Omelia per la II domenica del tempo ordinario

14-01-2018

Anche in questa domenica, il Vangelo (cf Gv 1,35-42) propone la manifestazione di Gesù. Giovanni Battista lo indica ai suoi discepoli come l’«Agnello di Dio»: è Lui il Salvatore, è Lui che dev’essere seguito. Il Vangelo odierno, in sostanza, mostra la vita cristiana come un itinerario di fede, che si snoda tra manifestazione e vocazione, e presuppone tre momenti fondamentali: quello della ricerca di Gesù, dell’incontro con Lui e della sua sequela.
Il brano evangelico è importante per noi, che siamo impegnati nella preparazione del Sinodo dei Giovani, perché ci presenta la figura di Giovanni Battista nel ruolo di testimone, ossia, di una persona che, per prima, ha cercato il Signore e Lo ha incontrato. Proprio per questo, può orientare i discepoli verso Gesù.
Fermiamoci alcuni istanti su Giovanni Battista, perché dobbiamo seguirne l’esempio. Come lui, siamo chiamati ad imitare Gesù, a portare le persone a Lui, perché solo Lui è il Salvatore. Nella nostra vita cristiana di annunciatori, di educatori alla fede, di animatori di gruppi, spesso siamo presi dalla tentazione di legare le persone a noi.
Personalizziamo così accentuatamente il rapporto con i fedeli, da far dimenticare che il loro punto di riferimento è Gesù Cristo. Con il nostro modo di fare, induciamo i credenti, i collaboratori, ad amare di più il testimone, l’educatore, invece del Maestro. Non raramente, nelle nostre comunità si sentono le persone declinare la propria appartenenza a questo o a quel sacerdote, più che a Gesù Cristo. Dobbiamo imparare da Giovanni Battista ad essere educatori che conducono le persone al Signore, a vivere in comunione con Lui.
Lo stesso Gesù Cristo rimanda al Padre. Tutta la sua vita indirizza verso l’orizzonte assoluto di Dio. Gesù rivela il Padre ed apre la via a Lui. Attraverso Cristo, tutti noi troviamo la comunione con Dio: «Grazie a Lui, in un solo Spirito, noi abbiamo accesso al Padre» (Ef 2,18).
L’incontro con Gesù induce a rimanere con Lui. Pertanto lo stare con Lui genera una sovrabbondanza di vita, di condivisione, una missione. La vita di fede, quale vivere che sperimenta le profondità dello spirito di Cristo, produce in noi e nelle relazioni con gli altri una trasfigurazione.
Proprio in questa domenica, che ci presenta la vita cristiana come una ricerca, un incontro e un seguire Cristo, celebriamo la 104a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. L’abbiamo in parte celebrata il 1° gennaio, perché nella Giornata Mondiale della Pace il Messaggio del papa era dedicato agli uomini e donne in cerca di pace. Ma l’abbiamo celebrata in modo speciale ieri sera presso la parrocchia di santa Maria Maddalena
Ebbene, la frequentazione di Gesù ci aiuta non solo a trasfigurare la nostra esistenza personale, ma anche a leggere in maniera diversa il fenomeno migratorio. È proprio questo, quello che spiega papa Francesco con il suo Messaggio per questa domenica. Vivendo il mistero di Cristo, che si incarna e si fa uomo, in ogni forestiero che bussa alla nostra porta abbiamo l’occasione di incontrarci con Gesù, il quale si identifica con lo straniero, accolto o rifiutato di ogni epoca (cf Mt 25,35.43).
Celebrando la Santa Messa in Santa Maria Maddalena, a cui erano invitati i migranti, i rifiugiati, alcuni arrivati da poco in Italia, altri residenti da diversi anni, ed altri di «seconda generazione», abbiamo sentito l’invito di Gesù rivolto ai discepoli di Giovanni: «Venite e vedrete». Tramite tale invito, siamo stati tutti sollecitati ad incontrare Gesù nella gioia e a ritrovarci con Lui. Con questo ci è stato chiesto di riconoscerci fratelli, di superare le nostre paure per andare incontro all’altro, accoglierlo, riconoscerlo e conoscerlo. Ci è stata offerta l’opportunità di farci prossimo, per vedere dove e come vive. Come ha detto questa mattina papa Francesco nella basilica vaticana, nel mondo di oggi, da parte dei nuovi arrivati, accogliere, conoscere e riconoscere significa conoscere e rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi che li ospitano. E, per le comunità locali, accogliere, conoscere e riconoscere significa aprirsi alla ricchezza della diversità senza preconcetti, comprendere le potenzialità e le speranze dei nuovi arrivati, così come la loro vulnerabilità e i loro timori per il futuro.
Dal nostro incontro con Gesù, presente nel povero, nello scartato, nel rifugiato, nel ricevente asilo, scaturisce la nostra preghiera. È una preghiera reciproca: migranti e rifugiati pregano per le comunità locali, e le comunità locali pregano per i nuovi arrivati e per i migranti di più lunga permanenza.
Tutti, viventi in Gesù Cristo, formiamo un’unica famiglia di fratelli perché figli dello stesso Padre. Il sacrificio di Gesù ci purifichi e faccia di noi un cuore solo e un’anima sola.