OMELIA per la DOMENICA DELLE PALME 2016

Faenza, Basilica Cattedrale - 20 marzo 2016
20-03-2016

La domenica delle Palme  è il giorno dell’entrata trionfale di Gesù Cristo in Gerusalemme. È accolto come re. Il Vangelo di Luca lo presenta proprio così: «Benedetto colui che viene – il re – nel nome del Signore» (Lc 19, 28-40). Ma noi tutti sappiamo che Egli non viene in questo mondo come un re terreno, come capo di una monarchia o come un comandante di eserciti, come un governatore o un amministratore della giustizia civile. Il compito di Colui che entra nella città cavalcando un asinello è ben diverso rispetto a quello di un capo delle Nazioni. Il suo regno appartiene ad un altro ambito rispetto a quello politico. L’azione di Cristo si pone su un piano prettamente religioso e morale. Egli viene a redimere e a salvare il mondo trasformando le coscienze, senza conquiste territoriali e senza l’uso della forza, dei missili e dei droni. La sua regalità trascende quella dei sovrani che hanno la potestà di comandare secondo ragione, facendo leva sul diritto, utilizzando anche la forza coercitiva.

La regalità di Cristo è quella di Colui che è Figlio di Dio. La sua regalità è data dal suo essere l’Amore di Dio. Cristo è re perché è Dio, è vita divina. Cristo manifesta la sua vera identità e la sua peculiare missione – differenti da quelle di un monarca o di un sovrano umano – in una maniera sconvolgente, per noi impensabile. Pur essendo Dio, si incarna, e non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma svuota se stesso, assumendo la condizione di un servo, facendosi obbediente sino alla morte di croce (cf Fil 2, 6-11).

In tal modo, comunica, all’umanità ferita dal peccato, ed orgogliosa, la stessa vita di Dio, la sua forza di amare, di opporsi al male, al peccato, all’ingiustizia, alla violenza. Gesù Cristo governa e cambia l’umanità non tanto mediante leggi statali, emanate e codificate in un ordinamento giuridico, bensì comunicando se stesso, il suo Spirito d’amore, lo Spirito di Dio. La legge fondamentale della vita cristiana è l’amore. E questo non è custodito e reperibile nelle banche o nelle Borse, come la BCE o la Borsa di Milano. Cristo è re dei cuori attraverso il dono di sé, offrendo all’uomo peccatore l’amore misericordioso del Padre. Salendo sulla croce manifesta quanto siamo amati da Dio e sollecita ciascuno di noi a rispondere a tale dono. Dio ci ama al punto da consegnare il Figlio alla morte. La morte  di Gesù è  una grande prova di amore che Il Padre e Gesù hanno compiuto per l’uomo. «Dio – spiega san Giovanni – ha tanto amato il mondo da consegnare il suo figlio unico» (Gv 3,14). E san Paolo commenta: «Ha amato me e si è dato per me» (Gal 2,20). Le braccia spalancate in croce non sono le braccia di uno che si arrende, ma l’abbraccio permanente di Cristo sul mondo a nome di Dio. 

La crocifissione del Figlio non è solo un fatto tragico, umanamente doloroso. È la via della redenzione e della trasfigurazione dell’umanità. Mediante l’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù, Dio immette se stesso nell’umanità, nella storia, nell’esperienza della morte, per riviverle, risignificarle. E così, l’uomo non è più solo a lottare contro il peccato, l’ingiustizia, a passare attraverso il tunnel buio della morte. Cristo cammina con noi, ci insegna ad amare sino alla fine.

Ogni anno siamo sollecitati a schierarci dalla sua parte, a prendere posizione, per essere persone nuove, ossia persone in piena comunione col Padre, più precisamente servi crocifissi. La precondizione di una nuova primavera nella Chiesa e nelle nostre comunità è rappresentata dalla croce, segno di un dono senza misure, mediante lo svuotamento del proprio io. Cristo è un re crocifisso. Egli regna dall’alto della croce, effondendo sul mondo il suo Spirito d’amore. I credenti possono «regnare», al pari di Lui, percorrendo la stessa via, vivendo il suo dono totale, abbracciando la croce, assumendo la condizione di uno che serve.

La domenica delle Palme, che ci parla della regalità di Cristo ci fa comprendere che questa non esiste senza la croce, ossia senza lo svuotamento del proprio essere, senza il dono incondizionato di sé al Padre misericordioso, divenendo servi dei propri fratelli. Apprendiamo da Cristo l’amore, vivendo in comunione con Lui. Riceviamo da Lui la vita nuova. L’amore – come agápe – è la vita nuova.

L’evangelista Giovanni così scrive nella sua Prima Lettera: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli […] Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (3,16.18).

Siamo servi crocifissi. Servire regnare est! Solo così condivideremo la gloria del Risorto e la sua regalità.