Omelia per l’inizio dell’anno scolastico

14-09-2017

All’inizio di un nuovo anno scolastico celebriamo la festa dell’Esaltazione della Croce. Sappiamo che la croce è segno sì di morte ma soprattutto di vita. È via e «luogo» di massima donazione di sé. La morte di Cristo sbocca nella risurrezione, ossia nella pienezza della vita.

Per chi lavora nella scuola, nell’ambito dell’istruzione, formazione ed educazione da credente, l’amore di Cristo, che culmina nel dono totale di sé sino alla morte in croce, ed è amore che si compie nel «noi» comunitario di Dio, è chiave di volta di ogni opera pedagogica. È principio di creatività, di generatività; è indicazione di una grammatica del «noi», per tutti i soggetti coinvolti nella scuola, compresi i volontari, la Caritas, il MSAC qui presente con una nutrita rappresentanza, l’AGESC, ed altri. Richiede un lavoro pedagogico comunitario, in cui i molteplici soggetti camminano insieme e agiscono sinergicamente. I ragazzi e i giovani vanno posti al centro con tutti i loro doni più belli. Vanno invogliati ad amare il sapere, il conoscersi, il saper fare, compreso l’autoeducarsi. L’amore di Cristo, amore pieno nella verità, è all’origine di ogni rinnovamento culturale profondo, a servizio della dignità piena dell’uomo. È amore che, come ci spiega la Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (cf Fil 2,6-11) non schiaccia e non impone, ma si abbassa, si «svuota», si fa vicino e conquista il cuore delle persone. Mediante il suo amore, Gesù Cristo si fa servo per creare persone libere, gente che ama come Lui. Morendo in croce insegna all’uomo, quasi prendendolo per mano, la via stretta della rinascita, della felicità, di un nuovo umanesimo, imperniato in una cittadinanza impastata di doveri e diritti.

All’inizio di un nuovo anno si torna ad interrogarsi sul ruolo della scuola nei confronti degli alunni e dell’attuale società, sui suoi problemi di organico, sulle strutture insufficienti o inadeguate, sulla nomina dei docenti e dei supplenti, sulle loro retribuzioni esigue, sui fondi, sul diritto di studio dei disabili, ed altro ancora. Si organizzano convegni sulle nuove tecnologie da impiegare. Queste aprono interrogativi e scenari inediti. Una buona comunicazione parte dalla capacità di entrare in contatto e di trovare il ritmo e la sintonia per essere in relazione con gli interlocutori.

Il rapporto con le nuove tecnologie, con gli strumenti sempre più interattivi, con l’universo web, non va demonizzato o enfatizzato ma affrontato con senso critico. Infatti, l’abuso dei moderni strumenti può portare a dipendenze e a comportamenti compulsivi. Strumenti didattici moderni a parte, una recente indagine ha mostrato e confermato come un più di istruzione accresce la soddisfazione di vita. Studiare – questo va ricordato agli allievi che tornano sui banchi piuttosto svogliati – rende più felici. Inoltre, aiuta ad adottare stili di vita più sani e rispettosi dell’ambiente. Nel celebre discorso alla Società delle Nazioni il noto economista Keynes diceva che l’istruzione è quella cosa che consente a chi studia di dare enormemente più senso e più significati alle cose e alle situazioni rendendo la vita più ricca e degna di essere vissuta. Ma basterebbe anche ricordare quanto soleva ripetere don Milani e cioè che sapere è potere. Recentemente il professore Luigi Berlinguer, che si può considerare il padre della legge 62/2000, e che con essa introdusse in Italia un sistema scolastico integrato, in occasione dell’incontro sul tema Libertà di educazione, presso il teatro Masini della nostra città, ha rammentato che là ove c’è più istruzione per tutti vi è più libertà giustizia e, conseguentemente, più democrazia.

Evidentemente nell’educazione l’aspetto intellettuale non può essere enfatizzato. È noto che per far crescere le persone, l’intellettualismo – un eccesso socratico – è sproporzionato per difetto. Vanno anche coltivate l’affettività, l’emotività, la sensibilità, facendo leva non solo sulla ragione, ma in particolare sull’empatia, sull’imparare facendo, a partire dalla vocazione delle persone. In sostanza, l’educazione dev’essere integrale, dando, in particolare, il giusto posto alla formazione religiosa, spesso considerata un’appendice, nonché alla musica e alla cultura del lavoro.

La scuola dev’essere per la vita, ci ha insegnato il grande Seneca. Nella vita contano senza dubbio i buoni voti, la preparazione tecnica e professionale, ma soprattutto l’integrità morale e, inoltre, l’onestà, la parola data, la capacità di relazionarsi, di dialogare. Rispetto a ciò il rapporto con Dio, il suo amore ricevuto e donato, sono decisivi. Gian Battista Vico ci ha insegnato che la religione è a fondamento della civiltà, della morale. Non dovremo limitarci, allora, a quanto ci ha trasmesso Kant e cioè che nelle relazioni regola morale fondamentale dev’essere la considerazione dell’altro – persona o studente – mai come mezzo, bensì solo come fine. Per i credenti è più vero che la persona, gli studenti, debbono essere trattati ed amati come fini in Dio, ossia come soggetti che si amano non solo per sé, ma per Dio e in Lui. Se ameremo le persone come ci ha insegnato Gesù Cristo nella nostra vita di educatori cambieranno molte cose, a cominciare dallo stesso metodo pedagogico, che i principali educatori cristiani hanno elaborato come preventivo. In questa Eucaristia d’inizio d’anno, in cui facciamo memoria dell’esaltazione della Croce, chiediamo la capacità di amare le persone, gli studenti, con l’amore senza misure di Cristo. Se è vero che si educa nell’amore, con l’amore, per l’amore, è in Gesù Cristo che la nostra opera educativa è chiamata a compiersi. Preghiamo Cristo, viviamolo, offriamoci a Lui, per essere punti di riferimento per studenti e per colleghi. Gli studenti in particolare hanno bisogno di esempi concreti e di figure di riferimento animate da coerenza, convinzioni profonde e forti motivazioni interiori.