Cari Claudio e Bruno, date testimonianza al Risorto, mostrandovi sempre coraggiosi, colmi di speranza, perché è grazie a Lui che possiamo essere ottimisti nonostante tutto il male e le nostre debolezze. La risurrezione di Cristo trasforma le nostre «passioni» e le nostre croci e le stesse persecuzioni, che sono inevitabili, in opportunità di crescita come umanità nuova, come missionari temprati. Non dimentichiamo la celebre frase di Tertulliano: «Noi ci moltiplichiamo ogni volta che da voi siamo mietuti: è un seme il sangue dei cristiani» (Apologetico 50,13). Si tratta di parole forti, che fanno riferimento a situazioni cruente. Ma non possiamo ignorare che vi sono persecuzioni più dannose di quelle che tolgono la vita fisica. Vi sono in atto persecuzioni più pericolose, perché tolgono la libertà e uccidono l’anima. Non venga mai meno in voi, allora, l’entusiasmo di essere di Cristo, di lavorare per Lui. Non rassegniamoci al tramonto delle nostre comunità cristiane. Non si tratta di agitarsi, ma di stare con Lui, amarlo sopra ogni cosa, di saperlo comunicare specialmente con l’esempio di un’esistenza da risorti.
Secondo quanto suggerisce il brano degli Atti degli apostoli, proclamato poco fa, i cristiani debbono considerare i loro beni come prestati. Essi devono servire anche a tutti coloro che ne hanno necessità. Il «mio» e il «tuo» devono confluire nel bene di tutti, affinché ognuno possa disporre secondo il suo bisogno. Ciò che, però, spetta a ciascuno non sono solo i beni materiali e spirituali. Alle persone spetta, soprattutto, Gesù Cristo. Annunciatelo, dunque, senza stancarvi. Servitelo nei fratelli con quell’amore che è contemplativo e non è ripiegato su se stesso. Riconoscetelo in essi. L’esperienza che Tommaso volle avere del Risorto potete averla anche voi. Tutte le volte che servirete gli ammalati, vi prenderete cura dell’anziano e del povero, del profugo, toccherete la Sua carne, servirete Lui:«Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Anche voi, come Tommaso, riconoscendo il Signore Gesù nei più piccoli, abbracciandoli teneramente, donando amore sino a consumarvi per loro, potrete esclamare: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20, 19-31).
Cari futuri diaconi e fedeli tutti vedremo sempre più Gesù se lo cercheremo. Lo cercheremo di più se lo ameremo. Il Signore ci prende in mezzo al popolo e ci invia al popolo, in modo che la nostra identità non si comprende senza questa appartenenza. «La missione è una passione per Gesù, ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo» (Evangelii gaudium, n. 268). Il cristiano e il diacono non è solo per se stesso, per l’affermazione del proprio punto di vista. Essi sono servi, servi del Signore e della sua Chiesa. L’Eucaristia che celebreremo ci aiuti, vi aiuti.