OMELIA per la MESSA CRISMALE 2015

Faenza - Basilica Cattedrale, 2 maggio 2015
02-04-2015
Cari fratelli e sorelle,
con gioia celebro la prima Messa crismale come vescovo di questa diocesi. Saluto tutti con affetto, in particolare voi, cari sacerdoti che oggi, come me, ricordate il giorno dell’Ordinazione. Ma saluto anche i diaconi, i religiosi e le religiose, i seminaristi, le organizzazioni ecclesiali e i laici che lavorano nella Caritas e nel volontariato, nella comunicazione, nella scuola, nel sociale. Un saluto del tutto speciale rivolgo al diletto confratello nell’episcopato, S. Ecc. Mons. Claudio Stagni che, come vescovo emerito, continua ad essere indissolubilmente legato alla nostra Chiesa e a far parte del nostro presbiterio. Non posso dimenticare i sacerdoti anziani e gli ammalati che, pur desiderandolo, non possono essere presenti con noi in questo momento di gioia comunitaria.
Oggi facciamo memoria del nostro essere tutti sacerdoti in Cristo. Ricordiamo in particolare i giubilei sacerdotali di settantesimo di Mons. Piazza Giuseppe, di sessantesimo di don Anselmo Fabbri, di don Malavolti Bruno, di Mons. Vasco Graziani, del can. Dalle Fabbriche Tommaso, di don Paolo Suardi, del can. don Attilio Venieri, di venticinquesimo di don Claudio Bolognesi, don Davide Ferrini, don Stefano Rava, S. Ecc. Mons. Paolo Pezzi. Una profonda unità ed un’incancellabile fraternità ci legano a Lui Sommo ed Eterno Sacerdote, che ci fa un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre (cf Ap. 1,5-8). Gesù Cristo, come ci dice il Vangelo odierno di Luca, vive la coscienza di essere inviato dal Padre per costruire un nuovo popolo, una nuova storia, attraverso il suo sacrificio, comunicando il suo sacerdozio, ossia la sua vita resa gradita, sacra, a Dio Padre, mediante il dono totale di sé, sino alla morte di croce.
Il popolo di Dio partecipa all’unico sacerdozio di Cristo secondo modalità differenti: il sacerdozio ministeriale o gerarchico e il sacerdozio regale o comune. Essi sono ordinati l’uno all’altro. Come spiega la costituzione dogmatica Lumen gentium (=LG) «Il sacerdozio ministeriale, con la potestà sacra con cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona Christi e l’offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all’oblazione dell’Eucaristia e lo esercitano con il ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità»  (LG n. 10).
Tutti i membri del popolo di Dio, che Cristo ha dotato di doni gerarchici e carismatici, sono costituiti in una comunione di vita, di carità e di verità, e sono insigniti della dignità sacerdotale (cf Ap 1,6; 5, 13-16). Tutti, presbiteri, diaconi, christifideles laici, religiosi e religiose, sono stati da Lui consacrati mediante il Battesimo perché offrano sacrifici spirituali mediante tutte le loro attività. Sono inviati come luce del mondo e sale della terra (cf Mt 5,13-16), per annunciare Gesù Cristo come Messia, salvatore e redentore di tutti, ossia come Colui che porta la misericordia e la liberazione di Dio, specie ai più poveri, agli affamati, agli afflitti, ai prigionieri. Il popolo di Dio viene compattato ed edificato da Cristo come comunione missionaria. È posto tra gli altri popoli della terra o, meglio, è seminato in essi, per il compimento in Dio e la gioia piena. È, dunque, in stato di permanente missione, per consentire ad ogni persona l’incontro con Colui che toglie i peccati del mondo con il suo sangue e dona un cuore nuovo, palpitante d’amore per Dio e l’umanità.
Consentitimi qui di fermare l’attenzione sul «mistero» e sulla «grazia» della comunione di tutto il presbiterio con il proprio vescovo, per rinnovare insieme una totale dedizione a Cristo e alla costruzione del suo Corpo, che è la Chiesa. Tutti noi, vescovo, sacerdoti, diaconi, secondo un ordine e un grado diversi, siamo costituiti come esseri ministeriali, esseri-per, a servizio dell’edificazione dell’unico corpo di Cristo, per un sacerdozio santo e regale. Noi, unico presbiterio, abbiamo un’unica missione: servire i nostri fratelli e sorelle perché vivano in piena comunione con Cristo e tra di loro; perché siano Chiesa, un popolo vivo, compatto, numeroso, ben articolato in comunità  locali, parrocchiali, religiose, domestiche o famiglie, tutte animate dalla passione per Gesù Cristo,  mosse dal desiderio incontenibile di indicarlo e comunicarlo mediante una nuova evangelizzazione –  come ci sollecita a fare l’esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco  su cui la Chiesa italiana sta sollecitando ad una verifica sulla sua ricezione da parte del popolo di Dio – caratterizzata da una permanente conversione spirituale, pastorale e pedagogica. Su questi aspetti come diocesi di Faenza-Modigliana avremo modo di ritornare per mettere in atto anche noi la nostra verifica.
Proprio anche in vista di una comunione missionaria e di una pastorale in conversione, il vescovo e i presbiteri sono chiamati a vivere un rapporto paterno-filiale: «I presbiteri – troviamo scritto nella LG del Concilio Vaticano II – riconoscono nel vescovo il loro padre e gli obbediscono con rispetto. E il Vescovo consideri i sacerdoti suoi cooperatori quali figli ed amici, come Cristo chiamava i suoi discepoli non già servi ma amici (cf Gv 15,15)» (n. 28).
Di fronte a simili parole c’è da rimanere stupiti e, insieme, ricolmi di riconoscenza. Rispetto al nostro essere strutturati secondo un rapporto di paternità e di figliolanza non abbiamo, infatti, nulla da rimproverarci: sia perché ci conosciamo appena, sia perché il nostro rapporto così caratterizzato è un puro dono. Esso non è né dalla carne né dal sangue. Esso nasce dall’Ordinazione presbiterale, in forza della preghiera e dell’imposizione delle mani del vescovo sul capo di ogni ordinando, plasmato come sacerdote della nuova ed eterna alleanza. Il Signore pone il vescovo in uno stato di paternità che lo soverchia e lo rende trepidante, perché il suo piccolo cuore di uomo come gli altri è chiamato ad accogliere tutti i sentimenti di affetto, di bontà, di speranza che deve avere di fronte a tanti figli. Il vescovo deve promettere davanti al Signore e al suo presbiterio: devo essere così  sensibile, così grande di cuore, così spazioso di anima da dire: io avrò tutti questi sacerdoti per figli miei! Cari fratelli di questo presbiterio, aiutatemi, allora, anzitutto con la vostra preghiera. Il fatto che per voi, tutto sommato, è più facile amare un padre solo, e cioè il vostro vescovo, non dev’essere motivo per esimervi dal donargli almeno un po’ del vostro affetto. Ve lo domando non tanto per me stesso – sì, anche per me, certamente – ma soprattutto per quell’unione empatica che dobbiamo coltivare per meglio edificare la Chiesa, il Corpo di Cristo, l’edificio spirituale  di cui Gesù è il Capo.
Non vi nascondo che uno dei propositi che ho preso venendo in questa stupenda porzione del popolo di Dio in Faenza-Modigliana, è stato quello di riservare a tutti voi, che mi siete fratelli e figli nell’unico sacerdozio di Cristo, specie se anziani ed ammalati, una vicinanza di affetto e di amicizia privilegiata. Più in concreto mi riprometto di destinare i primi mesi del mio ministero episcopale ad incontrare voi e le vostre comunità, raggiungendo ogni singola persona ed unità pastorale della Diocesi, nei tempi e nelle modalità più opportuni e comunque concordati. Dovremo sentirci molto compatti perché siamo ministri di una stessa grande opera, ministri che non possono agire isolatamente. Nessuno di noi salva da solo i propri fratelli. È Cristo che li salva, mediante un’azione evangelizzatrice comunitaria. Avremo bisogno, allora, di una spiritualità e di una disciplina comunitarie. Perché costituiti in un’unica famiglia di paternità e di fraternità universali, dovremo vigilare per togliere tutto ciò che può indebolire la nostra comunione con Cristo e tra di noi. Proprio perché lavoriamo all’edificazione dell’unico Corpo di Cristo dobbiamo essere solidali tra noi, gareggiando nello stimarci a vicenda, pronti all’aiuto reciproco, con un linguaggio schietto e rispettoso insieme, con un’amicizia franca e profonda. Sopra ogni cosa è importante che ci adoperiamo a «volerci bene nel Signore», che poi è la via più popolare ed efficace per dire al mondo «la lieta notizia» di Gesù Salvatore.
In questa messa crismale in cui ricordiamo l’istituzione del nostro ministero sacerdotale mi preme aggiungere un’ultima riflessione: non possiamo non fare nostra la sollecitudine per le vocazioni sacerdotali. L’amore a Cristo, al nostro presbiterio, non può non interpellare ciascuno di noi sul problema del nostro futuro, attivando anzitutto una vera e propria pedagogia vocazionale, che passa attraverso la nostra stessa testimonianza di vita. Se noi sacerdoti ci mostriamo pieni di gioia di essere stati chiamati, fieri di essere consacrati, fedeli per amore del nostro Tutto che è Cristo, non tarderanno a fiorire le vocazioni. Dobbiamo anche pensare che esse potranno sbocciare là ove non si smette mai di educare e di stimolare i battezzati a discernere e a vivere la loro variegata ministerialità nella Chiesa e per la Chiesa. Bisogna riconoscere che questa diocesi si è messa per tempo su questa strada, come lo testimonia anche l’ultima lettera pastorale. Dobbiamo proseguire con convinzione
Che la Beata Vergine delle Grazie, nostra patrona, ci aiuti a rinnovare il nostro amore all’Eucaristia: nuovo sarà il nostro amore fraterno, più numerose saranno le vocazioni sacerdotali. La rinnovazione delle promesse sacerdotali che ci accingiamo a fare  porti tanta umiltà nel nostro ministero con la consapevolezza che dobbiamo conformarci al Buon Pastore, Gesù Cristo, nostro fratello e Signore.