Omelia per la Solennità di Tutti i Santi

31-10-2017

Fratelli e sorelle, in questa santa Messa, che ci ricorda il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra, siamo invitati a guardare alla grande famiglia dei figli di Dio, a festeggiarla. I santi sono una folla senza numero. In tale moltitudine non vi sono solo i santi ufficialmente riconosciuti, ma anche i battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di vivere secondo la chiamata del Signore. Il popolo che festeggiamo comprende i santi dell’Antico Testamento, a partire dal giusto Abele e dal fedele patriarca Abramo, quelli del Nuovo Testamento, i numerosi martiri dell’inizio del cristianesimo e i beati e i santi dei secoli successivi, come i martiri odierni che sono molti di più di quelli dei primi tempi. Nella Scrittura tutti i battezzati sono chiamati santi perché viventi in Gesù Cristo, il Santo.

Possiamo immaginare la famiglia dei figli di Dio come un popolo immenso che cammina nella storia, pellegrino verso la patria celeste. Una parte di esso è qui sulla terra e siamo noi. Un’altra, che rappresenta coloro che sono già morti, ma non vivono ancora la piena comunione con Dio, sosta davanti al grande tempio di luce che ospita coloro che, invece, sono giunti al termine del percorso e sono nella gioia più piena. Quest’ultimi non hanno bisogno di purificazione come coloro che sono nel pronao del tempio e attendono di entrarvi.

La festa di tutti i santi, si diceva, è festa di popolo. È festa della comunione dei santi. Perché sono in comunione? Essi sono uniti tra loro grazie a Cristo nel quale esistono e dimorano. Oggi è festa non solo di quegli amici di Gesù che sono stati proclamati santi mediante la canonizzazione, e sono i pilastri della terra e della civiltà, ma anche di coloro che l’hanno amato, mossi dallo Spirito santo, e non sono stati posti sugli altari per essere venerati. Basti pensare ai nostri nonni, alle nostre mamme e papà defunti che hanno lavorato con amore per farci crescere nella vita e nella fede.

Ma cos’è la santità? Quando usiamo questa espressione, peraltro divenuta poco corrente, in un contesto culturale che ci frastorna, abbiamo le idee vaghe, se non confuse. La santità non si compera nei supermercati, non è un pacco dono, nemmeno una crema di bellezza, che migliora momentaneamente il nostro aspetto esteriore, ma non ci ringiovanisce dentro. La santità è, per non usare troppe parole, condivisione della vita di Cristo, facendola nostra.

Come diventare e vivere da santi? La risposta ce la fornisce il brano di Vangelo che abbiamo appena sentito proclamare (cf Mt 5, 3-10). Diventiamo e cresciamo santi vivendo le beatitudini. Dice Gesù: beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, beati i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia. In verità, il Beato per eccellenza è solo Lui, Gesù. È Lui, infatti, il vero povero in spirito, l’afflitto, il mite, l’affamato e l’assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l’operatore di pace; è Lui il perseguitato a causa della giustizia.

Le Beatitudini ci mostrano la via della santità percorsa da Gesù. La santità è un cammino di vita che dura nel tempo e si compie divinizzandoci. È, in definitiva, vivere Cristo: povero in spirito, mite, afflitto, affamato e assetato di giustizia, misericordioso, puro di cuore, operatore di pace, perseguitato a causa della giustizia.

La vita del credente è essere con Cristo, in Lui. In tal modo, noi siamo suoi annunciatori, suoi missionari. Siamo suoi discepoli-missionari. La nostra santità non va pensata come un essere statici, ossia persone immobili, come lo sono le statue che raffigurano i santi nelle nostre chiese. La santità del cristiano è per essenza missionaria, dinamica. È movimento, movimento di popolo in comunione con l’Inviato, Cristo, con la sua carità. È essere tutti in stato di annuncio e testimonianza nel mondo. È camminare insieme con amore, tra le persone, per portare Cristo, affinché ognuna di esse possa incontrarlo ed amarlo e così essere redenta.

L’Evangelii gaudium, su cui abbiamo riflettuto in quest’anno, e lo stesso Sinodo dei giovani, al quale ci stiamo preparando, ci sollecitano a vivere una santità missionaria, camminando insieme, in maniera per l’appunto sinodale, come sentiamo dire più volte in questi tempi da papa Francesco, non andando ognuno in ordine sparso. Ciò, come vuole indicare anche la recente riforma della Curia della nostra Diocesi – si tratta di una piccola riforma che trovate pubblicata sul Piccolo -, richiede che si cresca secondo un più alto livello di spiritualità. Occorre impegnarsi di più nella conversione, nella formazione interiore, nell’accompagnamento spirituale. È imprescindibile la santificazione di tutti i collaboratori nella pastorale. Solo discepoli missionari potranno trasformare la Chiesa in senso missionario e vivere con coraggio l’annuncio di Cristo in ogni ambiente di vita. Non bastano diagnosi accurate dei problemi, non sono sufficienti riforme delle curia o nuovi piani o progetti pastorali se vescovo, presbiteri, diaconi, catechisti, animatori non sono missionari dentro, nel loro animo. Occorre essere incendiati dall’amore di Cristo, occorre consegnare il nostro io a Lui, affinché lo trasformi e lo colmi della sua carità. I processi di cambiamento si avviano mediante persone convertite, capaci di rimanere radicate in Gesù Cristo, capaci di edificare l’edificio della loro esistenza poggiando su di Lui. In questo momento cruciale per la Chiesa e la storia del nostro Paese, come dell’Europa, viviamo, dunque, la santità con le connotazioni della missionarietà e della gioia. Se non lo faremo saremo ignorati, non saremo attrattivi, audaci e creativi.

In questa celebrazione eucaristica chiediamo a Gesù Cristo, il missionario per eccellenza, di riempire il nostro cuore di gioiosa missionarietà. Non viviamo una fede stanca, sbiadita, demotivata, bensì viva, tonica, luminosa. Come ogni anno celebriamo, per iniziativa del gruppo comunale A.I.D.O. (Associazione Italiana per la donazione di Organi, Tessuti e Cellule), il sacrificio di Gesù in suffragio dei donatori defunti. Che cosa di meglio se non il celebrare l’Eucaristia per coloro che, con gesto di altissimo valore umano e civile, hanno permesso il trapianto di organi a favore di persone che ne erano in attesa? Il Signore li accolga nel suo abbraccio di vita. Accolga anche i nostri cari defunti. Come già detto, la Solennità di tutti i santi ci ricorda la comunione che li unisce mediante Gesù Cristo, Uomo-Dio, costituito ponte tra noi, che siamo ancora sulla sponda della mortalità, e coloro che sono già nati al cielo e hanno raggiunto la Gerusalemme celeste. Affidiamo la solidarietà della nostra preghiera a Cristo, facciamola giungere ai nostri cari mediante Lui.