[giu 26] Omelia – Ss. Pietro e Paolo

faentino lontano
26-06-2022

Faenza, cattedrale 26 giugno 2022, solennità di san Pietro e Paolo.

Sig. Sindaco, autorità, gentilissime Faentine premiate – Iside Cimatti e Chiara Dal Borgo -, cari fratelli e sorelle, in occasione della Solennità dei Santi Pietro e Paolo, la comunità civile e la comunità ecclesiale si ritrovano per celebrare la figura di questi due grandi Santi: Pietro, che è anche il Patrono di questa Cattedrale, e Paolo, che secondo la tradizione è unito a Colui al quale Cristo ha affidato la Chiesa.

Nel contesto della Solennità dei due Santi apostoli, a noi tanto cari, si inseriscono due eventi significativi per la città: la 63a Giornata del Faentino lontano e la premiazione del vincitore del Palio del Niballo. In tale modo, ravviviamo sia il senso di fraternità che unisce la nostra comunità sia il nostro grazie al Signore per i doni che elargisce alla sua famiglia e che consentono all’essere faentini di lievitare in umanità e in genialità di bene.

I due grandi apostoli Pietro e Paolo, con la loro vita di apostoli, ci sollecitano a vivere più intensamente il cammino sinodale, che in questa fase di ascolto ci sta sospingendo a interrogarci su come stiamo evangelizzando e su come evangelizzeremo. Non dimentichiamo che è stato Pietro ad inviare in questo lembo d’Italia sant’Apollinare. È fondamentale che tutte le persone, piccoli e grandi, giovani ed anziani, possano incontrare Gesù Cristo per trovare salvezza e dare senso compiuto alla loro vita, divenendo missionari di Colui che è Via, Verità e Vita. Dalla seminagione del Vangelo deriva luce, verità, vita buona, nuovo pensiero e nuova cultura, indispensabili per orientare lo sviluppo in senso globale, solidale, sostenibile ed inclusivo.

Per comprendere meglio il nostro compito di evangelizzatori e di testimoni di Cristo nell’oggi, guardiamo, ancora una volta, a Pietro e a Paolo.

Pietro è la roccia, la pietra su cui Cristo poggia la sua Chiesa. Il nome originario di Pietro era Simone Bar-Jona, cioè figlio di Giovanni (o Giona). L’incontro con Gesù Cristo, propiziato dal fratello Andrea, stravolge la sua vita, tanto che lascia la sua attività di pescatore per seguirlo. Dopo aver dichiarato per primo che Gesù è «il Cristo, il figlio del Dio vivente», riceve la promessa: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,15-19). A indicare la sua particolare missione è il fatto che Gesù gli cambia il nome (Gv 1,41-42), com’era usanza nel mondo ebraico. Pietro riceve da Gesù un primato nel governo della Chiesa. Il suo primato (che verrà trasmesso anche ai suoi successori) non sarà solo di onore, ma anche di giurisdizione. Mediante tale primato riceve il potere di proibire (legare) e di permettere (sciogliere), sia in materia dottrinale sia in campo disciplinare e giuridico. Il Primato gli viene conferito definitivamente quando Gesù, risorto, si rivolge a lui presso il mare di Tiberiade, chiedendogli per tre volte se lo amasse più degli altri (cf Gv 21, 14-17). Pietro non sempre ha compreso il significato dei gesti e delle parole di Gesù. Per questo riceve da Lui duri rimproveri come: «Lungi da me satana, perché tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini» (Mc 8,31-33). Pietro possiede un forte temperamento, è un entusiasta per natura, ma è anche incostante. Il che lo porta a scandalizzarsi di Gesù e a tradirlo. Non dimentichiamo, infatti, che durante l’interrogatorio di Gesù nel sinedrio, a fronte delle domande di due serve e di alcuni astanti, egli rinnega Gesù ben tre volte (cf Mt 26, 30-74). Tuttavia, Pietro con la Pentecoste, come gli altri discepoli, avrà un notevole cambiamento. Acquisterà maggiore sicurezza. Diventerà coraggioso. Sarà guida indiscussa della primitiva comunità cristiana. Pietro rimase punto di riferimento per la comunità cristiana in molteplici circostanze sia a Gerusalemme sia in altre città, in occasione di discussioni e di controversie.

Per parte sua, Paolo era un colto fariseo che insegnava nelle sinagoghe. Inizialmente fu un avversario dichiarato dei cristiani, sino a diventarne un fiero persecutore. Ma il Risorto non lo fece solo cadere da cavallo. Lo scosse interiormente demolendo la sua presunzione di uomo religioso superiore e per bene. Se i Dodici, dopo l’Ascensione, integrano il loro numero con l’elezione di Mattia al posto di Giuda (cf At 1, 15-26), il Risorto stesso chiama Paolo (cf Gal 1,1). Paolo, pur chiamato dal Signore come Apostolo, confronta il suo Vangelo con il Vangelo dei Dodici (cf Gal 1,18). Si preoccupa di trasmettere ciò che ha ricevuto e non si è inventato lui. Gli apostoli – e questa è una cosa che dovremo coltivare anche noi, impegnati nel cammino sinodale – sono missionari come comunità unita, che si confronta alla luce di Cristo.

Quando andarono in missione, Pietro si rivolse ai giudei, Paolo ai pagani. E quando le loro strade si incrociarono discutevano animatamente, come lo stesso Paolo testimonia nella lettera ai Galati (cf Gal 2, 11). Erano entrambi impulsivi e piuttosto decisi. Ma sebbene fossero persone alquanto diverse per cultura e sensibilità si sentivano fratelli, come in una famiglia unita, ove spesso si discute ma sempre ci si ama. La famigliarità e la fraternità che li legavano non venivano tanto da inclinazioni naturali, da volontà umana, quanto piuttosto dall’amore per il Signore, da quell’unico e identico amore totalizzante che li legava al Cristo e per il quale vivevano. Lui li teneva in comunione tra di loro, senza uniformarli. Li univa nelle differenze, facendo di queste una ricchezza per tutta la comunità cristiana.

Mentre ricordiamo Pietro e Paolo siamo sollecitati a diventare come loro, a costruire la Chiesa operando nell’unità e nella pluralità dei punti di vista. Essi non si sono mai stancati di annunciare Cristo, di vivere come missionari, sempre in cammino, dalla terra di Gesù fino a Roma. Ciò che li rese veri fondatori delle prime comunità cristiane, è stata certamente la loro predicazione, ma soprattutto la loro testimonianza sino a dare la vita per Lui. Guardando a loro domandiamoci: la nostra vita cristiana si caratterizza come vita di persone innamorate di Cristo, al punto da essere disposti a perdere la vita per Lui? Per noi Gesù Cristo è ancora, come lo fu per secoli, fonte sorgiva di nuovo pensiero e di nuove civiltà? Lo può essere anche per i molti giovani che ieri hanno marciato a Bologna a favore del libero amore? Il cristianesimo è per noi fonte di bellezza e di speranza? Riteniamo, non per semplice tradizione, ma per esperienza di fede, che Cristo possa conformare tutta la nostra vita, in tutte le sue dimensioni, sino a dire, con san Paolo, «per me vivere è Cristo»? Cari fratelli e sorelle, non vanifichiamo l’annuncio e la testimonianza eroici di Pietro e di Paolo. Sentiamoci degni di una simile eredità, dell’amore di Cristo. Essi ci hanno amati sino a dare tutto per noi, perché abbiamo felicità piena in Cristo Signore.

                                               + Mario Toso