Famiglia e Scuola

Faenza, Aula dei Santi - 18 marzo 2016
18-03-2016

Per una cultura della misericordia nei confronti della scuola e del suo progetto educativo. L’esperienza della misericordia è divinizzante ed umanizzante tutta la vita umana, tutte le attività, compresa l’educazione.

In quest’anno giubilare siamo in particolare invitati ad educare e a fare cultura animati dalla Misericordia di Dio. Come il buon Samaritano, occorre sapersi chinare, prendersi cura degli altri, dei destinatari. Nel contesto scolastico, una forma eminente di misericordia o di carità è proprio l’offerta di un pensiero profondo, di un metodo di studio e di ricerca della verità, di un relazionarsi indirizzato dal pro-essere, di una sapienza e di una pedagogia che pone al centro la persona nella sua integralità. Anche il sapere, la scienza, la cultura, l’educazione possono essere carità, misericordia.

In questo breve saluto mi permetto di segnalare come vivendo l’esperienza della misericordia, ossia l’esperienza di una vita divina donata ed accolta – una vita che trasfigura, e divinizzando umanizza – è possibile scorgere un metodo di approccio conoscitivo della realtà, che potremmo definire metodo esperienziale e realista. L’esperienza di fede non impoverisce la nostra professionalità, bensì la arricchisce.

All’interno della misteriosa e insondabile esperienza della misericordia, siamo sollecitati a modellare meglio la nostra razionalità e cultura. Come? Come realtà caratterizzate dal «saper ricevere», dall’accogliere ciò che ci è donato e troviamo e non inventiamo.

L’esperienza della Misericordia, ove ci apriamo a Colui che viene per primo incontro a noi, invita al riconoscimento del primato dell’esperienza dell’essere-cercati da Dio. Poi, viene la consapevolezza del nostro limite e la richiesta di perdono. L’incontro personale con Dio è l’incontro di due «tu» che precedono qualsiasi pensiero strutturato sulla relazionalità tra la divinità e l’uomo. Questo metodo di riconoscimento di una relazionalità basica, previa ad ogni pensiero aprioristico, è fondamentale per cogliere l’essenza di ogni scuola e il suo rapporto con la famiglia. Non bisogna cercare la relazione cercando di gettare un ponte tra scuola e famiglia. Il ponte tra famiglia e scuola esiste già.

Si tratta di relazioni caratterizzate dalla reciprocità e dall’interdipendenza.

Mettendo a frutto un approccio realista, la scuola viene colta, innanzitutto, nell’integralità dei suoi soggetti costitutivi, senza esclusione di alcuni di essi; parimenti, è considerata come realtà non isolata, autoreferenziale, bensì interrelata con le altre realtà sociali, sebbene espressione autonoma della società civile.

Detto altrimenti, la pratica di un approccio realista abilita a restituire la scuola alla totalità dei suoi soggetti naturali, non solo ai docenti, agli studenti, ai dirigenti-gestori, ma anche ai genitori e alla comunità civile e religiosa. La scuola è anche dai/dei genitori e dalla/della comunità civile, dalla/della comunità ecclesiale. Essa è strutturata ed espressa nella sua esistenza di relazionalità e nella sua razionalità educativa anche dall’esperienza originaria e originante della genitorialità e della vita comunitaria della società civile e della società religiosa. L’esperienza esistenziale della famiglia concorre di fatto a costituire l’essere-identità della scuola dal di dentro, come una concausa primaria. Se ciò non è percepito e concretamente vissuto nel quotidiano, occorre – coerentemente con una lettura e con una interpretazione realistiche – esplicitarlo e «formalizzarlo».

In primo luogo, l’esperienza relazionale della dualità genitoriale e della comunione familiare dev’essere fatta entrare sempre di più nella razionalità educativa della scuola, sia come criterio di giudizio critico sulla realtà che circonda, sia come criterio ri-costruttivo della stessa, a pari titolo della razionalità disciplinare portata dal docente e dal carisma unificante e specifico dell’Ente gestore. Ciò deve avvenire ad opera dei genitori stessi – che non possono mai delegare del tutto le loro responsabilità – e delle associazioni che li rappresentano, e animano democraticamente e partecipativamente la scuola. In secondo luogo, analogamente a quanto detto a proposito dei genitori, occorre far ricadere sulla razionalità educativa della scuola l’esperienza comunitaria della dimensione religiosa, sia sul piano della visione della vita, sia sul piano della responsabilità della testimonianza.

Un’altra considerazione. Nella scuola e nella corrispettiva educazione il fine è rappresentato dalla crescita integrale della persona. Il mezzo, omogeneo rispetto all’obiettivo, è un’educazione disciplinare, caratterizzata da una razionalità aperta, dilatata, globale, in sintonia con la dimensione religiosa.

Se questo è il fine specifico della scuola, essa non può che essere il luogo privilegiato di un’«ermeneutica» della razionalità scolastica, che da individualista ed immanente deve divenire sempre di più relazionale e aperta alla trascendenza. Dal punto di vista pratico, ciò impegna a:

1) promuovere la professionalità docente ad un’attenzione di tipo «epistemologico», ossia al desiderio e alla capacità di praticare la propria disciplina, trasmettendo molto di più dei semplici contenuti nozionistici, aprendola all’esperienzialità, portandola oltre la razionalità logico-scientifica;

2) produrre, per conseguenza, cultura educativa, movendo dalle esperienzialità di vita, specie quelle tipiche della relazionalità, tra le quali, come già sottolineato, non va esclusa quella genitoriale;

3) inserire, accanto alla verità logico-deduttiva, la verità intesa come dono gratuito e imprevedibile, che è ricevuto dal di fuori, dagli altri, dall’Alto.

Soprattutto il rimando all’esperienzialità, al primato della vita sul sapere, e l’approfondimento metafisico della relazionalità scuola e famiglia appaiono fulcri della costruzione di una scuola più fedele alla sua identità, alla complessità dei suoi soggetti e alla sua vocazione pedagogica.

In particolare, da una lettura «realista» dell’essere relazionale della scuola si evince la necessità di una coscientizzazione circa: a) il potenziamento o allargamento della razionalità educativa: la tradizionale cultura umanistico-scientifica va inserita entro un contesto di razionalità più ampia, più concreta, che è quella legata all’esperienzialità della vita, la quale consente di superare le aporie e le dicotomie tipiche della morale post-moderna (ad esempio, la separazione tra etica personale ed etica pubblica, tra etica e verità, tra etica della vita ed etica sociale, tra etica e finanza, ecc.).

L’uomo post-moderno è un essere prigioniero della propria autoreferenzialità solipsista che lo priva dell’alterità vera. Esso non è più un io-in-relazione. È esperienza di sé che si consuma in una specie di autodigestione che ne divora la relazionalità che lo proietta verso la trascendenza orizzontale e verticale.

In certa maniera, la rivalutazione del soggetto-genitori, per via realista, conferma e rafforza l’intuizione e l’impegno delle associazioni dei genitori.