[set 27] Omelia – Nuovo Anno Pastorale Giovani

27-09-2020

Faenza, Seminario 27 settembre 2020.

La Parola di Dio di questa domenica è provvidenzialmente adatta per riflettere sull’inizio di questo nuovo anno pastorale per i giovani, con i giovani.

Incominciamo a riflettere a partire dal Vangelo secondo Matteo che nella parabola del padre e dei due figli ci indica le condizioni per avere successo nella vita cristiana e nel raggiungimento degli obiettivi del Sinodo dei giovani. Quali sono le condizioni o, meglio, la condizione per camminare spediti nel nuovo anno pastorale? Non avere un cuore doppio, non avere due anime: l’anima che ama il bene, il progetto di Dio su di noi (quanto ci è stato proposto col Sinodo), da una parte, e un’anima che ama tutto ciò che contrasta con la chiamata che ci ha fatto Dio, tutto ciò che è contrario alla proposta di Cristo e alla missione della sua Chiesa. All’inizio di un nuovo anno pastorale occorre, dunque, che prendiamo spunto dalla parabola dei due figli, che dicono e subito si contraddicono, per considerare se anche in noi vediamo gli atteggiamenti dei due figli, per scoprire se anche in noi vi sono due atteggiamenti contrastanti tra di loro. Per crescere e vivere, afferma il profeta Ezechiele, occorre convertirsi al bene, non avere due anime, bensì un’unica anima. Non dobbiamo avere due cuori, bensì un cuore solo, un cuore unificato, non doppio. Il dono da chiedere al Signore, all’inizio di questo anno pastorale è, dunque, quello di possedere un cuore solo, un cuore intero per la Chiesa, un cuore che non è spaccato in due, un cuore che non ha secondi fini.

Possiamo compiere un cammino importante per noi e per la nostra Diocesi se imitiamo il primo figlio che si pentì ed andò a lavorare nella vigna, nella Chiesa, dopo essersi rifiutato. Di che cosa si pente si domanda padre Ermes Ronchi, in suo commento al Vangelo? Di aver detto di no al Padre? Letteralmente Matteo dice: si convertì, trasformò il suo modo di vedere le cose. Vede in modo nuovo la vigna, il padre, l’obbedienza. Non è più la vigna di suo padre (traducendo: la Chiesa non è più solo del pontefice, dei vescovi, dei preti), è la sua vigna. Il Padre non è più il padrone a cui sottomettersi o al quale sfuggire, ma il Coltivatore, Colui che lo chiama a essere corresponsabile, per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. In tal modo, il suo cuore diventa un cuore unificato dall’amore per il Padre e per la vigna. Sente che la vigna è sua, gli appartiene e, quindi, matura in lui un senso di corresponsabilità col Padre, l’origine di ogni chiamata e di ogni vocazione.

Ma altri spunti per quest’anno pastorale ci vengono dalla riflessione sulla domanda di Gesù: «Chi dei due figli compie la volontà del Padre»? In sostanza, è il figlio che riesce a comprendere che il Padre desidera una casa abitata non da servi ossequienti, ma da figli liberi e adulti, corresponsabili con lui, nella edificazione del Corpo di Cristo, per la maturazione di un mondo più fraterno e più giusto.

In breve, all’inizio di un nuovo anno pastorale, come già detto, chiediamo allo Spirito santo di non possedere due anime o due cuori in contrasto tra di loro, bensì un’anima e un cuore che accolgono l’invito del Padre, che si aprono al sogno del Padre che desidera che noi siamo figli, figlie che lo amano e condividono le sue ansie missionarie. Ma per capire di più il cambiamento che siamo chiamati a compiere, domandiamoci: è mai possibile che i figli abbiano un cuore diviso, non in sintonia con il cuore del Padre? Sì. Succede, ad esempio, quando uno afferma di appartenere alla Chiesa, di vivere la comunione di spirito della Chiesa, di possedere i sentimenti di amore e di compassione di Cristo, ma in realtà il suo cuore è altrove, ha appartenenze e comportamenti che di fatto lo pongono fuori dalla Chiesa, in antitesi con Cristo e il suo Vangelo, la sua proposta di vita, di famiglia, di lavoro, di società, di libertà. È come se uno dicesse di appartenere ad una squadra (la Chiesa, tenete ben presente, non è una squadra di calcio, ma adopero l’immagine per farmi capire meglio) e di dare se stesso per farla vincere, ma in realtà con il suo cuore appartenesse ad una altra squadra, la squadra avversa. Se in noi persistesse una simile duplicità di appartenenza sarebbe difficile poter essere unificati dentro e perseguire con efficacia gli obiettivi pastorali della Chiesa.

Un’altra condizione per attuare una pastorale per i giovani, con i giovani, una pastorale più vera, più rispondente alla dignità dei propri fratelli e delle proprie sorelle, la troviamo indicata nell’ultima parte della parabola. Nella conclusione Gesù fa una dura affermazione rivolta a tutti coloro che a parole dicono di sì, che si vantano di essere credenti (potremmo dire cristiani), ma che sono sterili di opere buone e sono cristiani di facciata e non di sostanza. I pubblicani e le prostitute, dice, vi passano avanti nel Regno dei cieli, perché hanno un cuore convertito, non diviso nell’amore a Cristo, mentre voi non lo amate sinceramente, con tutto voi stessi, ma siete doppi. Per noi che iniziamo un nuovo anno pastorale, possiamo tradurre così un tale insegnamento di Gesù: nel cammino del prossimo anno pastorale non muoviamoci come coloro che si dicono cristiani, affermano di essere cristiani di origine controllata, ossia doc, ma in realtà sono pronti a squalificare i propri fratelli, ergendosi a loro giudici, a esseri superiori, e dentro hanno un cuore profondamente scisso, sono doppi. San Paolo dice ai cristiani di Filippi: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non ricerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2, 1-11). Questo insegnamento vale per il lavoro pastorale e per il lavoro in campo sociale e politico.

Ma scendiamo ancor di più nella concretezza odierna e domandiamoci: quale impegno nella pastorale giovanile in tempo di Covid?

  1. Occorre tener presente che esiste un virus altrettanto pericoloso del Covid, che rischia di accrescere le già tante rinunce che abbiamo vissuto nella Pastorale Giovanile di quest’anno: è il virus dell’immobilismo, del non desiderare di esser protagonisti nelle nostre realtà pastorali, del fermarci perché molte cose appaiono incerte. Se questo può essere vero, non è però sicuramente incerto l’invito costante che Gesù ci fa di seguirlo e di lavorare nella sua vigna (lavorare nella sua chiesa, per essere a servizio dell’umanità, della famiglia dei popoli).
  2. Occorre cogliere questa situazione di “dissesto” (che ha aperto in molti campi della pastorale prospettive nuove dopo la fase più acuta della pandemia) come un’opportunità, come un’occasione di rilancio e di rinnovamento nelle nostre comunità e nei nostri gruppi.  Il Covid non nuoce solo. Offre anche nuove possibilità di vivere la propria chiamata e la propria missione, sia pure in un momento difficile. Il Sinodo dei Giovani che abbiamo concluso nella sua fase celebrativa poco più di un anno fa nella nostra Diocesi è un solco già tracciato. È tempo di approfondirlo rendendolo strada sempre più sperimentata da percorrere in tutte le nostre realtà ecclesiali. Non perdiamo questa occasione!
  3. Ricordiamo, infine, che il sentirsi “Chiamati alla gioia” vuol dire anche sentire di essere chiamati a far crescere la gioia nelle nostre parrocchie/movimenti/associazioni. Una gioia vera, non illusoria: una gioia, come dice Gesù al giovane ricco, che può darci un tesoro nei cieli più grande di qualsiasi tesoro terreno. Per arrivare a questo occorre formazione, occorre non autoreprimere la propria identità, le proprie convinzioni religiose, occorre sapere di quale gioia stiamo parlando: in questo anno più che mai aderiamo alle tante proposte di formazione che la nostra Diocesi nei suoi vari uffici e settori ci offre (spesso anche in streaming, quindi con la possibilità anche per i più lontani e periferici di raggiungere i luoghi di formazione). Formarsi vuol dire sempre scoprire nuove opportunità e riscoprire le nostre risorse.

Il Signore ci aiuti ad avere non due anime, due cuori, ma un cuor solo ed un’anima sola.

+ Mario Toso