[mag 28] Omelia – Messa di Pentecoste

28-05-2023

Eccellenza Reverendissima Mons. Claudio Stagni, cari parroci e presbiteri, cari fratelli e sorelle, cari scout che vedo numerosissimi,

sono giorni di lavoro e di fatica, di lotta contro il fango e l’acqua per recuperare case e spazi alla vita. Si prova stanchezza, ma vince l’amore: l’amore è più forte delle grandi acque. Vince la forza reattiva di quanti hanno perso casa e assieme a tanti volontari, venuti da ogni parte, sono impegnati a recuperare le loro abitazioni e a sanare le ferite dell’anima. La situazione è grave, le nostre città e i nostri territori sono stati colpiti da una forza spropositata e imprevedibile.

Perché, allora, abbiamo confermato l’incontro di preghiera nella Pentecoste e abbiamo invitato il più possibile a questa S. Messa? Non ci è passato per la mente il pensiero che avremmo rubato tempo a un lavoro più utile, qui fuori, nelle strade e negli scantinati, accanto a chi soffre e ha il cuore in tumulto.

Siamo qui, perché davanti a necessità e situazioni superiori alle nostre forze o riconosciamo che solo l’aiuto decisivo che viene dall’alto ci può salvare o non riusciremo ad affrontare questa nuova emergenza, dopo quella della pandemia e della guerra, nel modo giusto. Se ogni nostra azione non ha in Dio il suo principio e compimento è come se ricostruissimo le case e le relazioni tra di noi e l’ambiente sulla sabbia (cf Mt 7, 26). Ecco perché siamo qui a invocare, come abbiamo fatto con la Sequenza, e a ricevere lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù. Senza lo Spirito d’amore e di verità di Gesù Cristo possiamo fare poco o nulla (Gv 15, 5).

Quello Spirito santo che ha fortificato gli apostoli tristi ed impauriti nel Cenacolo e li ha inviati nel mondo; quello stesso Spirito, questa sera, è soffiato da Gesù su di noi suoi discepoli (cf Gv 20, 19-23). Ci colma della vita di Dio. Il Cielo viene ad abitare in noi e diventa la nostra dimora.  L’effusione universale dello Spirito ci raduna nell’unità ove le membra costituiscono un corpo solo.  Nel corpo di Cristo vi sono diverse attività, ma uno solo è lo Spirito (cf 1 Cor 12, 3b-7.12-13).  A fronte della tragedia dell’alluvione, è lo Spirito che ci ha fatti uscire dal nostro guscio e ci ha fatti convenire a fianco di tanti fratelli e sorelle, per portare conforto, incoraggiamento, forza di rialzarsi.

Raccolti in questa Cattedrale, come gli Apostoli, riceviamo lo Spirito del Figlio e del Padre. Riconosciamo che è presente in mezzo a noi, che è in noi. Gesù Cristo che ci visita ci dice: «Ricevete lo Spirito Santo». Ascoltiamo la sua voce: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14, 27).

Quando le porte dell’anima sono chiuse, quando allo sguardo è sottratta la prospettiva del futuro, quando la morte sembra aver messo l’ultima parola sul destino dell’uomo, viene all’improvviso lo Spirito Santo, viene il Signore per stare in mezzo a noi e per donarci la sua pace, la sua forza creatrice e la speranza!

La «pace del mondo» è nascondimento delle ferite, è manifestazione di potenza violenta sugli altri e sulla natura, è risoluzione superficiale dei problemi. Lo spirito del mondo accontenta le orecchie e gli occhi, assopisce e distrae il pensiero cercando risposte superficiali e appariscenti. La pace del mondo, ci dice che siamo noi il centro e che solo noi possiamo creare la nostra pace e salvare.

Il Risorto è l’opposto: viene e mostra le sue ferite, non le nasconde. Non ci nasconde le difficoltà e i problemi della vita, ma ci mostra che il male non ha l’ultima parola per chi crede in Lui, per chi ha fede che Lui vince la morte. Ci mostra che Lui solo può donarci la pace di cui abbiamo bisogno, e ce lo mostra con un atto supremo di amore.

Egli ci dona pace, anche in queste settimane, mostrandosi in mezzo a noi e attraverso di noi che siamo il suo corpo, come il Cristo che soffre con noi, che sposta il fango con noi, che progetta il futuro con noi. Sì, anche attraverso di noi, anche attraverso i “burdel d’la paciara” come ha chiamato i suoi studenti il preside dell’Istituto Oriani, il Signore prende carne.

In questi giorni, visitando il territorio della nostra diocesi e toccando con mano la devastazione e la disperazione, mi ha colpito, oltre l’incontro commosso con le persone, la continua compagnia di Maria, nostra madre, raffigurata in immagini sporche di fango. Con don Michele Morandi, vicario generale, che mi ha accompagnato abbiamo provato a rispondere alle domande della gente: «Dov’è il Signore?», «Dov’è sua Madre»? Il Signore Gesù e Maria sono con noi, camminano con noi in mezzo alla gente. Come noi hanno le scarpe e le vesti sporche di fango.  Gesù è negli alluvionati. È nelle persone, negli stessi volontari che li aiutano come buoni samaritani.

Lo Spirito Santo che ci viene donato, oltre che Spirito d’amore, è Spirito di verità.

È lo Spirito dei pellegrini, capaci di entrare in dialogo con la realtà e con gli altri, con un cuore sempre in attesa e in ricerca di relazioni nuove, giuste, con le persone e con l’ambiente. È uno spirito di conversione. Lo Spirito di verità ci sollecita a costruire un mondo nuovo, nella ricerca di ciò che è giusto, bello e buono e viene da Dio. Il nostro prodigarci per gli alluvionati e per l’ambiente sarebbero vani se non modificassimo la nostra scala di valori, se non la capovolgessimo. Solo così si potrà rispondere ai tanti interrogativi che possono sorgere nel nostro cuore: viene forse da Dio questa devastazione? È forse Dio la causa di questi morti e di questa sofferenza? Cari fratelli e sorelle non mi sembra che possiamo esprimerci così. La calamità alluvionale di questi giorni ha una serie di concause. E fra le tante cause delle due alluvioni che abbiamo subito dobbiamo guardare senza ipocrisia anche al nostro rapporto con la natura. Dobbiamo smetterla di pensare e di agire da dominatori: noi siamo parte di questa natura. Chi bistratta la natura o non se ne prende cura finisce per subirne i danni. L’uomo è chiamato da Dio a coltivare e a custodire, non a rubare e a depredare per il proprio tornaconto. Lo spopolamento, poi, ha pure la sua incidenza. Abbiamo bisogno, come scrive papa Francesco nella Laudato sì, di instaurare una nuova relazione con il creato:

 

La terra ci precede e ci è stata data.  […] Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. […] Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo (Laudato sì, § 67).

Cari amici, mentre ringrazio di cuore tutti, in particolare i giovani che con il loro atteggiamento ci hanno insegnato a cambiare il mondo – vorrei abbraciarvi uno ad uno -, esprimo la mia vicinanza paterna e quella della nostra Chiesa a quanti sono colpiti da questa tragedia: la pace del Risorto, la sua speranza sia sempre con voi.

Preghiamo perché lo Spirito di amore e di verità soffi, e trasformi le relazioni con noi stessi, con il creato, fra di noi e con Dio, orientandole alla costruzione del bene comune del Corpo di Cristo e della società.

 

                                                    + Mario Toso