Omelia per i 120 di presenza salesiana a Pavia

22-10-2017

Cari fratelli e sorelle, caro sig. Direttore Don Marco Mazzanti, la celebrazione dei 120 anni di presenza salesiana a Pavia è l’occasione per rivivere ed attualizzare il carisma di don Bosco, il santo dei giovani, santo sociale. I salesiani sono arrivati a Pavia nel lontano 21 ottobre 1897. Con don Luigi Porta, primo direttore, si misero a ridare bellezza al santuario dedicato alla Beata Vergine delle Grazie, iniziato per volontà popolare ancora nel 1609. È importante sottolineare nella Giornata missionaria mondiale, che celebriamo proprio in questa domenica, che i figli di don Bosco furono concretamente Chiesa in uscita, Chiesa missionaria, e che come punto centrale di irradiazione della loro opera educativa avevano accettato, non a caso, come fulcro un santuario dedicato alla Madonna, madre di ogni evangelizzazione. Sappiamo che l’evangelizzazione è rivolta a tutti e concerne tutti gli ambiti dell’esistenza umana. Non si realizza solo nelle missioni in Paesi lontani, bensì nella famiglia, nella scuola, nella economia, nella politica, nella cultura e nei mass media. Don Bosco, in particolare fu un gigante dell’evangelizzazione dei giovani. Così fecero i suoi figli qui a Pavia.

Il santuario dedicato alla Beata Vergine delle Grazie fu eretto a parrocchia il 31 gennaio 1942. Gradualmente l’opera salesiana si dotò di un Oratorio e di un Centro Giovanile che accoglieva tutti, specie i ragazzi più poveri. Nell’anno 1965-66 la stessa opera raggiunse una configurazione educativa più completa con la costruzione del Collegio Universitario “Don Bosco”, che doveva configurarsi come «casa di studio e di vita». Parrocchia-santuario, Oratorio, Centro giovanile, Collegio “Don Bosco”: tutte istituzioni, ossia luoghi ed ambienti di vita a disposizione del territorio e ove poter crescere in pienezza secondo il metodo pedagogico e preventivo di don Bosco. Il santo piemontese ha insegnato ai suoi figli ad aver fiducia nei giovani, a farli vivere in istituzioni che li preparassero per la vita, dal punto di vista umano, professionale e religioso. Egli capì che era meglio far crescere i giovani in ambienti formativi e responsabilizzanti piuttosto che reagire ai mali conseguenti all’incuria nei confronti delle nuove generazioni.

Il noto semiologo Umberto Eco, autore del celebre volume Il nome della Rosa, scomparso qualche anno fa, ha percepito l’Oratorio organizzato da don Bosco come una macchina perfetta di comunicazione che gestisce in proprio, riutilizza e discute i messaggi provenienti dall’esterno. In tal modo, il progetto educativo dell’Oratorio nasceva stando nel mondo, divenendo però alternativo, non conformista, apportatore di innovazioni, considerate all’avanguardia per la sua epoca. Ecco, dunque, come dovremmo comportarci anche noi in relazione ai mass media, agli strumenti virtuali, che ci avvolgono con i loro messaggi e ci condizionano anche senza che ce ne accorgiamo, invitandoci ad essere meri spettatori passivi, persone estraniate in un mondo artificiale: fare delle nostre famiglie, delle nostre scuole, delle nostre associazioni, dei nostri Oratori e Centri giovanili dei laboratori di una nuova cultura, di un nuovo umanesimo. Si tratta di un impegno educativo non marginale, per far sì che i giovani non solo siano immunizzati rispetto ai messaggi negativi del mondo virtuale, ma siano messi in grado di influire su tale mondo che appare organizzato con un linguaggio e con logiche che sembrano studiati scientificamente per distruggere i legami forti e la famiglia, facendo prevalere la frammentazione sociale e l’utilitarismo.

Proprio in un mondo in cui la cultura odierna è dominata da categorie individualistiche, consumistiche e tecnocratiche occorre rendere i giovani protagonisti di una rinascita culturale a partire da una fede profondamente radicata nella vita di Gesù Cristo. Don Bosco creò, mediante Oratori, scuole, tipografie nientemeno che un imponente movimento di educazione e di emancipazione, ridonando alla Chiesa quel contatto con le masse che era venuta perdendo. Di esso parla il gentiliano, laicista, pedagogista catanese, Giuseppe Lombardo Radice. Il santo piemontese intese formare «buoni cristiani» ed «onesti cittadini». Don Bosco aiutò i giovani del suo tempo a crescere come imprenditori e come persone solidali. La nostra società ogni giorno o due annuncia che si ripromette di aggredire la disoccupazione giovanile. In realtà, offre timide soluzioni di alternanza scuola-lavoro, prospettive che con il prossimo varo del reddito di cittadinanza si annunciano di tipo assistenziale, e inoltre scarsissime possibilità di credito e di politiche attive del lavoro. Don Bosco appare chiaramente un anticipatore della prospettiva del «lavoro per tutti» anziché del «reddito per tutti».

Ma don Bosco è stato grande soprattutto perché ha regalato ai suoi giovani Gesù Cristo. Riempiva il loro cuore di Gesù, di quel Gesù che libera dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Ne fa fede una commovente pagina che il Santo don Orione scrive ai suoi chierici nel 1934, l’anno della canonizzazione di don Bosco: «Ora vi dirò la ragione, il motivo, la causa per cui don Bosco si è fatto santo. Don Bosco si è fatto santo perché nutrì la sua vita di Dio. Alla sua scuola imparai che quel santo non ci riempiva la testa di sciocchezze, o di altro, ma ci nutriva di Dio, e nutriva se stesso di Dio, dello Spirito di Dio. Come la madre nutre se stessa per poi nutrire il proprio figliolo, così don Bosco nutrì se stesso di Dio per nutrire di Dio anche noi» (Strenna 2014, pp. 12-13).

Partecipando all’Eucaristia di questa domenica ove il Vangelo ci ricorda di dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare non dimentichiamo che la vita dei giovani è di Dio. L’uomo, la donna, i giovani sono anzitutto di Dio. In forza dell’affermazione di Gesù Cristo «Restituite a Dio quello che è di Dio» – senza considerare l’altra affermazione «Rendete a Cesare quello che è di Cesare» che ci ricorda di pagare le giuste tasse e di dare il proprio contributo alla realizzazione del bene comune – la vita dei giovani non va emarginata, colonizzata, ma va restituita a Dio. Non può essere considerata cosa, scarto. Non può essere resa schiava né dell’economia, né del successo, né del potere, né della tecnica. Essa va coltivata in Dio. Maria, madre della nuova umanità, ci aiuti nell’accompagnare le nuove generazioni affinché divengano costruttori dell’edificio spirituale che è la Chiesa e cittadini del mondo.