Riflessione al termine della VIA CRUCIS CITTADINA

Faenza, Basilica Cattedrale - 23 marzo 2016
23-03-2016

Dopo aver terminato la Via crucis cittadina fermiamoci a riflettere alcuni istanti. La croce che appare a noi come segno di morte e di martirio è, più profondamente, annuncio che là ove essa è posta è iniziata una nuova vita, una nuova storia, una rivoluzione nella cultura, nella vita delle persone. I nostri padri allorché volevano indicare che in un determinato territorio era giunto il cristianesimo, con il suo influsso benefico e il suo genio di civilizzazione, piantavano una croce. Non tanto come segno della conquista di un Paese, quanto piuttosto come segno che in esso Cristo è arrivato, conosciuto, amato, vissuto come principio e fonte di un nuovo essere persone, popolo ed umanità. Portare la croce al collo è segno di appartenenza a Cristo, vuol dire essere suoi, vivere Lui. Per cui dobbiamo ritenere che là ove noi oggi vediamo innalzata o posta una croce, su un monte o su una chiesa, si riteneva di abitare in un luogo raggiunto dall’evangelizzazione, dalla Buona Novella della salvezza dell’uomo mediante l’Amore (amore con la A maiuscola!).

L’uomo si salva, cresce in pienezza facendo della sua esistenza un dono, divenendo come Gesù Cristo uno che non conserva la propria vita trattenendola, ma donandola, svuotandola per Dio e il prossimo. Per mezzo della Croce di Cristo, amando come ama Cristo, vinciamo il maligno, sconfiggiamo l’odio, costruiamo ambienti di vita strutturati dalla logica del dono e dalla fraternità.

La croce posta nei crocicchi delle strade, nelle case, nelle scuole, nelle sale pubbliche, nelle stanze da letto, nei conventi ricordava alle persone che ovunque fossero la loro vita era, dunque, destinata ad essere diversa a causa dell’amore vissuto da Cristo che è salito sulla croce. Doveva essere un’esistenza unita a quella del Figlio di Dio, arricchita della capacità di amare e di opporsi al male quale solo Gesù possiede. Dove campeggiava la croce lì doveva esistere una nuova storia, caratterizzata dall’impegno di un amore senza limiti, da una lotta al male e alla degradazione dell’uomo e della donna sino alla morte.

Perché la croce là ove era posta doveva essere segno di una nuova umanità, di riscatto e di liberazione per tutti? Perché la morte di Cristo in croce è momento in cui si compie il rinnovamento dell’umanità. È il luogo ove si manifesta sì l’amore misericordioso del Padre ma anche un’umanità – quella di Cristo – nella sua massima comunione con Dio, disposta a lottare contro il male, la violenza, sino ad immolarsi. Cristo che muore in croce è la nostra umanità, da Lui assunta, che si riconcilia con Dio e con i fratelli e viene divinizzata, ossia dotata della capacità del Figlio di opporsi al peccato e di perdonare, di essere in comunione con il Padre. Cristo, morendo sulla croce, opponendosi con tutto se stesso al male, alla divisione, ai conflitti, ci rinnova come umanità, ci dà il potere di diventare figli di Dio (cf Gv 1, 12). Ci purifica da tutte le nostre impurità e da tutti i nostri idoli. Ci dà un cuore nuovo, mette dentro di noi uno spirito nuovo, toglie da noi il cuore di pietra e ci dà un cuore di carne (cf Ez 36, 18-28).

Dopo la processione cittadina che ci ha visti seguire la croce di Cristo, portata processionalmente, ritorniamo nelle nostre case coscienti del perché nella nostra città, negli edifici pubblici, nelle nostre stanze troviamo la croce. Non è lì per semplice ornamento. È lì per dirci sempre e ovunque che dovremmo vivere in linea con la vita nuova che Cristo ci ha guadagnato con la sua morte e risurrezione, donando il suo Spirito d’amore. E cioè: nella famiglia, nella scuola, nella città, nel mondo del lavoro, nella finanza, nell’economia, nei mezzi di comunicazione sociale, nei luoghi di incontro e di svago.

Siamo orgogliosi e degni del Crocifisso tutti i giorni della nostra vita. Non abbiamo paura di essere e di dirci cristiani.

Mentre portiamo in e con noi il pensiero della Croce di Cristo, pensiamo con commozione a tanti nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati e uccisi a causa della loro fedeltà a Cristo. Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che in linea di principio tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove concretamente i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Ricordiamoli e preghiamo in modo particolare per loro. Essi ci appartengono, tutti facciamo parte del Corpo di Cristo. Sul Calvario, ai piedi della croce, c’era la Vergine Maria (cfr Gv 19,25-27). È la Vergine Addolorata. A Lei affidiamo il presente e il futuro della Chiesa, di tutte le comunità cristiane, perché tutti sappiano sempre scoprire ed accogliere il messaggio di amore e di salvezza della Croce di Gesù.