OMELIA per la festa di SANTA CHIARA

Faenza - Monastero S.Chiara, 11 agosto 2014
11-08-2014

Nel cercare qualche indicazione per la riflessione all’omelia di questa Messa mi sono imbattuto in un curioso profilo di S. Chiara a cura delle Clarisse Urbaniste d’Italia, dal quale mi piace prendere qualche spunto. L’intento di chi ha esteso il testo è quello di tracciare la Carta d’identità di S. Chiara. Per capire il tono del documento basti considerare come è stato indicato lo stato civile: innamorata e la professione: Sorella povera.

 Continuando in questo tono più avanti trovo dei suggerimenti più profondi, fra i quali scelgo tre aggettivi.

 Intrepida. Fin dall’inizio Chiara si rivela una donna forte e determinata, capace di contrastare l’intera famiglia pur di attuare il suo sogno di vita evangelica. Sapendo di dover fronteggiare la resistenza dell’intero casato, fugge nella notte lasciandosi alle spalle ogni sicurezza.
Più tardi lotterà con tenacia anche con il Papa per difendere la povertà ed il suo legame con i frati minori, senza mai venir meno al rispetto e all’amore verso la Chiesa, di cui si sente figlia.
Una volta papa Gregorio IX aveva proibito ai frati di recarsi nei monasteri a predicare senza il suo permesso. Subito Chiara mandò via anche i frati che portavano le elemosine, affermando che non voleva ricevere il pane materiale se non poteva avere quello spirituale.
Attraverso ciò che noi chiameremmo “sciopero della fame”, ottenne così la revoca del divieto.
Chiara fu la prima donna a scrivere una Regola per donne: fino ad allora, infatti, le fonti legislative per i monasteri femminili erano state redatte da uomini. Con la sua tenace determinazione, Chiara riuscì ad ottenerne l’approvazione da papa Innocenzo IV.

Possiamo trovare la fonte di questo coraggio nella sua unione con Dio: “Io sono la vite, voi i tralci, chi rimane in me e io in lui porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla… Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. La forza viene dalla comunione con Dio sia per fare la sua volontà, sia per chiedere nella preghiera il suo aiuto ovviamente non per appoggiare i nostri capricci, ma per la diffusione del Regno di Dio. Potremmo anzi dire che le donne nella Chiesa mettono in risalto due principi: Dio preferisce i piccoli e i deboli, e noi abbiamo bisogno di rimanere nell’amore di Cristo.

 Dirà San Paolo: Il Signore mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. E concluderà: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,9s). La rinuncia all’uso della violenza non coincide con l’abbandono del coraggio e della forza, come anche la vita di S. Chiara ha mostrato, ma significa ricorrere alla forza della mitezza, della pazienza e della benevolenza, frutti dello Spirito Santo. E tutto questo unito all’amore, che, dirà Papa Giovanni Paolo II, è proprio del genio femminile, in quanto “la donna non può ritrovare se stessa se non donando l’amore agli altri” (Mulieris dignitatem, n.30).

 Nel riflettere ancora su questo il Papa fa il confronto tra la verginità della donna non sposata e la maternità della donna sposata, e scrive: “Il punto di partenza di questa analogia è il significato delle nozze. La donna infatti è sposata sia mediante il sacramento del matrimonio, sia spiritualmente mediante le nozze con Cristo. Nell’uno e nell’altro caso le nozze indicano il dono sincero della persona della sposa verso lo sposo”. E per finire la riflessione si deve dire che se frutto dell’amore coniugale è il dono della vita, frutto dell’amore verginale è l’amore di Cristo e dei fratelli, a cominciare dai più deboli.

 Il profeta Osea nel ricordare quello che Dio ha fatto con il suo popolo, ricorda anche la necessità di entrare nel deserto in solitudine con Lui perché Egli possa parlare al nostro cuore e ravvivare l’amore come fanno gli innamorati.

Gioiosa. Dalla preghiera Chiara attingeva una gioia profonda che si irradiava attorno a lei. Anche se fu segnata da fatiche e prove (fu inferma per 29 anni), le sue lettere ci testimoniano una inesauribile e profonda letizia: “Sono ripiena di gioia e respiro di esultanza nel Signore…”.

 A volte sembra incredibile come i Santi riescano a parlare di gioia, in mezzo a tutte le difficoltà della vita. Ci può aiutare a comprendere come questo sia possibile, l’osservazione che abbiamo sentito in S. Paolo: “Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne” (2 Cor 4,17s).

La gioia non va ricercata nelle vicende materiali, anche quelle belle, che nella migliore delle ipotesi passano; la gioia si può trovare nelle realtà invisibili che ci sono fin da adesso (amore, pace, bontà, giustizia, …) e soprattutto nelle realtà che ci proiettano nella vita divina (fede, speranza, carità, misericordia, comunione con Dio,…). A volte noi ci preoccupiamo del futuro: delle nostre comunità religiose e parrocchiali, delle nostre opere… I cristiani non sono la gente del futuro, ma dell’eternità; è questa che ci può dare consolazione. Pensiamo alla grandezza della testimonianza del mondo invisibile che viene dalla vita consacrata, uno dei contributi più necessari al nostro tempo. Basti pensare all’imbarazzo di parlare della morte senza nominarla, nel tentativo di esorcizzarla non pensandoci. E invece si muore.

 Accogliente. Il Testamento che Chiara ha lasciato alle sue Sorelle “presenti e future” contiene un’esortazione che ci lascia intuire come fosse impostata la vita fraterna a San Damiano:
“Amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, dimostrate al di fuori con le opere, l’amore che avete nell’intimo, in modo che, provocate da questo esempio, le Sorelle crescano nell’amore di Dio e nella mutua carità
”.

 Un’altra delle sfide del nostro tempo è la fraternità, una relazione cioè che rende possibile la vita nella comunità familiare, religiosa e cristiana in genere. S. Chiara invita le sue sorelle ad amarsi con l’amore di Cristo e a mostrarlo con le opere. Non invita cioè ad avere dei sentimenti affettuosi, ma a mostrare con le opere la reciproca accoglienza, l’aiuto vicendevole e la custodia della serenità nella comunità perché sia bello vivere insieme. Come sono contagiose in senso negativo le gelosie, le invidie e le maldicenze, così si può essere provocati dall’esempio per crescere nell’amore di Dio e nella mutua carità.

 Giustamente oggi siamo venuti per celebrare la festa di S. Chiara con le nostre sorelle che la venerano come patrona anche del loro Monastero, e chiediamo di far tesoro anche noi dell’esempio di S. Chiara, per imitare la sua testimonianza di coraggio, di gioia e di fraternità.