OMELIA per l’ORDINAZIONE DIACONALE di FABRIZIO LIVERANI

Faenza, Basilica Cattedrale - 5 giugno 2010
05-06-2010


L’ordinazione diaconale nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo ci suggerisce di riflettere sul profondo legame che unisce il ministero del diacono all’Eucaristia. Sorto per iniziativa degli apostoli per servire alle mense dei poveri assistiti dalla prima comunità cristiana, il servizio di carità del diacono è diventato in modo sempre più chiaro la dilatazione del servizio all’altare, dal quale il diacono non solo prendeva i doni da distribuire ai poveri, ma attingeva anche la grazia per testimoniare la carità di tutta la comunità.


Nel racconto della moltiplicazione dei pani ascoltato nel vangelo gli apostoli hanno compiuto, su invito di Gesù un tipico gesto diaconale, prestando le loro mani a Cristo nel compiere il suo miracolo; essi distribuivano, ma era l’amore di Cristo che moltiplicava i pani e i pesci. La moltiplicazione dei pani è arrivata al termine di una giornata nella quale era stato diffuso con abbondanza l’annuncio del Regno, insieme alla guarigione di quanti avevano bisogno di cure. Nei segni che anticipavano la realtà della Chiesa troviamo tutto ciò che sarà attenzione propria del ministero diaconale: l’annuncio del Vangelo, la cura dei malati e dei sofferenti, la distribuzione dell’Eucaristia.


Nella preghiera di ordinazione che tra poco il vescovo pronuncerà sentiremo queste parole: ‘Ora, Padre, ascolta la nostra preghiera: guarda con bontà questo tuo figlio, che noi consacriamo come diacono, perché serva al tuo altare nella santa Chiesa’.


Nel servizio all’altare il diacono sarà in particolare colui che al termine della preghiera eucaristica solleva il calice, mentre il celebrante proclama la solenne dossologia: ‘Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli’. E il popolo acclama: ‘Amen’. Il rapporto con l’Eucaristia, diventa un rapporto ancora più particolare con il Calice del Sangue di Cristo.


S. Paolo ci ha ricordato a questo riguardo le parole di Cristo nell’ultima Cena: ‘Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me’. L’offerta del sacrificio di Cristo riguarda ovviamente tutta la sua realtà umana e divina, ma è soprattutto il suo sangue versato che ci fa cogliere l’offerta della vita e la misura del suo amore infinito per ottenerci il perdono dei peccati dalla misericordia del Padre.


Nel calice che viene sollevato a gloria del Padre per Cristo, con Cristo e in Cristo c’è il sangue che raccoglie tutta la sofferenza del mondo insieme a quella di Gesù, e c’è il sangue che ha meritato il perdono di tutte le colpe degli uomini. Quando il diacono tiene tra le sue mani il calice della Messa, si unisce misteriosamente nel gesto liturgico alla Nuova Alleanza dove Cristo ci rappresenta tutti davanti al Padre. Anche per questo il diacono sarà il primo, dopo i celebranti, a comunicarsi al Corpo e al Sangue di Cristo.


Ciò che si celebra nel mistero si vive nel ministero. Il gesto di portare sull’altare nel calice della Messa la sofferenza di Cristo e del mondo, dona la grazia per essere accanto a tutta la sofferenza degli uomini e delle donne per unirla nell’amore a quella di Cristo, perché diventi dono di salvezza. Quante volte di fronte alla sofferenza fisica e morale delle persone e delle famiglie non si sa che cosa dire, perché il dolore è sempre un mistero. In questi casi il solo atteggiamento vero è quello tenuto da Maria sotto la croce, nella fedeltà di una condivisione fatta di presenza, di partecipazione e di offerta. Per fortuna che si può mettere tutto nel calice eucaristico, a nome anche di chi non sa o non ci pensa, perché niente vada perduto di un vissuto umano così prezioso per la salvezza del mondo.


Per il diacono essere accanto ai sofferenti diventa l’occasione per mostrare con un gesto di carità l’attenzione riconoscente di tutta la comunità verso coloro che stanno portando la croce, e ‘danno compimento a ciò che dei patimenti di Cristo, manca nella (loro) carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa‘ (cfr Col 1, 24).


Insieme alla sofferenza, nel calice troviamo anche il perdono, meritato dal sangue di Cristo. È il fondamento della nostra speranza. Se non sapessimo di essere perdonati, rimarremmo schiacciati dal peso delle nostre colpe, in una disperazione senza esito. Il perdono dei peccati è frutto dell’amore che Cristo ha mostrato nel sacrificio di croce. Essere perdonati è avere la certezza di essere amati dal Padre fino ad accoglierci nuovamente come figli, in un amore mai venuto meno anche quando noi ci eravamo allontanati. Il gesto di elevare il calice del sangue di Cristo vuol dire mettere tra noi e il Padre il suo Figlio sacrificato per noi. ‘In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati’ (1Gv 4,10).


Nel servizio all’altare c’è anche la distribuzione dell’Eucaristia, perché la comunità cresca come corpo mistico di Cristo, nell’unità di un solo corpo, quanti mangiamo di quest’unico pane (cfr 1Cor 10,17). Per questo il diacono nella sua comunità è un uomo di comunione, insieme al presbitero ministro dell’unità, per essere una cosa sola perché il mondo creda.


Carità e comunione sono frutto della grazia del sacramento dell’Ordine, anche nel grado del diaconato, che mediante il ministero del Vescovo la Chiesa questa sera conferisce al nostro fratello Fabrizio. Siamo grati anche alla sua famiglia che in qualche modo sarà coinvolta nel suo ministero ecclesiale. Preghiamo perché lo Spirito Santo sia largo di benedizioni per tutti coloro che hanno accompagnato Fabrizio nel suo cammino fino alla consacrazione diaconale, e per coloro che mediante la vita e il ministero di questo nostro fratello incontreranno un segno vivo dell’amore del Padre per ciascuno dei suoi figli, soprattutto i piccoli e i sofferenti.