Presentazione del ‘Lettere dal Concilio’ di S.S. mons. Baldassarri

16-03-2018

Sono lieto che nella nostra Diocesi si sia ricordato sua Ecc. Monsignor Salvatore Baldassarri, faentino di nascita (4 gennaio 1907). Insegnò patrologia e teologia dogmatica nel Seminario di Faenza e Storia della Chiesa nel Seminario Regionale di Bologna. Fu arcivescovo di Ravenna-Cervia, ove ebbe un episcopato contrastato. È noto che per volontà di papa Paolo VI lasciò il governo della Diocesi e si ritirò, con grande sofferenza, nella sua casa di Faenza.

Questa sera lo abbiamo ricordato attraverso la presentazione della raccolta delle sue Lettere dal Concilio, a cura di Aldo Preda (Cittadella Editrice, Assisi 2017).

Ringrazio il prof. Monsignor Maurizio Tagliaferri, giunto sin qui appositamente da Roma, il curatore del volume, l’on. Aldo Preda, e Giulio Donati, Direttore responsabile de “Il Piccolo”, protagonisti di questa serata in onore dell’illustre presule. Con la loro perizia, ci hanno aiutato a conoscere meglio e ad apprezzare la figura di un pastore che ha avuto la fortuna di partecipare al Concilio Vaticano II, in un crescendo di coinvolgimento e di ardore pastorale. Le sue brevi e chiare Lettere dal Concilio, inviate ai Ravennati e Cervesi, ossia al popolo della sua Diocesi, rappresentano sicuramente un prezioso documento, utile ad accostarsi al grande evento del Concilio.

La presentazione del volume è stata, allora, l’occasione per riaccostarci a quell’eccezionale evento ecclesiale che ancora oggi continua ad alimentare l’impegno missionario e di testimonianza della Chiesa universale e di ciascuno di noi. Si è soliti dire che non sempre il Concilio Vaticano II, nei suoi contenuti dottrinali e pastorali, è adeguatamente conosciuto o approfondito, oltre che dai sacerdoti, dalle nuove generazioni dei christifideles laici. Bisogna riconoscere che sia papa Francesco – basti pensare alla stessa esortazione apostolica Evangelii Gaudium -, sia papa Benedetto si sono prodigati nell’aiutarci nel penetrarne il significato e la valenza ecclesiale. Fondamentale è il criterio ermeneutico della riforma, più volte illustrato da papa Ratzinger (cf ad es. Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005), come criterio del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa. La corretta interpretazione e ricezione del Concilio richiedono attenzione ed applicazione. Ci sono infatti, afferma papa Benedetto, due ermeneutiche contrarie. Da una parte esiste un’interpretazione che si può chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”. Essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”. La Chiesa è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L’ermeneutica della discontinuità rischia di portare rotture nel popolo di Dio e finisce per intendere il Concilio come un parlamento, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore. Ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso.

Perché questo accenno alla questione del metodo di interpretazione del Concilio Vaticano II, nel contesto della presentazione delle Lettere dal Concilio di S. Ecc. Mons. Salvatore Baldassari? Perché è essenziale che sappiamo approcciare il grande tesoro del Concilio, ma anche perché ancora oggi si vorrebbe applicare, da parte specialmente dei mass media, l’ermeneutica della discontinuità su tematiche e su valori che per la Chiesa sono sacri. Ecco quanto afferma papa Francesco nell’Evangelii Gaudium: «Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, “ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo”. Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana» (Evangelii gaudium nn. 213-214).

Volendo esprimere uno sguardo sintetico, è lecito affermare che il Concilio Vaticano II non solo fu la prima ed organica risposta della Chiesa alle sfide della modernità, ma che addirittura, nella potenza dello Spirito, la comunità ecclesiale riuscì a formulare una proposta talmente coraggiosa da prendere in contropiede sia i clericali sia i laicisti, risolvendo il contenzioso accumulatosi nell’epoca moderna (e i suoi penosi divorzi tra Dio e uomo, fede e ragione, Vangelo e cultura, etica e tecnica), grazie ad una sorta di rivoluzione copernicana operata nella concezione della Chiesa, del mondo, e dei rapporti tra queste due realtà. I rapporti Chiesa-mondo non furono visti solo in termini di ostilità. La Gaudium et Spes, in particolare, depone l’atteggiamento di sola condanna e assume una linea di discernimento, vedendo anche il positivo, i semina Verbi, impegnandosi a svilupparli, contrastando le tossine dell’anticristo, collaborando con gli uomini di buona volontà alla costruzione di un mondo migliore. La storia della salvezza non è accanto o contrapposta alla storia degli uomini, ma la pervade tutta. Quest’ultima è luogo teologico. Il Regno di Dio, già seminato nella storia umana, va aiutato ad espandersi, pur tra i mille condizionamenti degli egoismi e delle strutture di peccato.

Pensando alla figura di sua Ecc. Mons. Salvatore Baldassarri è senza dubbio importante ricostruirla in tutto il suo spessore, come è stato ben fatto, ma credo sia anche decisivo considerarne l’attualità. Sono senz’altro cruciali per noi, che siamo posti in uno scenario socio-culturale multireligioso e multiculturale, accentuato dal fenomeno delle migrazioni, le sue riflessioni sul tema del dialogo (cf Lettere dal Concilio, pp. 65-66) e della libertà religiosa (cf Lettere dal Concilio, p. 71). Per quanto concerne il dialogo ecumenico, quale via alla civiltà dell’incontro, tornano utili anche le recenti indicazioni offerte da papa Francesco nel suo Discorso di Presentazione degli auguri della Curia romana (Sala Clementina, 21 dicembre 2017): «Il dialogo – afferma il pontefice – è costruito su tre orientamenti fondamentali: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Il dovere dell’identità, perché non si può imbastire un dialogo vero sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’altro; il coraggio dell’alterità, perché chi è differente da me, culturalmente o religiosamente, non va visto e trattato come un nemico, ma accolto come un compagno di strada, nella genuina convinzione che il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti; la sincerità delle intenzioni, perché il dialogo, in quanto espressione autentica dell’umano, non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione».

Con riferimento al riconoscimento del diritto alla libertà religiosa di ogni persona, credente o non credente, è giusto ribadire ancora oggi che ciò non significa accettare una specie di relativismo religioso o morale, quanto piuttosto che nessuno può essere costretto da uno Stato ad accettare questa o quella religione, fosse anche la migliore.

S. Ecc. Mons. Salvatore Baldassarri lo dobbiamo ricordare ed imitare per la sua tenacia e il coraggio, per la sua ampia cultura e per la sua obbedienza alla Chiesa.