La democrazia è per essenza evangelica

11-01-2018

LA DEMOCRAZIA È PER ESSENZA EVANGELICA

Premessa: il discorso di Alcide De Gasperi a Bruxelles, il 20 novembre 1948

Ogni testo analizzato in vista di una attualizzazione esigerebbe uno scavo storico adeguato. Infatti, difficilmente si potrebbe coglierne quell’insieme di significati utili per l’oggi senza previamente contestualizzarlo nel momento in cui è stato pensato e scritto. Poiché qui non è possibile dedicarvi molto tempo, ci si limiterà ad accennare che il discorso di Alcide De Gasperi è stato pronunciato nel 1948, appena dopo la fine della seconda guerra mondiale. Era il momento in cui, con il crollo del fascismo e del nazismo, si stava cercando di costruire le democrazie del continente europeo, fatta eccezione dei regimi comunisti e marxisti dell’Est. I principali Paesi del nostro Continente avvertivano l’urgenza di una ricostruzione spirituale, oltre che economica e politica.

Proprio in questo clima, Alcide De Gasperi si rivolge all’uditorio belga illustrando le basi della democrazia. Si ricordi che egli parlava nell’eroica terra del Belgio, primo Paese del Continente, che è stato in grado di fondare un regime veramente libero. Dal discorso dello statista trentino, sì, ma dallo sguardo europeo, che si autodefinisce «vecchio combattente del movimento sociale e politico dei cattolici», viene ai credenti di quel tempo un chiaro invito a non estraniarsi dalla vita politica, impegnandosi per la democrazia, al fine di dotarla di salde istituzioni libere, tali da costituire una potente difesa contro gli eccessi di poteri totalitari e dittatoriali. Non si sarebbe più dovuta ripetere la tragedia umana e sociale prodotta da tali Governi nefasti appena crollati, ma anche dagli Stati collettivistici comunisti.

Fra tutte le libertà democratiche, secondo Alcide De Gasperi, è fondamentale la libertà politica, vale a dire quella libertà che consente la partecipazione di tutti cittadini al governo della res publica. Senza libertà politica, sono inevitabilmente pregiudicate tutte le altre libertà essenziali, e cioè quelle «della personalità umana, della coscienza, della famiglia, delle comunità locali, della regione, delle associazioni, dei sindacati». Detto diversamente, la libertà politica difende e promuove il pluralismo sociale, la ricchezza dei corpi economici e civili, che articolano le comunità sulla base della solidarietà e della sussidiarietà, nel contesto di una visione del bene comune che non nega le autonomie, ma anzi le potenzia collegandole tra di loro.

In questo quadro, sia pure sommariamente tratteggiato ci si limiterà a considerare tre nuclei che mi paiono centrali nel pensiero di De Gasperi, rapportandoli con la crisi della democrazia contemporanea, purtroppo non di rado populista ed oligarchica:1

  1. il ruolo e le virtù del popolo in un regime democratico, ossia un regime che «insegna all’uomo l’arte di aver fiducia in se stesso e controllarsi da se stesso»;

  2. l’essenza evangelica della democrazia: l’apporto del cristianesimo;

  3. il trinomio libertà, giustizia e pace.

  1. Il ruolo e le virtù del popolo in un regime democratico

Nella cultura cattolica, specie dopo il Radiomessaggio natalizio del 1944 (=RN44) di Pio XII, che definì la democrazia quasi «un postulato naturale imposto dalla ragione»,2 è venuta consolidandosi la convinzione che è il popolo la vera sostanza, vivente e libera, della democrazia. Se il popolo fosse ridotto a coacervo informe, a massa, non sarebbe in grado di dar vita ad una democrazia. Il popolo, dunque, genera una democrazia, in quanto è unione morale e spirituale, ossia insieme di persone-cittadini, eguali per dignità, viventi in determinato territorio e contesto socio-culturale, sorrette ed animate da un autentico spirito di comunità e di fratellanza, convergenti verso un interesse o bene comune.3

De Gasperi fa suo questo indirizzo di pensiero4 affermando che, per realizzare quella giustizia sociale che gli Stati totalitari e dittatoriali concretizzano con metodi coercitivi e programmazioni pianificate, senza rispettare la libertà e la responsabilità dei cittadini, il popolo non solo deve essere dotato di libertà politica, e di una viva coscienza democratica, ma anche essere ricco di molteplici virtù, quali: il senso della responsabilità di governo; la capacità di autodisciplinare la propria libertà per lasciare posto a quella altrui; l’energia di difendere le istituzioni democratiche opponendosi a interessi di partito o di classe.

Il popolo – come spiega Alcide De Gasperi –, non è una realtà che esiste in se stessa, che ha un suo pensiero, una sua volontà, indipendentemente dai cittadini. Agisce e si muove mediante quest’ultimi. Il popolo non è nemmeno costituito da un ceto sociale, da una classe dominante, da una nazione eletta, da un gruppo politico, da un’etnia.

Ciò premesso, lo statista trentino si ferma a specificare le qualità dei cittadini-elettori. Essi debbono: a) essere incorruttibili di fronte alle menzogne dei demagoghi e ai ricatti dei potenti; b) non permettere che la propria coscienza morale sia sommersa nella marea dissolvente della folla anonima; c) avere un animo aperto all’amore della comunità, al senso della fraternità e della democrazia; d) essere guidati da un pensiero fondato sulle ragioni dell’interesse comune e sugli elementi ideali che ispirano la vita, le tradizioni e la storia della propria Nazione.

Il popolo, composto da cittadini-elettori, soggetto del vivere democratico e costituito essenzialmente da un’unione morale spirituale, non può ritenersi tale per un fatto di preminenza biologica, sociologica, politica o culturale, bensì unicamente a motivo dell’uguale dignità umana dei suoi componenti, della loro consapevolezza, della loro libera adesione a beni-valori condivisi, della loro vita solidale e retta.

Quanto allora affermato da De Gasperi si rivela di particolare attualità per la democrazia odierna, la quale è impegnata a costruire una sua nuova identità in un contesto di multireligiosità e di multietnicità, a motivo delle forti migrazioni. I flussi provenienti dal mondo arabo e africano oramai obbligano le nostre democrazie europee a porre al centro la discussione sui valori fondanti del vivere civile e democratico. Questo non dovrà avvenire mediante uno scontro distruttivo di una o di tutte le parti coinvolte, bensì svolgersi come incontro di dialogo fruttuoso tra più esperienze umane, che camminano una accanto all’altra verso il futuro e costruiscono un’identità comunitaria più ricca e dinamica attraverso uno scambio di doni. L’integrazione degli immigrati si compirà nel momento in cui tutti, ospitanti ed ospiti, entreranno in una ricerca comune di una futura identità. Nel dialogo si dovrà trovare, grazie alla comune capacità di vero, di bene e di Dio, esistente in ogni persona indipendentemente dal suo credo, la giustificazione che supporta le regole e i valori fondanti della convivenza. Al dialogo pubblico non gioveranno né l’individualismo libertario, connesso ad un soggettivismo che assolutizza il relativismo etico, né l’utilitarismo, che rende il soggetto sociale sostanzialmente refrattario all’etica.

Oggi risulta pure attuale la sottolineatura di Alcide de Gasperi che la vita democratica dev’essere organizzata sulla base di un sano pessimismo: perché il male si annida in tutti gli uomini e in tutte le classi. Non vi sono cittadini o soggetti comunitari totalmente perfetti. Non esiste il segreto di un’organizzazione sociale che renda impossibile il male, al contrario di quanto ritenevano le principali ideologie socialiste e comuniste. Infatti, i problemi sociali non si risolvono solo sulla base di una fiducia cieca nella tecnica. Ecco perché si esige una pratica di governo tesa a garantire sia la libertà politica, a tutela della democrazia, sia le altre libertà essenziali, a tutela delle persone e delle coscienze. E tuttavia, sempre secondo De Gasperi, la vita democratica non è priva di fondamenta positive su cui far leva per superare i vari problemi e coltivare un certo ottimismo. In vista di ciò, deve soprattutto imperniarsi ed organizzarsi sui pilastri della fraternità e dell’amore, che ne costituiscono il midollo etico e la radice perenne di un incessante rinnovamento che si proietta nel futuro.

Al termine di questo breve excursus sul rapporto popolo-democrazia, merita fermarsi sull’importanza della libertà politica, ossia carattere fondamentale della partecipazione di tutti i cittadini al governo della cosa pubblica, al fine della realizzazione della giustizia sociale. Per De Gasperi è decisivo che i cittadini-elettori coltivino una visione della realtà centrata sugli elementi razionali dell’interesse o bene comune, e sugli ideali che ispirano la vita, le tradizioni e la storia della Nazione. Il bene comune costituisce il punto di riferimento della giustizia sociale. È questa che costituisce la strada della sua realizzazione e che lo garantisce.

Venendo all’oggi, con riferimento alla partecipazione di tutti i cittadini al governo del loro Paese, va registrato un crescente astensionismo, dovuto ad una preoccupante divaricazione tra élite e popolo.5 Come ha sottolineato più volte Gustavo Zagrebelsky, quando l’astensionismo di massa supera il cinquanta per cento, la democrazia non è più tale e si trasforma nell’autocrazia di una parte della società sull’altra.

Occorre, pertanto, riabilitare la partecipazione politica dei cittadini. Infatti, è questa una delle poche vie capaci di porre un limite al populismo, al leaderismo e al potere del denaro sulla politica. Ma come rimotivare la partecipazione politica, come dare ai cittadini la possibilità di esprimere il proprio punto di vista?

L’attuale mondo politico, infatti, è caratterizzato dalla crisi dei partiti come strumenti di rappresentanza e di partecipazione. Si tratta di crisi di trasformazioni involutive, che li riducono sempre di più a veri e propri comitati d’affari. Da canali di comunicazione del sentire dei cittadini, i partiti si sono trasformati in strumenti personalizzati, quasi identificati con i loro leader, perdendo la funzione di sintesi delle varie istanze sociali. Non a caso, oggi si parla significativamente di «partiti senza società e, dunque, di leader senza partiti».6 Non bisogna dimenticare, però, che la rivalutazione della politica è sempre un fatto collettivo. Passa attraverso la ricomposizione dell’anima della società civile, aiutandola a ricostruire una coscienza comune, in un contesto di molteplici culture e religioni. Il discorso politico si sviluppa in maniera dialogica, creando consenso ed impegno comune.

Ma ciò che oggi si oppone ad una nuova composizione di una coscienza comune è il neoindividualismo libertario, edonistico, consumistico imperante, privo di un orizzonte etico e, quindi, asociale e amorale, che infetta il comportamento dei cittadini e dei gruppi di persone, i quali non si riconoscono nell’orizzonte più vasto della fraternità e del bene comune. Per un tale orientamento culturale, l’individuo ha il primato sulla persona, che, ben al contrario, è essere costitutivamente relazionale, fraterno e solidale.

Simili premesse culturali, assolutizzanti le libertà individuali e in cui l’arbitrio è scambiato come un diritto, non appaiono funzionali al potenziamento dello Stato di libertà, dello Stato di diritto e dello Stato sociale.

Da qui, l’esigenza di impiantare nelle istituzioni e nel tessuto sociale un’antropologia aperta al trascendente e un nuovo concetto di sviluppo integrale, comunitario, plenario, planetario, inclusivo, sostenibile. Occorre procedere alla riforma dei partiti, oltre che delle istituzioni pubbliche.

Posto che la rappresentanza è un principio irrinunciabile per le democrazie contemporanee, data l’imprescindibile necessità di affidare ad altri la gestione di questioni importanti, alle quali non ci si può costantemente e competentemente dedicare in prima persona; e data la necessità di una sintesi delle legittime istanze dei vari soggetti nel quadro delle esigenze del bene comune, la crisi dei partiti non va superata con la loro soppressione. E nemmeno cedendo a tentazioni populistiche e movimentistiche che, nonostante alcuni aspetti positivi, celano talvolta ambizioni autoritarie e leaderistiche, le quali tendono ad escludere inevitabilmente i cittadini da una partecipazione più attiva e responsabile.

Oggi è chiaro che, se si vuole essere presenti ed influenti nell’arena politica, è necessario conoscere e saper utilizzare i nuovi mezzi di coagulo degli interessi, di discussione dei problemi, di verifica delle opinioni, nonché di reperimento di fondi (fund raising), secondo i nuovi scenari legislativi e comunicativi. Non si può, dunque, immaginare di riproporre l’organizzazione dei partiti quale si configurava nel secolo scorso. Tuttavia, va senz’altro mantenuto il loro compito originario, di canali di comunicazione e di raccordo tra società civile ed istituzioni pubbliche, in vista di una sintesi degli interessi particolari alla luce del bene comune. E questo, sulla base di una vita interna di stampo democratico e partecipativo, trasparente, sempre aperta all’ascolto dei problemi emergenti, disponibile a farsene carico e a veicolarli nel circuito parlamentare. Attualmente, la costituzione di nuovi partiti sembra avvenire a partire da club, o da lobby, o da fondazioni, o da movimenti, a cui il mondo cattolico non pare interessato a prendere parte, se non in ordine alquanto sparso. Si tratta di un insieme di associazioni, organizzazioni, movimenti, istituzioni, che, come mostra l’esperienza, consegna gli stessi partiti a culture e a ideologie sempre più lontane dalla visione cristiana della vita. La conseguenza più rilevante è che le istituzioni cattoliche, o di ispirazione cristiana, stentano sempre più a trovare adeguata rappresentanza politica, e sono esposte ai venti e alle aggressioni di culture laiciste, contrarie ai valori evangelici. E questo, non solo in Europa, ma anche in Latinoamerica, dove si è verificato un progressivo abbandono dei partiti di ispirazione cristiana, con un conseguente vuoto politico che non è stato ancora colmato.7

In vista della promozione della libertà politica, fondamentale perché un Paese possa giungere alla giustizia sociale, mediante una più attiva e responsabile partecipazione alla gestione della cosa pubblica, diventa imprescindibile una formazione sociale di base dei cittadini – che nelle comunità cristiane è spesso dimenticata o appaltata ad altre agenzie – e, in particolare, una formazione specifica delle élite.8 È proprio delle classi dirigenti rinnovate, formate professionalmente ed eticamente, che – attraverso risposte più pertinenti ai grandi problemi e un dibattito pubblico non superficiale sulle grandi questioni, comprese quelle relative alla riforma delle istituzioni democratiche –, può partire uno stimolo decisivo per attivare un più alto tasso di partecipazione politica e di interesse nei confronti del bene comune, concetto spesso dimenticato o frainteso. Non basta affermare che occorre alimentare la partecipazione sociale dal basso. È importante riflettere sullo stato di salute dell’attuale organizzazione politica della società e intervenire affinché sia messa in grado di favorire la partecipazione di tutti alla vita democratica. Bisognerà pensare alla costruzione di canali inediti, all’utilizzo più intelligente di quelli messi a disposizione dalle tecnologie dell’informazione, al rinnovamento degli stessi partiti, in modo che possano raccordarsi più efficacemente con i movimenti e le organizzazioni che si sviluppano dal basso.

  1. L’essenza evangelica della democrazia

Ancora oggi è necessario sfatare il diffuso pregiudizio di una intrinseca ed insanabile antitesi tra cristianesimo e democrazia, per cui i cristiani veramente convinti non potrebbero essere democratici, ossia affidabili dal punto di vista di un dialogo pubblico non viziato da preconcetti ideologici, ma aperto e rispettoso dell’opinione altrui.

Per De Gasperi, se – come scriveva Henri Bergson – la ragion d’essere della democrazia è la fraternità, occorre riconoscere che la democrazia è, per essenza, evangelica.

Così, in una società in cui riemergono forme di laicismo esasperato e si invitano i cattolici a partecipare al dibattito pubblico come etsi Deus non daretur,9 è urgente spiegare che l’ordine delle verità della fede cristiana riconosce l’autonomia dell’ordine temporale a cui appartiene la società politica. L’ordine della verità, essendole superiore, non contrasta con l’ordine razionale, anzi l’include.

La fede nulla toglie alla vita politica e alla democrazia. Ne potenzia invece l’essenza umanistica e l’ethos, nonché quell’autonomia che le pone al servizio della globalità della persona intesa. «Fra Democrazia e Cristianesimo non solo non vi è nessuna opposizione, ma sussiste una certa connaturalità: sia nel senso che è implicita nella visione cristiana della vita un’esigenza a mettere capo nell’ordine temporale a regimi democratici quando gli ambienti storici siano arrivati a sufficiente maturità e lo suggeriscono; sia, e più ancora, nel senso che la Democrazia ha nel Cristianesimo la sua ispirazione più profonda e più vitale».10

La democrazia non deriva dal cristianesimo tramite una specie di deduzione filosofica. Germoglia soprattutto, anche se non esclusivamente, in quell’ambiente in cui il fermento evangelico ha fatto maturare e continua ad alimentare quella coscienza profonda, che induce a promuovere i valori costitutivi dell’uomo. Essi sono la nozione e il rispetto della dignità della persona e dei popoli, dignità spirituale e trascendente; la nozione di comunità-comunione;11 la certezza di una comune umanità e, quindi, della fratellanza e dell’uguaglianza. Tutto questo, accompagnato da una fede viva della propria libertà, dei propri diritti, dei propri doveri.

In forza del fatto che il fermento evangelico feconda la democrazia e rinnova la civiltà, i credenti debbono sentire il dovere di offrire costantemente il contributo del cristianesimo, della loro filosofia, della loro morale e tradizione.

Secondo il grande statista, il cristianesimo semina, in particolare, nelle democrazie: a) lo slancio delle persone verso la perfezione, propria dei figli di Dio, i quali agiscono da uomini liberi e non da schiavi; b) il concetto di persona come essere sociale e trascendente. L’uomo non è una parte dello Stato, come l’ape di un alveare o la formica del formicaio; c) l’impulso, l’elemento vitale, dell’amore.12

Il cristianesimo, in definitiva, non è un ostacolo, bensì un potente antidoto agli Stati totalitari, a quelle grandi forze economiche, finanziarie e politiche che schiacciano i cittadini e le loro libertà.

A fronte delle necessità storiche e dei poteri forti che sembrano dominare il destino dei singoli e dei popoli, il cristianesimo aiuta a non disperare dell’uomo, pur nella sua fragilità: Dio è al lavoro nelle coscienze delle persone e nella vita dei popoli.Non abbiamo il diritto di disperare!

Il Cristianesimo aiuta a superare anche l’impazienza feroce, che spesso si usa nell’affrontare i problemi e i mali che permangono troppo a lungo nei tessuti sociali, a motivo della lentezza umana a correggersi e a reagire. Da qui, la tentazione è di usare la violenza, di imboccare scorciatoie, coartando brutalmente le libertà. Ebbene, il cristianesimo aiuta ad essere pazienti, non nel senso di eludere i problemi ed evitare la fatica di risolverli, ma nel senso che richiede rispetto della libertà, attesa nella maturazione dei cittadini. La democrazia, secondo De Gasperi, è chiamata ad esercitare la virtù della pazienza specie nel campo della giustizia sociale, che richiede ripartizioni più calibrate e una circolazione più equa dei beni messi a nostra disposizione. La società va incanalata entro i due binari della libertà politica e della giustizia sociale.

  1. Il trinomio «libertà, giustizia e pace»

Secondo De Gasperi, la partecipazione alla vita politica di tutti i cittadini, e in particolare dei lavoratori, dev’essere pensata e realizzata in modo che la comunità politica non perda lo slancio verso la giustizia sociale, e la vita economica non smarrisca la certezza indistruttibile della libertà politica. In altre parole, ogni democrazia deve mantenere chiaro l’obiettivo di una giustizia sempre orientata e modellata dalle esigenze del bene comune, che è il bene di tutti i cittadini.

In una tale comunità democratica, non debbono prevalere diseguaglianze e povertà, squilibri tra i vari settori economici e sociali. I diritti sociali sono essenziali per la realizzazione di uno Stato di libertà politica. Senza la realizzazione dei diritti sociali, i diritti civili e politici vengono vanificati. Parimenti, non si può dimenticare che lo sviluppo economico è necessario e fondamentale per il progresso sociale, come per un’esistenza democratica, che prevede la partecipazione e il coinvolgimento di tutti. Il lavoro per tutti è, per usare il linguaggio di papa Francesco, antidoto alla povertà e titolo di partecipazione. Non solo. L’organizzazione della vita economica, in termini di condivisione della responsabilità e di partecipazione decisionale specie nelle medie e grandi imprese, è premessa fondamentale per l’esercizio della libertà politica, per la democrazia rappresentativa, partecipativa e deliberativa. Come sottolineava Thomas B. Bottomore, uno dei più efficaci critici dell’elitismo democratico, la democrazia strettamente politica, quando non sia sostenuta da una prassi democratica in ambito sociale ed economico, finisce per ridursi a poca cosa, precludendo ogni possibilità di futuro. Non si può immaginare che un governo democratico, che esige dal cittadino un giudizio indipendente e una partecipazione attiva nella decisione di importanti problemi sociali, abbia modo di svilupparsi, quando in una delle sfere principali della vita, che è quella del lavoro e della produzione economica, si nega alla maggior parte delle persone l’opportunità di partecipare effettivamente alla formulazione di decisioni, che per loro sono di importanza vitale.13

In breve, per Alcide De Gasperi, la democrazia sussiste, se realizza la sintesi tra libertà politica e giustizia sociale. L’analisi di un tale binomio ha fatto comprendere al grande statista, come anche ai cattolici del suo tempo, che il regime di libertà politica di un Paese non si salva senza ricostruzione o sviluppo economici. La democrazia politica – lo ha ben spiegato Thomas Burton Bottomore –, presuppone la democrazia economica. De Gasperi assegnava una notevole importanza allo sviluppo economico dei Paesi, sostenendo appunto che la giustizia sociale e la libertà politica dipendono da un adeguato sviluppo economico. Ed aggiungeva che giustizia sociale e libertà politica dipendono anche dalla pace, al punto che il loro binomio si trasforma spontaneamente nel trinomio libertà, giustizia e pace.

Dalle sue riflessioni emerge chiaramente che la salvezza della democrazia dipende, in gran parte, da una democrazia economica. Oggi il problema è proprio quello di poter disporre di un’economia «democratica». Appare, infatti, evidente che viviamo lo svuotamento dell’ideale democratico o, meglio, della democrazia sostanziale, soprattutto a motivo del mercatismo imposto dal capitalismo globale, e della radicalizzazione individualistica. Questi fattori minano le condizioni minime di sussistenza del vincolo sociale e della stessa coscienza collettiva. Prevale su tutto una nefasta ipertrofia della soggettività, che è il pendant della de-soggettivizzazione politica.14 L’unica forma di libertà accreditata sembra essere quella dello homo oeconomicus. Non pare più possibile declinare la libertà come insieme di diritti in relazione. Le seduzioni individualistiche del modello neoliberista riducono l’ideale della libertà per tutti, effettiva e non solo formale, a libertà per pochi, approdando alla democrazia di un terzo, vale a dire di una parte circoscritta, la più abbiente, dei cittadini.

Oggi, in particolare, va riconosciuto che il capitalismo finanziario, assolutizzando il profitto a breve termine, favorendo una speculazione senza limiti e soggetto a crisi ricorrenti, sta avendo influssi devastanti sulla democrazia. Pertanto, volendo analizzare la crisi politica odierna, occorre portare l’attenzione sul rapporto tra capitalismo e democrazia,15 che assume configurazioni diverse nel corso del tempo. Se, nella prima parte della seconda metà del Novecento, si è attuato un compromesso tra capitalismo e democrazia, da allora ad oggi la finanza, con la complicità della stessa politica, ha preso il sopravvento sull’economia reale e il capitalismo si è finanziarizzato , quel compromesso è stato spazzato via. Con l’avvento del nuovo capitalismo, si è modificata pure la democrazia.16

Pur riconoscendo che, con i suoi aspetti positivi, il capitalismo ha arrecato indubbi vantaggi a quei popoli meno abbienti, che hanno saputo cogliere le opportunità offerte dal mercato internazionale,17 con i suoi aspetti negativi ha danneggiato gravemente la vita sociale e la stessa economia produttiva, e sta portando i sistemi democratici a mostrare la corda, stressandoli con un progressivo ridimensionamento dei diritti sociali ed economici dei cittadini.

In seguito a ciò, le nostre società stanno diventando sempre più sperequate, insicure, conflittuali. L’unica possibile via d’uscita impone di studiare e realizzare, attraverso un processo culturale, valoriale e strutturale, istituzioni nuove, capaci di contenere l’avanzata di un capitalismo finanziario senza responsabilità sociale, per favorire, al suo posto, un capitalismo popolare e «democratico»,18 inclusivo della parte più povera della popolazione e fondato su una imprenditorialità plurivalente, entro un quadro di giustizia sociale. Nella medesima chiave, occorrono politiche globali, non soltanto per affrontare rischi altrettanto globali, ma anche per ridare forza e futuro alla democrazia. Infatti, senza politiche atte a combattere disuguaglianza, povertà e disoccupazione, e coordinate a livello internazionale, difficilmente si potrà mettere mano con efficacia alla crisi della democrazia, perché essa non è risolvibile a livello di singoli Stati nazionali.

In tale direzione, sulle orme di Jeffrey D. Sachs oltre che su quelle di papa Francesco, va rilevato che, «senza un rinnovato ethos della responsabilità sociale non potrà esserci una significativa e duratura ripresa economica»,19 come anche non si potrà assistere al rilancio dell’ideale di una democrazia sociale, partecipativa, inclusiva. La rappresentanza politica si avvale, infatti, di rappresentanze sociali a lei previe, ben definite dal punto di vista identitario, profondamente radicate nei bisogni della popolazione, rinnovate nella prassi, secondo le mutate circostanze e la cogenza della legalità.

  1. Conclusione: non un’Europa impaurita, bensì protagonista

Nella conclusione del suo discorso a Bruxelles, come già accennato, De Gasperi riconosce che, in vista di una democrazia compiuta, non è sufficiente ricercare la sintesi del binomio «libertà politica-giustizia sociale». Occorre che esso si sviluppi nel trinomio: libertà, giustizia e pace. Tre valori interdipendenti e solidali. Per salvare la libertà è necessario salvare la pace. Chi punta a svuotare le democrazie parlamentari, ad arrestare la ricostruzione economica dei Paesi europei, al lato pratico compie reali operazioni belliche, perché distrugge la pace. A chi desidera difendere la libertà politica non resta che impegnarsi a lavorare per lo sviluppo economico di tutti i Paesi europei. Ciò sarà possibile solo ritrovando uno spirito europeo unitario. In vista di tale obiettivo, bisogna lottare contro le forze istintive ed irrazionali, la mistica del materialismo integrale, facendo appello allo spirito della civiltà che accomuna tutti indistintamente. L’Europa troverà la sua salvezza in uno spirito eroico di ragione, sentimento, libertà, lavoro e di sacrificio. Sino a qui Alcide De Gasperi.

In tempi più vicini a noi, papa Francesco ci ricorda che l’Europa è stata una delle culle della democrazia. Questa, però, non è una conquista definitiva. All’Europa tocca, dunque, la missione di mantenere viva la democrazia dei suoi popoli, specie coltivando l’unità nella diversità, come recita il suo motto. Una dinamica di unità-particolarità consente di contrastare efficacemente quella concezione omologante della globalità, che «colpisce la vitalità del sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e costruttivo, delle organizzazioni e dei partiti politici tra di loro».20

La realtà della democrazia europea potrà essere conservata e potenziata, in questo momento storico, soprattutto impedendo che la forza espressiva dei rispettivi popoli sia schiacciata dalla «pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti».21

Il futuro dell’Europa, per papa Francesco, dipenderà anche dalla capacità dei suoi popoli non soltanto di fondarsi sulla persona, concepita in maniera globale, ma anche di costruire le condizioni della sua fioritura in termini di libertà e di solidarietà. Fra tali condizioni, si possono richiamare le seguenti: l’educazione, chiamata ad offrire una cultura umanista e tecnica adeguata; la famiglia unita, fertile ed indissolubile; l’impegno a favore dell’ecologia; politiche di occupazione che ridanno dignità al lavoro; una seria politica concertata, relativa alla questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero.22

Precondizione del successo e del superamento di soluzioni particolaristiche al problema è che l’Europa sia «in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti».23

In definitiva, cittadini e deputati europei sono chiamati a lavorare insieme, alacremente, con impegno e dedizione, al fine di costruire un’altra Europa. Più precisamente, un’Europa «che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!».24

1 M. Calise, La democrazia del leader, Laterza, Roma-Bari 2016; P. Mair, Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti, Rubbettino, Soveria Mannelli 2016.

2 Un simile pronunciamento di Pio XII sulla forma di governo è parso a molti come una parziale riduzione della tradizionale «indifferenza» della Chiesa rispetto alle diverse forme di gover­no a favore di quella democratica. «Parziale», perché la tesi dell’indifferenza, esposta soprattutto nelle grandi encicliche sociali di Leone XIII, è pure presente nel magistero di Pio XII. Fra coloro che interpretano in tal senso il suo Radiomessaggio natalizio (=RN44) è Pietro Pavan, secondo il quale in esso si trova un’implicita indicazione di preferenza per il regime democratico (cf P. Pavan, La democrazia e le sue ragioni, Studium, Roma 1958, pp. 200-201). Per G. Saraceni, invece, il pronunciamento del pontefice e il suo contesto non fanno pensare ad un riconoscimento autoritativo della forma democratica di governo, come forma ideale più consona alla digni­tà dell’uomo e al cattolicesimo (cf G. Saraceni, Chiesa e comuni­tà politica, Giuffrè, Milano 1983, p. 144).

È soprattutto nel RN44, in occasione del sesto Natale di guerra, che Pio XII affron­ta decisamente e finalmente il tema della democrazia. Era la prima volta, infatti, che il supremo Magistero della Chiesa assumeva tale argomento come oggetto di insegnamento ufficiale. In tale radiomessaggio, la democrazia viene esaminata nei suoi elementi essenziali, nei suoi rapporti con la natura dell’uomo, con l’epoca storica in cui si vive, con il Vangelo, con l’opera della Chiesa, con la sua attuazione a raggio mondiale. L’intento del pontefice non intende disquisire su particolari tecnici e giuridici, sull’organizzazione delle istituzioni democratiche dello Stato, come farebbe uno studioso di scienze politiche. Egli si interessa piuttosto allo spirito di una vera democrazia, all’anima, senza la quale la democrazia verrebbe a ridursi a puro apparato, a mere regole formali. Per questo, dopo aver affermato che la Chiesa non è pregiudizievolmente contraria alla forma di governo democratica, come ad altre forme di governo, purché atte a promuovere il bene dei cittadini, dichiara: «Noi indirizziamo la nostra atten­zione al problema della democrazia, per esaminare secondo quali norme deve essere regolata, per potersi dire una vera e sana democrazia, confacente alle circostanze dell’ora presente; ciò indica chiaramente che la cura e la solle­citudine della Chiesa è rivolta non tanto alla sua struttura e alla sua orga­nizzazione esteriore, – le quali dipendono dalle aspirazioni proprie di cia­scun popolo, – quanto all’uomo, come tale, che, lungi dall’essere l’oggetto e un elemento passivo della vita sociale, ne è invece, e deve esserne e rima­nerne, il soggetto, il fondamento e il fine» (RN44 n. 5). Detto diversamente, Pio XII vuole parlare della democrazia in senso morale e personalista, rapportandola, cioè, alla persona umana, alla sua natura di essere libero, responsabile, sociale, che ha il compito morale di realizzare se stessa e che, proprio per questo, dà anche origine a molteplici società. Vuole, in altre parole ancora, parlare della democrazia in relazione diretta con la dignità e con i fini della persona, per esplicitarne le condizioni essenziali che la rendono più conforme e più funzionale alla cre­scita globale dell’uomo.

3 Sul pensiero di Pio XII relativamente alla democrazia, cf M. Toso, Welfare Society, LAS, Roma 2003, pp. 127-150.

4 Su Alcide De Gasperi si leggano almeno: A. Riccardi, Pio XII e Alcide De Gaperi. Una storia segreta, Laterza, Roma-Bari 2003; A. Canavero, Alcide De Gasperi. Cristiano, democratico, europeo, Rubbettino, Roma 2003; F. Malgeri, De Gasperi nella storiografia italiana, in Aa.Vv., Su De Gasperi. Dieci lezioni di storia e politica, (a cura di G. Tognon, FBK Press, Trento 2013, pp. 213-251; G. Sangiorgi, De Gasperi, uno studio. La politica, la fede, gli affetti famigliari, Rubbettino, Roma 2014.

5 Tale divaricazione è dovuta a più fattori. Un fattore culturale, nel senso che le classi dirigenti si formano spesso in ambienti, che coltivano visioni lontane dalle esigenze della moltitudine, per cui, alla sperequazione del tenore di vita e dei mezzi, si accompagna la distanza di idee e di mentalità. In secondo luogo, un fattore economico, dato che, quando la politica si piega ad interessi particolari, non ha più come priorità la soluzione di problemi spesso devastanti, quali le crescenti disuguaglianze socio-economiche e le situazioni di profondo disagio in cui vive parte della popolazione. In terzo luogo, la sua spettacolarizzazione o mediatizzazione, che non raramente fa prevalere leadership inconsistenti, prodotte da campagne pubblicitarie martellanti e dispendiose. In quarto luogo, si hanno congiunturalismo e visione a breve termine, che, fissando il presente come unica dimensione del tempo, non consentono uno sguardo prospettico e strategico di lunga gittata ponendo l’occupazione di spazi come fine ultimo dell’attività politica, sociale ed economica. Peraltro, va rilevato che tutti questi fenomeni degenerativi non si manifesterebbero o, comunque sia, non avrebbero l’attuale virulenza, se non fosse presente ed operante uno scadimento fondamentale, vale a dire la perdita del primato della politica a favore dell’economia, situazione creatasi con la colpevole complicità dei vari Governi.

6 Cf I. Diamanti, Democrazia ibrida, Laterza-Gruppo Editoriale l’Espresso, Roma-Bari 2014, p. 17.

7 Cf I. Miró-J. L. Ardèvo, La necessità di nuovi soggetti politici e di nuovi progetti culturali, in Pontificium Consilium pro Laicis, Laici oggi. Testimoni di Cristo nella comunità politica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 152-155.

8 Su questo si rimanda a M. Bovero-V. Pazé, La democrazia in nove lezioni, Laterza, Roma-Bari 2010.

9 Cf E. Rusconi, Come se Dio non ci fosse, Einaudi, Torino 2000.

10 Ib., p. 219.

11 Cf ib., pp. 219-222.

12 In queste sottolineature Alcide De Gasperi appare in sintonia con Jacques Maritain (cf J. Maritain, Cristianesimo e democrazia, Vita e Pensiero, Milano 1977) ma anche con l’italiano Pietro Pavan (cf P. Pavan, La democrazia e le sue ragioni, Studium, Roma 2003, con studio introduttivo di Mario Toso).

13 Cf T. B. Bottomore, Elites and Society, C. A. Watts & Co., London 1964. Tr. it.: Élite e società, Il Saggiato­re, Milano 1967, p. 158.

14 Cf G. Preterossi, Ciò che resta della democrazia, Laterza, Roma-Bari 2015, p. 176.

15 Sul rapporto fra capitalismo e democrazia, nel corso della seconda metà del Novecento, è essenziale consultare il volume di W. Streeck, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli, Milano 2013.

16 Con l’espressione capitalismo finanziario, si intende un sistema in cui la «finanza, una volta ancella dell’industria, ha preso il sopravvento come forza motrice del capitalismo» (R. J. Shiller, Finanza e società giusta, Il Mulino, Bologna 2012, p. 15).

17 Per una visione sintetica, chiara ed efficace del capitalismo moderno nelle sue molteplici forme, si veda: P. Bowles, Il capitalismo, Il Mulino, Bologna 2009.

18 Di capitalismo popolare e democratico parlava, a suo tempo, don Luigi Sturzo. Su questo si veda: G. Palladino, Governare bene è possibile. Come passare dal populismo al popolarismo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2015.

19 J. D. Sachs, Il prezzo della civiltà. La crisi del capitalismo e la nuova strada verso la prosperità, Codice, Torino 2012, p. 5.

20FRANCESCO, Discorso al Parlamento europeo (25 novembre 2014).

21 Ib.

22 Cf ib.

23 Ib.

24 Ib.