OMELIA per la CHIUSURA dell’ANNO DELLA FEDE

24-11-2013


‘La porta della fede che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi’. Con queste parole il papa Benedetto XVI iniziava la lettera apostolica con la quale apriva l’anno della fede, che questa sera anche noi chiudiamo, in sintonia con quanto il Papa Francesco ha fatto oggi a Roma.


La nostra celebrazione si svolge alla presenza del Crocifisso venerato in questa Cattedrale, nel giorno della sua festa tradizionale. È una coincidenza questa che rende più significativa questa Eucaristia.


L’immagine della fede come ‘porta’ è presa dagli Atti degli apostoli, quando al termine del primo viaggio apostolico, Paolo e gli altri tornarono ad Antiochia, da dove erano partiti, e, racconta il testo, ‘riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede’ (Atti 14,27).


La fede dunque è una porta mediante la quale possiamo entrare nella Chiesa, essere in comunione con Dio e vivere da fratelli nella Chiesa e nel mondo. La fede quindi è un modo di essere che ci identifica come figli di Dio, mediante le vie della verità e dell’amore.


Conosciamo le circostanze che hanno suggerito la proposta di questo anno: i 50 anni dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II; i 20 anni della pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica, sintesi dottrinale della nostra fede; la celebrazione del Sinodo sulla nuova evangelizzazione.


E che cosa si aspettava il Papa da questo anno? Ecco come risponde: ‘Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno’ (n. 9).


Intanto ci viene detto che il nostro impegno non si deve concludere questa sera, ma deve continuare sia riguardo alla conoscenza del contenuto della fede, sia riguardo alla nostra adesione a Cristo. ‘Esiste infatti un’unità profonda, dice il Papa, tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso’ (n.10).


Durante questa Eucaristia faremo la nostra professione di fede come ogni domenica, ma rispondendo ogni volta ad una domanda del vescovo che sollecita la nostra fede. Facendo questo davanti all’immagine del Crocifisso, vogliamo ricordare che la nostra fede si riassume in due misteri principali: Unità e Trinità di Dio, Incarnazione, passione, morte e risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo; l’uno e l’altro indicati nel segno della croce.


Il mistero della Ss.ma Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, ci rivela che Dio in se stesso è amore; lui stesso non vive in una assoluta solitudine, ma vive in relazione di amore tra il Padre e il Figlio, relazione che sussiste nello Spirito Santo. Qualcuno ha osservato che in Dio le Persone divine non si sommano, facendo uno, più uno, più uno uguale a tre; ma sono l’una per l’altra: uno, per uno, per uno uguale a uno. Ma al di là del tentativo di comprendere questo mistero, per noi è già tanto conoscerlo, perché in questo modo ci viene rivelata anche la qualità del nostro essere. Infatti Dio che comunica alle creature l’esistenza, le costituisce radicalmente nell’amore.


Ho già ricordato in altra occasione una osservazione di Papa Benedetto XVI: ‘ (Che Dio è amore) lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari. In tutto ciò che esiste è in un certo senso impresso il ‘nome’ della Santissima Trinità, perché tutto l’essere, fino alle ultime particelle, è essere in relazione, e così traspare il Dio-relazione, traspare ultimamente l’Amore creatore. Tutto proviene dall’amore, tende all’amore, e si muove spinto dall’amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà’ (7/06/2009).


San Paolo ci ha anche detto che ‘tutte le cose sono state create per mezzo di Lui (Cristo) e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in Lui sussistono’.


Sia ben chiaro che con questo non abbiamo spiegato il mistero della Trinità, ma ci rendiamo conto che davvero ‘in Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo’ (Atti 17,28).


Come frutto pieno di questo mistero d’amore, entra nella nostra storia l’incarnazione del Figlio di Dio: Dio ci vuole tanto bene che si fa come noi, uno di noi, perché impariamo a vivere come Lui.


Ha scritto S. Giovanni: ‘ In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati’ (1Gv 4,9s) . Entrambi i misteri principali della nostra fede sono dunque misteri di amore. Sulla croce Cristo fu tenuto inchiodato dal suo amore per il Padre e per noi. A quanti gli gridavano: ‘Ha salvato altri! Salvi se stesso, se lui è il Cristo di Dio, l’eletto’, ha risposto perdendo se stesso per salvare tutti.


Come piccolo/grande frutto di questo anno della fede potremmo impegnarsi a fare sempre con raccoglimento il Segno della Croce. Mentre con la mano destra tracciamo su di noi il segno della nostra salvezza, pronunciamo il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: una sintesi dottrinale, affettuosa, piena di speranza.


Una volta che la nostra vita è radicata in Cristo mediante la fede, vi è una conseguenza preziosa, che arricchisce la nostra testimonianza nel mondo. Dio infatti non ha voluto raggiungere solo alcuni pochi fortunati, ma attraverso di essi e con la loro collaborazione vuole far conoscere a tutti i suoi figli il suo amore di Padre.


Nell’enciclica Lumen fidei Papa Francesco afferma: ‘La fede non solo guarda Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere’ (n.18). Questo significa cambiare poco alla volta noi stessi e la nostra vita, per conformarci sempre di più a Lui. Questo cambiamento è frutto di vari elementi, dalla Parola di Dio ai Sacramenti e alla comunione ecclesiale, per arrivare a guardare con gli occhi di Gesù e con il suo amore gli altri, la storia e il mondo.


La conseguenza sociale della fede sta proprio nella mediazione che i cristiani possono fare con la loro vita, mostrando l’unità tra di loro, frutto della comunione con Dio; è possibile in questo mondo volersi bene, perché per questo c’è anche l’aiuto di Dio. Gesù ha detto: ‘Come tu Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato’ (Gv 17,21).


‘Sì, la fede è un bene per tutti, è un bene comune, la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, né serve unicamente a costruire una città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro di speranza’ (Lumen fidei, n.51).


Con questa domenica della solennità di Cristo Re dell’Universo, mentre concludiamo l’anno liturgico e l’Anno della fede, continuiamo ad attendere il Regno di Dio che viene.