[gen 28] Omelia – Festa di Don Bosco

28-01-2024

Ravenna, parrocchia di san Simone e Giuda, 28 dicembre 2024.

 

Cari fratelli e sorelle, oggi ricordiamo un grande santo, san Giovanni Bosco, sacerdote, suscitato da Dio per i giovani, fondatore dei Salesiani, delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori salesiani. Victor Ugo lo definì un uomo da leggenda. Paul Claudel un volto modellato da Dio per mostrare ai giovani la sua bontà. Celebriamo la festa di don Bosco nel contesto della domenica in cui, tramite il libro del Deuteronomio, ci è detto che Dio suscita in mezzo a noi profeti, soprattutto il grande profeta che è Gesù Cristo. Abbiamo sentito: «Io susciterò loro un Profeta […] e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò» (Dt 18, 15-20). Don Bosco è stato suscitato in mezzo al popolo cristiano perché fosse «profeta» per i giovani con i giovani. Il profeta non è soltanto colui che predice svela un evento futuro. Egli è prima di tutto un intermediario con l’Assoluto, portatore fedele della parola di Dio. Il profeta educa il popolo perché sia fedele a Dio e cresca come famiglia che lo ama e lo serve. Possiamo dire che don Bosco fu mandato da Dio affinché i giovani potessero conoscere meglio e amare Dio come Padre.

E questo è il compito dei salesiani e dei loro collaboratori.

Don Bosco fu grande perché si dedicò completamente ai giovani che, ai tempi della prima rivoluzione industriale, popolavano la periferia di Torino, abbandonati a sé stessi, esposti a vari pericoli. Offrì a loro una casa, una famiglia, un ambiente in cui vivere, giocare, studiare, apprendere una professione, pregare. Le sue case che accoglievano e educavano ragazzi e giovani crebbero e si diffusero in tutto il mondo. Ciò che caratterizzò la sua azione educativa fu il trinomio che avrete già sentito: ragione, religione, amorevolezza. I ragazzi e i giovani crescono come persone libere e responsabili – come buoni cristiani ed onesti cittadini -, soleva ripetere il santo piemontese -, se accolti con empatia, se accompagnati con fiducia e amati. Ai ragazzi e ai giovani il bene, il vero e Dio non vanno imposti ma proposti. Va insegnato a loro a ricercarli nel profondo del loro cuore, nel loro animo. Si debbono spiegare ad essi, in particolare, le ragioni per accoglierli e coltivarli: noi siamo fatti per Dio, a sua immagine.

Anche oggi siamo sollecitati a prenderci cura delle nuove generazioni, a vario titolo: perché genitori, perché chiamati, assieme alle famiglie, prime responsabili, a coltivare la loro crescita umana e cristiana. I giovani capiscono quali sono le persone che vogliono veramente bene a loro. Sono quelle che con la loro vita, oltre che con le parole, si interessano di loro, dedicano tempo, sanno stare in mezzo a loro, sanno mostrare che li amano in modo disinteressato. Don Bosco non solo amava i giovani ma anche sapeva fare capire a loro che si prendeva cura di loro. Ai suoi collaboratori, il santo piemontese insegnava che i giovani non vanno solo amati. Occorre che conoscano di essere amati.

Don Bosco ha scritto molto, rubando il tempo al sonno. Ha scritto libri di storia religiosa – Storia Sacra, Storia ecclesiastica -, le Letture cattoliche, un libro anche sul Sistema metrico decimale, il libretto Società di mutuo soccorso, opuscoli sulla vita dei suoi giovani (Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco) e di salesiani. Ma ha scritto anche ai suoi ragazzi: «Vi amo tutti di cuore e basta che siate giovani perché io vi ami molto. Vi posso assicurare che troverete libri propostivi da persone di gran lunga più virtuose e più dotte di me ma difficilmente potrete trovare chi più di me vi ami in Gesù Cristo e che desideri la vostra felicità».

Ecco il segreto di don Bosco educatore dei giovani: farli crescere nella gioia, nello studio e nell’impegno, amandoli in Gesù Cristo. Non li amava solo in sé stessi, per sé stessi, ma in Gesù Cristo, Figlio di Dio, uomo completo, missionario, buon samaritano.

Don Bosco quando educava i giovani non pensava di farli crescere secondo la sua visione personale. Li cresceva come persone capaci di vedersi e di pensarsi come amici di Gesù, come suoi discepoli. Don Bosco cercava con il suo amore di condurli a Gesù, perché potessero metterlo al centro dei loro pensieri e del loro cuore, per viverlo come Via, Vita e Verità. Noi, come figli e figlie di don Bosco, come cooperatori e collaboratori dei salesiani, dovremmo operare come lui. Siamo chiamati ad andare incontro ai nostri ragazzi e ai nostri giovani, per amarli, accompagnarli a trovare il senso della vita, a riconoscere in Gesù Cristo la Persona alla quale donarsi e in cui vivere, amare, operare.

Bisogna credere nella capacità di amare, di donarsi dei giovani.

Al tempo delle alluvioni dell’anno scorso pochi degli adulti avrebbero creduto che, davanti alle case allagate e semidistrutte, si sarebbero presentati numerosi giovani con le pale in spalla, per dare una mano a liberare gli scantinati dal fango, per recuperare mobili, schedari, cose care alle famiglie. Pochi avrebbero pensato al loro entusiasmo nell’organizzarsi, nel mobilitarsi per portare aiuto alla gente provata, specialmente alle persone e ai nonni soli.

Io stesso, sono stato testimone di questo spettacolo di bontà, che ha toccato il cuore di molti. I giovani sono venuti a partecipare alla santa Messa in duomo, con le loro tute e i loro vestiti infangati, ma desiderosi di ringraziare Colui che per primo si fa dono, buon samaritano per tutti.

Nella nostra Diocesi, specie nei luoghi danneggiati, è soffiato un vento di primavera. Molti giovani di fronte al bisogno non sono rimasti barricati dietro allo schermo del computer ma si sono coinvolti e sono usciti, si sono sporcati mani e vestiti. Al termine delle giornate si ritrovavano sulla grande scalinata della cattedrale per riposare, per rifocillarsi alla bell’e meglio, per cantare insieme «Romagna mia».

I ragazzi vanno incoraggiati e accompagnati a non trattenere il bene che sono e che portano in sé, a non avere timore di rischiare. Spesso, sazi di tutto, perdono la capacità di stupirsi, di capire le ragioni dell’impegno. Non si lasciano più interrogare dalla realtà, dalla presenza degli altri. Pongono al centro del mondo solo se stessi. Ma la vita chiede di essere donata, non consumata.

Uno dei compiti più importanti dei genitori e degli educatori è quello, sull’esempio di don Bosco, di insegnare ai giovani di incontrare e ad amare Gesù Cristo presente nell’Eucaristia. Non basta, però, insegnare ad incontrarLo. Occorre educare i giovani a donarsi a Lui, per essere come Lui missionari. San Domenico Savio, capì l’importanza di questo. Accettò da don Bosco il consiglio di farsi apostolo tra i compagni, prendendosi in particolare cura dei più indisciplinati, animando i più in gamba nella missione educativa e pastorale dell’Oratorio. Oggi diventa cruciale educare i giovani a capire la propria vocazione, ad usare con senso critico internet e l’intelligenza artificiale che già invade la società e la nostra vita. In un clima culturale, che esalta la comunicazione e le interconnessioni, e che tuttavia ci porta, ad abitare paradossalmente mondi frammentati, di profonde solitudini – mondi tanto più fluidi e di spaesamento valoriale quanto più le identità sono miscelate, destrutturate -, è decisiva l’importanza di ambienti educativi e comunicativi, ove sono rafforzati il senso della propria vita e l’impegno per la comunità.

In questa Eucaristia ringraziamo il Signore per aver suscitato nella Chiesa don Bosco, pastore secondo il suo cuore (cf Ez 34), padre e maestro della gioventù. Imitiamolo. Siamo come lui persone capaci di comunicare ciò che è trascendente, in particolare Gesù Cristo, che ci insegna ad essere di Dio e a donarlo ai giovani. Preghiamo per i salesiani, per don Battello grande educatore, oggi attorniato dai suoi confratelli e dagli ex allievi. Preghiamo per le vocazioni sacerdotali e religiose.

                                                  + Mario Toso