Carissimi, in questa domenica nella quale siamo sollecitati dalla parola di Dio a perdonare senza misura (cf Mt 18, 21-35) e a vivere non per noi stessi ma per il Signore (cf Rm 14, 7-9), si compie un atto importante per la comunità parrocchiale di san Francesco d’Assisi alle Glorie. Don Marco Farolfi, che rimane amministratore parrocchiale di san Potito, ed è stato vice parroco a Bagnacavallo, diventa parroco di questa parrocchia, subentrando al carissimo don Drei Pier Paolo. La presa di possesso di don Marco coincide con le mutate condizioni della diocesi di Faenza-Modigliana quanto al suo organico di presbiteri. Essa non ne dispone più di un numero sufficiente, tale da consentire la loro presenza stanziale in ogni parrocchia. Detto diversamente, don Marco non risiederà in questa comunità, pur avendone la responsabilità giuridica e pastorale. Non è un piccolo cambiamento rispetto a prima. Accenno a questo non per scoraggiarvi ma perché bisognerà prendere gradualmente coscienza che si è chiamati a divenire più corresponsabili nella catechesi, nell’esercizio della carità, nella preghiera per le vocazioni, nell’amministrazione dei beni e delle varie istituzioni, all’interno dell’unità pastorale e del Vicariato in cui si è inseriti. Come ben sapete, ogni comunità è caratterizzata dalla comunione con Cristo e tra i credenti. Cresce alimentata dall’Eucaristia e dalla celebrazione degli altri sacramenti. Esprime una missione evangelizzatrice, educa alla fede, si impegna nel servizio della carità verso i più poveri. Il presbitero ha il compito di favorire la comunione missionaria della parrocchia che gli è affidata, insegnando, santificando, guidando il popolo di Dio con l’autorità conferitagli. Nella comunità cristiana, che non è un’impresa o una cooperativa o una qualsiasi società umana, vi sono più soggetti corresponsabili, ognuno con compiti e ministeri diversi. Vi sono presbiteri, fedeli laici o christifideles, religiosi, singoli e gruppi, come le aggregazioni, le associazioni e i movimenti. Il buon andamento e la crescita della comunità dipendono dall’unità delle varie componenti, dalla collaborazione fra di esse, nella convergenza dell’annuncio e della testimonianza credibile di Cristo. Ciò, al lato pratico, importa l’incessante costruzione del corpo spirituale che è la Chiesa, che ha per capo Gesù Cristo. Poggiando su di Lui, anzi radicati in Lui, i singoli credenti innalzano l’edificio della loro esistenza, a gloria di Dio.
La nostra diocesi in questo periodo è stata impegnata nella ricezione dell’Evangelii gaudium (=EG). Nella lettera apostolica di papa Francesco si trova l’invito a ripensare la comunità cristiana in termini di maggior comunione e di più intensa missione nel territorio in cui è collocata. Sollecita non solo a qualche piccolo ritocco migliorativo della attuale pastorale, spesso affaticata, non partecipata da tutti i fedeli, incapace di raggiungere molti, appesantita dalla gestione di vecchie strutture, sproporzionata rispetto alle molteplici sfide contemporanee. Desidera, piuttosto, cambi profondi, una vera e propria conversione nell’ambito dell’annuncio, della catechesi, della testimonianza stessa. I beni materiali della Chiesa, seppur necessari, non sono la cosa più rilevante. Vanno amministrati e gestiti bene, ma in subordine alla missione primaria dell’evangelizzazione, della gioia di comunicare Cristo. Ciò vuol dire che si deve investire di più nella formazione delle coscienze e nell’accompagnamento spirituale delle persone, specie dei giovani, delle famiglie, nella coltivazione della dimensione sociale della fede, obiettivi ben presenti nel Sinodo per i giovani. Ma nell’EG papa Francesco riflette anche sui rapporti che debbono esserci tra le varie componenti. Ci interessa anche questo. Da una parte egli suggerisce il superamento del clericalismo più classico, ossia di quell’eccessivo concentramento sui presbiteri della maggior parte delle responsabilità e dei pesi gestionali, giungendo quasi ad estraniare i laici dalla missione, dalla catechesi, dalla carità, dalla testimonianza e dall’amministrazione dei beni ecclesiali. Dall’altra parte, desidera che anche i laici non diventino vittime di un’analoga malattia, ovvero di un clericalismo indotto, che li porterebbe a pensarsi a immagine e a somiglianza dei presbiteri che lasciano poco spazio alle altre componenti. Orbene, i vari ministeri nella Chiesa vanno esercitati senza confusioni e senza sovrapposizioni, senza accavallamenti o sostituzione dei ruoli, nel rispetto di essi, nella comunione.
Quanto detto cosa può significare per la comunità di Glorie, in occasione dell’ingresso di don Marco come nuovo parroco, che non potrà risiedere in maniera continuativa in mezzo al suo popolo? Rispetto all’evangelizzazione e all’esercizio della carità, intesa in senso ampio, rispetto all’amministrazione dei beni sarà necessaria, da parte dei laici, una responsabilità più condivisa e partecipata. Provo a dire le stesse cose in una maniera meno astratta, più concreta. Se in passato il parroco doveva interessarsi più intensamente di tante attività, che non erano di sua stretta competenza (come ad es. all’approvvigionamento delle derrate alimentari o del combustibile per la scuola materna, a far falciare l’erba, a far quadrare i conti e simili), perché i laici erano meno coinvolti e responsabilizzati in ciò, d’ora in avanti, mancando un parroco stanziale, bisognerà che proprio essi assumano un maggior attivismo e protagonismo nel disbrigo delle pratiche, nei pagamenti, nell’organizzazione della vita comunitaria, ovviamente sempre sotto la responsabilità ultima del presbitero parroco, che è anche il rappresentante legale. Ciò dovrà avvenire mediante gli organismi collegiali come il consiglio pastorale, il consiglio per gli affari economici, le consulte per rimettere insieme gruppi e movimenti.
Nei luoghi ove la presenza del presbitero si è rarefatta bisogna riconoscere che nei laici è cresciuta la coscienza dell’identità e della loro missione nella Chiesa. Ma va anche riconosciuto che allorché il laicato organizza attività varie, specie quelle formative, può sorgere la tentazione di fare a meno del presbitero. Ecco un esempio deleterio di «clericalismo». Non bisogna, invece, dimenticare che soprattutto nell’educazione alla fede non può essere assente l’impegno specifico del presbitero, relativo ai sacramenti, alla formazione delle coscienze e all’accompagnamento spirituale. Occorre muoversi insieme, sinergicamente e in maniera complementare.
Mentre ringrazio tutti coloro che hanno consentito la transizione tra il parroco don Drei e il nuovo, auguro al primo di poter tornare, poste determinate condizioni, ad offrire il suo ministero sacerdotale e al secondo un proficuo lavoro nella vigna del Signore, a vantaggio del regno di Dio. In questa Eucaristia chiediamo al Signore di poter vivere tutti non per noi stessi ma per Lui.