[feb 03] Omelia – Giornata nazionale per la vita, San Biagio

03-02-2024

Faenza, Chiesa del suffragio 3 febbraio 2024.

Oggi celebriamo la Messa prefestiva della 5.a domenica del tempo ordinario, in cui ricordiamo la 46.a Giornata Nazionale per la Vita. Il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha preparato per la 46ª Giornata un Messaggio dal titolo «La forza della vita ci sorprende. “Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?” (Mc 8,36)».

Quale contesto liturgico migliore per ricordare san Biagio che la tradizione ci ricorda come medico dei corpi e delle anime?

Il Messaggio del Consiglio Permanente della CEI nella domenica in cui il Vangelo ci presenta Gesù che guarisce molti affetti da varie malattie, a cominciare dalla suocera di Simone (cf Mc 1, 29-39) e dagli altri ammalati ed indemoniati che gli venivano portati davanti, ci vuole far riflettere sulle molte, troppe vite negate.

Sono numerose le circostanze, si legge nel Messaggio, in cui si è incapaci di riconoscere il valore della vita tanto che, per tutta una serie di ragioni, si decide di mettere fine ad essa o la si pone a repentaglio.
Secondo una cultura dominante, sottolinea il Messaggio, «la vita del nemico – soldato, civile, donna, bambino, anziano… – è un ostacolo ai propri obiettivi e può, anzi deve, essere stroncata con la forza delle armi o comunque annichilita con la violenza. La vita del migrante vale poco, per cui si tollera che si perda nei mari o nei deserti o che venga violentata e sfruttata in ogni possibile forma. La vita dei lavoratori è spesso considerata una merce, da “comprare” con paghe insufficienti, contratti precari o in nero, e mettere a rischio in situazioni di patente insicurezza. La vita delle donne viene ancora considerata proprietà dei maschi – persino dei padri, dei fidanzati e dei mariti – per cui può essere umiliata con la violenza o soffocata nel delitto. La vita dei malati e disabili gravi viene giudicata indegna di essere vissuta, lesinando i supporti medici e arrivando a presentare come gesto umanitario il suicidio assistito o la morte procurata. La vita dei bambini, nati e non nati, viene sempre più concepita come funzionale ai desideri degli adulti e sottoposta a pratiche come la tratta, la pedopornografia, l’utero in affitto o l’espianto di organi. In tale contesto l’aborto, indebitamente presentato come diritto, viene sempre più banalizzato, anche mediante il ricorso a farmaci abortivi o “del giorno dopo” facilmente reperibili. Tante sono dunque le “vite negate”, cui la nostra società preclude di fatto la possibilità di esistere o la pari dignità con quelle delle altre persone».

Ricordare in questo contesto la vita di san Biagio, vescovo originario dell’Armenia, il quale si dedicò alla cura delle persone ammalate, trasmettendo anche il messaggio della dottrina cristiana, è l’occasione per riflettere su Gesù Cristo medico delle anime e dei corpi. Biagio da vescovo di Sebaste imitò Gesù Cristo che guariva dalle malattie corporali e spirituali.

Dopo essere stato ordinato ministro del culto, si era convinto ad entrare in un monastero, ma l’improvvisa morte del vescovo di Sebaste, fu l’occasione per essere chiamato a sostituirlo. Quando cominciò la persecuzione di Licinio, prima larvata, poi sempre più violenta, egli fuggì dalla città, rifugiandosi in una grotta sui monti. Pare che Biagio, recluso volontario in una caverna, continuasse a svolgere la sua opera di Vescovo. Non dimenticò, cioè, neanche sui monti, il gregge dei cristiani di Sebaste, lontano e minacciato. Al gregge delle persone che si recavano da lui, si aggiunse, secondo la leggenda, un seguito di animali selvatici, che visitavano il Vescovo nella caverna, recandogli il cibo, ma venendo anche guariti da lui.

Venne scoperto da alcuni cacciatori. Condotto nella città, fu imprigionato, e anche in carcere operò diversi miracoli. Mentre veniva portato a morire, pare nel 316, un’autentica folla si radunò al suo passaggio e molte persone, sfidando le guardie, lo osannava e invocava la sua benedizione. In particolare, una mamma con il suo bambino in braccio si presentò davanti a Biagio, implorandolo di intervenire sul figlio, che aveva ingoiato una grossa spina di pesce, che si era conficcata nella gola e gli impediva di respirare. Il vescovo si mosse a compassione e recitò una preghiera per il bambino e poi fece su di lui il segno della croce e immediatamente questo si sentì meglio, pianse e gridò per la gioia, dimostrando a tutti l’avvenuta guarigione. Giunto al cospetto del giudice, che tentò di convincerlo a rinnegare la fede cristiana, Biagio spiegò che per lui “c’e un Dio solo, eterno, creatore di ogni cosa e non molti dei”. A quelle parole il giudice si indignò e lo fece prima picchiare e quindi portare in prigione. Dopo qualche giorno, fu sottoposto ad un nuovo interrogatorio, ma l’esito non cambiò e a quel punto Biagio fu sottoposto a diversi tipi di crudeli torture, sino ad essere appeso ad un albero. Il vescovo rimase fermo e inflessibile sulle proprie convinzioni e, vedendo che sopportava tutte le sofferenze corporee, fu deciso di affogarlo in un lago. Lanciato con violenza nell’acqua, Biagio nella sorpresa generale si mise a camminare sulle onde sino a raggiungere agevolmente la sponda opposta. Di nuovo imprigionato, Biagio fu sottoposto alla decapitazione. Dal martirio di san Biagio deriva a noi l’insegnamento che Dio è amato dal cristiano a costo della vita.

Le sue reliquie sono state portate in Italia nel VIII secolo e sono custodite a Maratea, in provincia di Potenza, di cui San Biagio è patrono e al quale è dedicata la basilica posta in una località che porta il suo nome.

La venerazione nei confronti di San Biagio ha dunque origini lontane, ma è rimasta sempre molto viva presso i cristiani di tutto il mondo. La chiesa in suo onore rinnova ogni anno il rito della benedizione della gola, che si effettua con due candele incrociate e passate sotto la gola delle persone come atto per tenere lontane le malattie e malanni di questa delicata quanto importante parte del corpo.

In questa Eucaristia chiediamo a Cristo, il più grande martire, il dono di un amore supremo per Dio, nostra Speranza. Chiediamo a Lui di essere, sulle orme di san Biagio, custodi della vita degli uomini e del creato. Per i credenti, che guardano il mistero della vita riconoscendo in essa un dono del Creatore, la sua difesa e la sua promozione, in ogni circostanza, sono un inderogabile impegno di fede e di amore.

                                                          + Mario Toso