OMELIA per il PELLEGRINAGGIO DEI CRESIMATI e CONSEGNA DEL SIMBOLO DELLA FEDE

Basilica di San Pietro, 18 ottobre 2016
18-10-2016

Cari cresimati della Diocesi di Faenza-Modigliana, la seconda Lettera di san Paolo apostolo a Timoteo ci offre uno spaccato della Chiesa delle origini. Che cosa viene presentato? Il coraggio missionario di Paolo, ma anche il viaggio di Crescente in Galazia e di Tito in Dalmazia a testimonianza dell’irradiazione del cristianesimo, la fatica dell’annuncio del Vangelo, i danni che subisce l’apostolo delle genti a causa di Alessandro, il fabbro, che si rivela un accanito oppositore della sua predicazione. Nella sua Lettera a Timoteo, Paolo lamenta, inoltre, di essere stato abbandonato da tutti allorché fu trascinato in tribunale. E, tuttavia, rimane con lui un missionario della prima ora: l’evangelista Luca, che oggi festeggiamo: «Solo Luca è con me». Nel brano su cui stiamo riflettendo troviamo un’annotazione importante. L’apostolo Paolo riconosce che il Signore, durante gli interrogatori in tribunale gli è stato vicino e gli ha dato forza, perché potesse «portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero». San Paolo considera la sua stessa cattura e l’interrogatorio a cui è stato sottoposto occasioni di annuncio di Gesù Cristo. Anche i momenti più duri della vita possono essere il luogo in cui parlare di Lui, per testimoniargli il nostro amore.

Voi cari cresimati, vi chiederete: ma cosa centra tutto questo con la nostra vita? Qual è il senso per noi di tutto quanto abbiamo udito, e cioè delle difficoltà incontrate da Paolo e dai primi cristiani durante il loro impegno missionario?

Il brano che avete sentito proclamare riguarda proprio voi, anzi tutti noi, in quanto battezzati e cresimati. Chi nella Cresima riconosce di essere di Cristo e di aver ricevuto il suo Spirito è anche consapevole di essere un inviato, un mandato in missione. Tutti i battezzati e i cresimati ricevono da Gesù il compito di andarlo a portare a chi non lo conosce ancora e non l’ha incontrato, perché l’accolgano nella loro vita, a casa propria.

Come narra il brano del Vangelo di Luca (cf Lc 10, 1-9), oltre agli apostoli che conosciamo, Gesù designò altri settantadue e li inviò due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. In altre parole, Gesù sceglie dei collaboratori perché vadano a preparare il terreno e a predisporre le persone a riceverlo. Il battezzato e il cresimato, che dimora in Gesù e vive in Lui, come dice san Paolo, porta dentro di sé una missione, il compito di parlare di Gesù, di farne capire l’importanza per la vita: Gesù è colui che salva l’uomo dal male, dal fallimento che è il peccato, e lo aiuta a fare il bene, a crescere come persona completa. Proprio per questo, Gesù deve essere considerato dal cresimato il più grande dono che può fare ai suoi amici, a coloro che non lo conoscono ancora o, pur conoscendolo, l’hanno abbandonato.

Ma come avverte Gesù, che dice «vi mando come agnelli in mezzo ai lupi», il compito del missionario non è così semplice. Non è, come pensano ingenuamente molti, un’avventura meravigliosa, un safari o un viaggio turistico in una terra sconosciuta ed incontaminata. Il cresimato che prende sul serio la sua missione trova sul suo cammino, come san Paolo, successi, ma anche opposizioni e risposte negative.

Gesù non intende scoraggiare i suoi discepoli, ma semplicemente metterli in guardia ed invitarli ad essere spiritualmente e psicologicamente preparati. Tantomeno desidera togliere a loro la gioia di portarLo a chi non ce l’ha. Il cresimato, pur consapevole che tutto non andrà liscio, non dimentica la gioia incontenibile che l’accompagna nel suo slancio di andare e di comunicare, di essere una missione. Gesù è una persona così grande, così bella, così arricchente da appagare le attese più profonde del cuore umano e da indurre a condividerlo. Sofferenze, privazioni, solitudini, persecuzioni subite a causa sua non sono sufficienti a spegnere l’entusiasmo per Lui, che allieta l’esistenza, rendendola luminosa, piena di forza e di sapienza, di festa interiore, perché Egli è per noi, figli di Dio, il massimo, il prototipo, il Figlio che redime e salva.

Dobbiamo, allora, non vivere nel mondo delle illusioni, ma essere ben piantati in Gesù, il missionario per eccellenza e servo sofferente. Quanto disse Gesù ai settantadue non è lontano dalla realtà odierna, che registra circa duecento milioni di cristiani torturati, imprigionati. Ogni anno ne sono uccisi circa centomila. Cinque al minuto, ben più di quanti non ne morirono qui a Roma durante le persecuzioni scatenate dagli imperatori. L’uccisione di cristiani quasi non fa più notizia. E non risparmia, purtroppo, bambini e ragazzi, giovani che in alcune regioni del mondo sono venduti come schiavi oppure imprigionati, uccisi con la crocifissione o sepolti vivi.

Cari amici, chi è di Cristo, può incontrare sulla sua strada, anche la morte, come capitò al nostro Maestro, a santo Stefano, a san Pietro e a san Paolo, a san Tarcisio, nei primi tempi del cristianesimo, a san José Sanchez del Rio (1913-1928), giovane messicano, martirizzato a 15 anni e canonizzato domenica scorsa, il 16 ottobre in piazza san Pietro. Chi vive in Europa non si trova in un luogo del tutto indenne. Vi sono persecuzioni più sottili, ma non meno pericolose per la fede e per la propria libertà religiosa. Ce la si prende con il crocifisso, con il presepe, con i segni religiosi. Chi insegna religione può trovare disprezzo nei colleghi di altre discipline. La propria scuola perché cattolica può essere ingiustamente tassata. Chi difende la vita e la famiglia, intesa come società naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, può essere considerato dell’era giurassica.

Il vostro vescovo non vuole spaventarvi, ma semplicemente fare come Gesù con i settantadue discepoli inviati ad annunciarlo. Gesù indica, come avete sentito, una specie di «manuale del missionario»: si è inviati in un mondo in cui si è disarmati e in cui la messe è molta ma gli operai sono pochi, per cui mentre si lavora per il Regno non si deve smettere di pregare perché Dio mandi altri apostoli; si deve andare liberi da ogni cosa ingombrante, puntando dritti alla meta, senza perdersi nella ricerca di comodità: questo è il senso del «non portate né borsa, né bisaccia, né calzari». E se si riesce a convertire, a sconfiggere il Maligno, che sempre si aggira per rubare persone a Cristo, bisogna ringraziare Dio, perché è grazie a Lui che tutto questo può avvenire. Non siamo noi che riusciamo a convertire le persone, a guarirle interiormente e fisicamente, a sconfiggere il male che c’è nel mondo, ma solo Dio.

Ci troviamo nella basilica di san Pietro, anch’egli morto martire, come morì martire anche san Paolo, come già accennavo. Siamo venuti appositamente qui non per fare una scampagnata, ma per pregare sulla tomba di colui al quale Gesù ha detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra io costruirò la mia Chiesa e le forze della morte non potranno prevalere su di essa» Mt 16, 18). Pregate, preghiamo, dunque, per tutti i cresimati, perché possano essere Chiesa, annunciatori decisi di Gesù, senza arrossire di Lui, senza nascondere la propria identità cristiana. Questo è anche il senso della consegna del credo che faremo a breve.

Come tutti i cresimati dovete essere fieri della vostra fede e non dovete avere complessi di inferiorità. Affrontate i vostri impegni ad occhi aperti, avendo la consapevolezza che non siete soli, ma che siete sempre sorretti dallo Spirito di Dio e del Figlio, uno Spirito d’amore potente e tenero allo stesso tempo.

Durante la nostra celebrazione Eucaristica preghiamo per le nostre famiglie, i genitori, i nonni, gli amici, gli insegnanti, per la nostra Diocesi e le nostre parrocchie, per i religiosi e i diaconi. Offriamo al Signore il progetto di realizzare un Sinodo dei giovani, affinché nella nostra Regione ci possano essere operai del Vangelo, come sant’Apollinare e san Pier Damiani.