OMELIA per la VEGLIA MISSIONARIA

Faenza - Chiesa di San Giuseppe artigiano, 21 ottobre 2016
21-10-2016

In questa Veglia missionaria, che cade nel nuovo anno pastorale impegnato nella ricezione della Evangelii gaudium (=EG), sembra opportuno riflettere sulle ragioni profonde del nostro essere Chiesa missionaria, a partire proprio dall’esortazione apostolica. Per farlo, prendiamo lo spunto anche dal Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2016, in cui papa Francesco invita a pensare l’impegno missionario come un atto di misericordia nei confronti dei popoli che ancora non conoscono il Signore Gesù. La Chiesa, nel suo essere strutturalmente missionario, è chiamata a compiere un servizio di maternità: generare la fede, aiutare ad incontrare ed amare il Signore. Se la fede è fondamentalmente e germinalmente dono di Dio, essa cresce non tanto attraverso un proselitismo che forzi la libertà altrui, bensì mediante la stessa fede e carità degli evangelizzatori. Essa viene comunicata per contagio. Detto altrimenti, viene diffusa da una vita credente, da una testimonianza autentica, dall’amore per Gesù e per i propri fratelli che ancora non Lo conoscono.

Il credente, vero innamorato di Gesù, sente dentro di sé l’esigenza e il dovere di comunicarlo e condividerlo. E questo, non solo sulla base della gioiosa esperienza di essere unito a Lui, ma anche perché «ogni popolo e cultura ha diritto di ricevere il messaggio di salvezza che è dono di Dio per tutti».

E così, potrà esserci un sano proselitismo senza costrizioni o pressioni, e l’annuncio del Vangelo non sarà mai un’attività da cui ricavare un utile, un tornaconto personale. Esso risponderà ad un bisogno profondo delle persone, perché, come afferma papa Francesco, «tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno». «Il missionario – spiega sempre papa Francesco – è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L’entusiasmo nell’annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa» (EG n. 265).

In breve, l’attività missionaria è motivata da ragioni di amore per gli altri, da un dovere di giustizia nei loro confronti.

Più volte, durante quest’anno giubilare, ho avuto modo di ripetere che viviamo la misericordia non solo mediante le opere caritative e di assistenza, ma soprattutto annunciando il Vangelo e vivendo la nostra missionarietà. Gesù Cristo è un tesoro di vita e di amore, che non si può trattenere solo per sé. La misericordia più grande è proprio donare Gesù agli altri. Noi cristiani siamo una missione, perché formiamo con Gesù, il missionario per eccellenza, un’intimità itinerante.

Il brano del Vangelo di Luca, appena proclamato, ci ricorda che l’attività del missionario è un invito a partecipare alla gioia e alla comunione del banchetto, che Dio prepara per tutti i popoli indistintamente. Il padrone di casa, che ha fatto preparare la cena per molti invitati, vuole riempire a tutti i costi la sala del banchetto. Chi, con una scusa o con un’altra, lo boicotta, rischia di rimanerne escluso per sempre o, meglio, si autoesclude dal regno e famiglia di Dio. Nella situazione storica, in cui si trovava la Chiesa di Luca, ove la perseveranza di non pochi convertiti era in crisi, la parabola di Gesù era, allora come oggi, un serio avvertimento. Chi rifiuta l’invito ricevuto, dando la priorità agli affari, alla cura delle proprietà, agli impegni mondani, non sa di perdere il bene più grande, che è la comunione con Gesù Cristo, infinito Amore che salva e redime.