[mag 08] Intervento – Inizio Visita pastorale a Marzeno

08-05-2024

Cara comunità di Marzeno, Rivalta e Sarna,

come emerso ampiamente dalle vostre relazioni, il lavoro di preparazione di questa Visita – ancora prima del suo inizio effettivo – vi ha messo nella condizione di incontrarvi, di stare insieme, di pregare e riflettere sulle prospettive delle vostre comunità. Mi sembra di leggere dalle vostre relazioni sia la bellezza per aver scoperto questa possibilità di condivisione, sia la difficoltà di rendere questo stile pastorale uno stile permanente. Questo metodo o, meglio, questa modalità di vivere è ciò che stiamo imparando a chiamare cammino sinodale.

Innanzitutto, cammino. Non siamo perfetti: le relazioni mostrano alcune difficoltà, alcune problematiche che dovranno essere affrontate nei prossimi mesi. Non siamo perfetti ma siamo incamminati, non siamo fermi. Mentre ci muoviamo per essere maggiormente uniti nella comunione con Gesù Cristo e nella sua missione diventiamo più consapevoli delle criticità relative a un tale obiettivo che condividiamo. Una tale consapevolezza ci consente di guardare alla nostra realtà con cognizione di causa e di tentare l’abbozzo di alcune risposte.

Come? Sinodalmente, per l’appunto: ovvero, interagendo tutti insieme.

Tutti, dal più piccolo e lontano, sino al Vescovo, formiamo un solo Popolo, un solo Corpo nel Signore Gesù. La Chiesa non esiste come semplice somma di individui staccati fra di loro, totalmente indipendenti: siamo membra di uno stesso «organismo». Siamo tutti componenti di una stessa unità. Ognuno di noi è unico e può servire lo stesso Corpo in maniera specifica. Siamo uniti pur rimanendo distinti nelle nostre individualità e competenze. Per esempio, il fatto che siamo un unico Popolo in cammino non annulla il dono e il servizio specifico del vostro parroco chiamato a guidarvi su mandato del vostro Vescovo. Non dobbiamo appiattire la ricchezza delle nostre diversità e, allo stesso tempo, dobbiamo orientare tutto, ogni carisma, al fine proprio della Chiesa: vivere e annunciare l’amore per Gesù Cristo, testimoniarlo.

La parrocchia ha quest’unica missione: amare Gesù Cristo e portare tutti gli uomini ad amarLo, per vivere come Lui, in Lui.

Potremmo dire con la terminologia del Concilio Vaticano II, che l’unica missione della Chiesa è prolungare nella storia un unico amore, connotato da tre direttrici intrecciate: l’annuncio del Vangelo, la celebrazione dei Sacramenti e la carità, articolata anche come amore vicendevole in Cristo. Secondo le tre direttrici menzionate devono essere orientati tutti i nostri programmi pastorali, economici, sociali, culturali, educativi.

La domanda che, pertanto, dobbiamo costantemente porci è la seguente: l’attività che sto ponendo in atto, la festa che sto organizzando, lo sport che sto proponendo e seguendo con i giovani, la preghiera che sto rivolgendo al Signore, la catechesi che sto facendo, sono momenti di vita che aiutano effettivamente a crescere nell’amore di Gesù Cristo? Tutto ciò che faccio come singolo e come gruppo sta aiutando i miei fratelli ad amarLo, e questo non solo a parole ma coi fatti? Nel mio impegno catechistico e pastorale sto soprattutto conducendo le persone, i giovani a donare la propria vita a Cristo, alla comunità, ai fratelli?

Se manca il dono di sé a Dio e ai fratelli, alla comunità, all’umanità, manca il più. L’ho ripetuto tante volte in questi mesi nelle varie comunità che ho incontrato: potremo avere chiese piene di persone, bilanci a posto e anche profitti, ma se mancasse l’amore di Gesù Cristo saremmo «come bronzo che rimbomba o come cembalo che strepita» (1 Cor 13,1-2), non saremmo nulla.

Un campanello di allarme, un segnale che dobbiamo imparare a leggere è la mancanza di giovani in molte nostre attività vitali e fondamentali per la vita della Chiesa, per l’impegno cristiano nel mondo. Finché organizziamo momenti di socializzazione, di feste paesane, di svago e di sport le cose vanno ancora bene. Ma allorché si alza l’asticella, ossia si coltiva la qualità culturale delle proposte sul piano della formazione, notiamo che la presenza dei giovani e delle persone adulte si fa più rara. Eppure, non possiamo rinunciare alla qualità religiosa e culturale delle nostre proposte. Non possiamo rinunciare a persone visionarie, creative dal punto di vista sociale, economico e politico, culturale, missionario. A fronte di proposte che non stimolano, che non aiutano ad affrontare i grandi problemi, i giovani più dotati e preparati dal punto di vista professionale e culturale gradualmente si allontanano dalle nostre comunità e dalle nostre associazioni. Vanno da altre parti. Vanno all’estero per gli studi di specializzazione o si ritirano in uno stile di vita chiuso, sradicato dal territorio. Oggi il mondo necessita di persone formate religiosamente, umanamente, spiritualmente, culturalmente. A volte proponiamo tante attività, ma non abbiamo il coraggio di pensare e di proporre, con pazienza, con lungimiranza cammini formativi che sanno andare in profondità.

Soprattutto nell’accompagnamento dei giovani, dobbiamo abbandonare lo stile dell’emotività passeggera, che convoca grandi numeri, ma che poi non porta a nessuna scelta di fede duratura nel tempo. La crescita nella fede, nella conoscenza, nell’esperienza e nell’amore di Gesù, hanno bisogno di una comunità bella e autentica, che abbia il coraggio di investire anche in percorsi seri, di qualità, per affrontare con senso critico le sfide odierne.

Oltre alla triplice missione dell’annuncio, della celebrazione e della carità, va segnalata un’urgenza per le nostre parrocchie: l’attenzione nella pastorale vocazionale alla vita laicale, matrimoniale e, in particolare, alle vocazioni religiose e al sacerdozio.

Se in futuro la comunità cristiana non sarà capace di riconoscere nei giovani predisposizioni alla vita matrimoniale, alla vita sacerdotale, alla vita professionale, e non sarà in grado di accompagnarli nel rispondere coraggiosamente alla chiamata del Signore, ci sarà il reale rischio di un impoverimento dal punto di vista sociale e civile di questo territorio. Per noi comunità cristiana potrà anche profilarsi – e scorgiamo già segni premonitori – la situazione in cui scarseggeranno le vocazioni presbiterali sino a non avere sacerdoti stabili. A questo proposito, non possiamo pensare che sia una soluzione accettabile il livellamento del ministero proprio del presbitero con gli altri ministeri – pur necessari – di tutti i battezzati.

Le Unità pastorali, come emerge anche nella sintesi di questi tre anni di cammino sinodale, sono la struttura che ci permetterà nel tempo di prolungare la missione della Chiesa nel territorio. Occorre, pertanto, camminare insieme ed intensificare la condivisione delle scelte e degli orientamenti. Occorre pensarsi come responsabili di una pastorale di insieme, ossia molteplice nei suoi settori (della catechesi, della preparazione delle famiglie e del loro coinvolgimento nell’educazione alla fede, della pastorale sociale, ecc.) ma unitaria nel fine comune della comunione con Cristo e della sua missione. In vista di ciò bisognerà pensare al rinnovamento della partecipazione nella comunità in termini di corresponsabilità e in chiave sinodale e missionaria, come avete già potuto sperimentare nella preparazione della visita pastorale del vescovo nella vostra Unità.

Non sarà fuor di luogo, nel suddetto contesto, domandarsi se alcune parti della propria Unità pastorale non siano diventate gradualmente terra di missione, in cui si renda urgente un nuovo annuncio del Vangelo. Così, ci si potrà chiedere se i cristiani si riconoscono lievito a servizio di una nuova umanità e del Regno di Dio. In terzo luogo, ci si potrà interrogare se nella propria mentalità si è insediata una mentalità pagana, edonista, consumista, utilitarista, individualista, che mette al centro il proprio io e dimentica il povero, il più piccolo, lo straniero, ossia la dignità altrui, la casa comune che è il creato, Dio.

Da ultimo, ci si potrà chiedere se si è seriamente impegnati nel far crescere l’umano che è in tutti o se, invece, prevale l’attenzione a una libertà che non riconosce il vero bene delle persone, la dimensione trascendente della vita. Noi tutti sappiamo che la persona cresce non sulla tomba della comunità ma nelle relazioni reciproche di mutuo aiuto e vivendo nella comunità, contribuendo al suo bene comune.

Mario Toso, vescovo