[dic 18] Intervento – Auguri al Vescovo

18-12-2021

Faenza, Sala san Carlo, 18 dicembre 2021.

Saluti, ringraziamenti, auguri

Innanzitutto, un riconoscente ringraziamento al Vicario Generale, don Michele Morandi per quanto ha detto e per quanto sta facendo nell’organizzare il cammino sinodale, ma non solo. Un sentito ringraziamento va anche a tutti i vicari foranei, parroci, presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, qui presenti, ma anche a quelli assenti, per il grande impegno che è dispiegato a servizio della Chiesa, della Curia, della Caritas (sia di quella diocesana che di quelle parrocchiali), della Farsi prossimo, della Casa del clero, del Seminario, del Museo Diocesano, de Il Piccolo, dell’Archivio diocesano, nonché nei vari organismi degli Uffici e settori pastorali, nei collegi, consigli, commissioni, nella consulta delle aggregazioni laicali. Si tratta di un ringraziamento per quello che tutti facciamo a servizio della Chiesa e dell’evangelizzazione, che sappiamo essere il fine ultimo della nostra diaconia a Cristo, sempre vivo e presente in mezzo a noi, sempre veniente. Porgo, in particolare, gli auguri di un Buon Natale e di un felice anno nuovo alle vostre comunità e alle vostre famiglie, spirituali e domestiche, ai Seminaristi e ai giovani Propedeuti, ma anche ai giovani facenti parte della Fraternità.

Il cammino sinodale

Come ben sapete, la nostra Diocesi di Faenza-Modigliana, assieme alle altre Diocesi, a partire dal 17 ottobre scorso, è coinvolta in un cammino sinodale. Si tratta di approfondire la coscienza di essere un «noi» di comunione, partecipazione e missione. La scommessa del cammino chiama anzitutto la Chiesa al risveglio della sua coscienza missionaria e, prima, della sua coscienza comunitaria e trinitaria. Non si punta a celebrare un Sinodo, a preparare degli Atti, bensì ad acquisire uno stile ecclesiale, un metodo sinodale permanente e più accentuato, pervasi da sensus ecclesiae, slancio evangelizzante, comunionalità, ardore missionario. Si è, dunque, voluta la scelta di un cammino sinodale che non procede in maniera deduttiva ed applicativa. Nella rigenerazione del volto e delle scelte della Chiesa si coinvolge possibilmente tutto il popolo di Dio, come comunione, corresponsabilità, missione. Per questo si è pensato di costituire dei gruppi sinodali con dei moderatori e dei segretari, che si stanno preparando per coordinare i vari gruppi.

Il cammino sinodale avrà un arco temporale che va dal 2021 al 2025, anno del Giubileo.

  • Avvio del processo sinodale (2021).
  • Prima tappa: dal basso verso l’alto (2022): coinvolgimento del popolo di Dio con momenti di ascolto, ricerca e proposta nelle diocesi, parrocchie e realtà ecclesiali.
  • Seconda tappa: dalla periferia al centro (2023): momento unitario di raccolta, dialogo, confronto con tutte le anime del cattolicesimo italiano.
  • Terza tappa: dall’alto verso il basso (2024): sintesi delle istanze emerse e consegna, a livello regionale e diocesano, delle prospettive di azione pastorale con relativa verifica.
  • Giubileo del 2025: verifica a livello nazionale per fare il punto del cammino compiuto.

Ho nominato due referenti (il Vicario generale don Michele Morandi e la sig.ra Cristina Dalmonte) e l’équipe diocesani, incaricati della consultazione sinodale, perché fungano da punto di riferimento e di collegamento con la Conferenza Episcopale, e per accompagnare la consultazione nella nostra Chiesa locale in tutti i suoi passi. L’équipe è composta da: Giulio Donati, Giovanni Malpezzi, Alessandra Scalini, Pier Luigi Zanotti, Don Tiziano Zoli, Suor Maria Elisa Visani.

L’ascolto nelle unità pastorali, nelle parrocchie si svolgerà attraverso gli organi di partecipazione previsti dal diritto.

Poiché il cammino sinodale dovrà essere il più possibile inclusivo, bisognerà renderlo capillare. Rendere capillare la sinodalità vuol dire far parlare tutti quelli che lo desiderano, dare delle opportunità a tutti, creando luoghi e tempi di ascolto, con l’intento di accrescere la comunione, la partecipazione, la missione. Il primo anno dovrà essere il tempo di un ascolto profondo. In vista di ciò bisognerà dotarsi di strumenti, cominciare ad attivarli, mirando all’incontro delle persone e dei vari gruppi (famiglie, associazioni, aggregazioni, movimenti, gruppi di giovani e di adulti, professionisti, ecc.), non arrivando solo ai praticanti. I vicariati, le unità pastorali dovranno essere delle cinghie di trasmissione e punti di raccolta importanti, per arrivare ad ascoltare nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei rioni, nei circoli… L’obiettivo, specie dopo un tempo di progressiva scristianizzazione e di pandemia, è di mettere in campo una forma rinnovata dell’annuncio del Vangelo. In vista di ciò la Chiesa non deve essere seduta, ma più capace di profezia, più agile, non frenata da strutture superflue, non più sostenibili. Occorre, in particolare, continuare la conversione pastorale che già stiamo vivendo nelle parrocchie e che mira a renderle più missionarie, più partecipate dai laici (cf Lettera pastorale Voi siete la luce del mondo per l’anno 2019-2020 e il Sussidio pastorale Nuova evangelizzazione: luoghi pastorali 2020-2021, ma non va dimenticato il Documento post-sinodale, Collaboratori della vostra gioia).

Dunque, al centro dell’ascolto e della riflessione del cammino sinodale, ci sarà una domanda, così articolata: oggi, come stiamo camminando con Gesù e con i fratelli per annunciarlo? Per il domani, cosa sta chiedendo lo Spirito alla nostra Chiesa per crescere nel cammino con Gesù e con i fratelli per annunciarlo?

Al centro del cammino sinodale va posto, sulla base di una griglia di quesiti predisposti ad hoc, l’ascolto della vita personale e comunitaria per intercettare nuove domande e tentare nuovi linguaggi al fine di accompagnare la rigenerazione, di rafforzare quanto di buono e di bello si è fatto, di riaccendere la passione pastorale. E ancora, sempre al centro del cammino sinodale, va posto: l’impegno per rinnovare l’agire ecclesiale mediante un costante discernimento comunitario cristiano, per cogliere i segni di rinnovamento per il dopo-pandemia. Detto altrimenti, si tratta di coltivare un ascolto, un’immaginazione e una pratica in vista di un’Agenda di “temi di ricerca”. Più che cercare affannosamente soluzioni immediate, più che preparare documenti, sarà importante indicare i «punti cruciali» dell’azione pastorale del prossimo futuro, facendo tesoro di quanto si è imparato nel travaglio del tempo presente.

In sostanza, si cercherà di pensare al grande compito dell’evangelizzazione di cui tutti i credenti, singoli o in gruppi, devono essere soggetti protagonisti: in modo da realizzare, mediante un metodo di ricerca e di sperimentazione che costruisce l’agire pastorale dal basso e in ascolto dei territori, una conversione pastorale, quella conversione nella quale ci stiamo da tempo applicando. Si pensi alle ultime Lettere pastorali o agli ultimi orientamenti pastorali dati dal vescovo.

Ma basti anche pensare a quanto ha previsto l’ultimo consiglio presbiterale. Che cosa ha previsto? Il Consiglio presbiterale diocesano ha ultimamente valutato l’opportunità di procedere alla soppressione canonica e civile di alcune parrocchie nell’ambito di un più generale processo di riordino dell’articolazione parrocchiale della nostra Chiesa, il che implicherà una vera e propria conversione pastorale.

Nell’ultimo consiglio presbiterale, infatti, si è valutata la soppressione riguardo alle seguenti parrocchie: Taglio Corelli, Madonna del Bosco, San Savino di Fusignano, Casale Pistrino, S. Maria in Poggiale, Scavignano, Formellino, S. Silvestro, Albereto e San Giovannino.

È chiaro che se il vescovo arriverà a decidere, secondo quanto prescrive il Codice di diritto canonico, la suddetta soppressione, ciò non sarà un mero adempimento formale, ma rientrerà nell’ambito di una più generale riflessione e valutazione pastorale sulla presenza della Chiesa e delle comunità ecclesiali nel nostro territorio. La chiusura e la soppressione di alcune parrocchie non risolveranno automaticamente tutti i problemi pastorali di alcuni territori, ma ne apriranno altri, specie per la Diocesi. Che fare, dal punto di vista dell’evangelizzazione, della catechesi, della vicinanza agli ammalati, ai più bisognosi? Quale presenza si dovrà o potrà coltivare là ove continua a persistere una comunità cristiana, benché sia stata soppressa giuridicamente e civilmente la parrocchia e non vi sia più un presbitero stabile?

È una riflessione che dovremo proseguire pensando a una nuova azione pastorale, a una vera e propria conversione pastorale, quella che peraltro stiamo cercando di vivere da tempo, con la ristrutturazione delle parrocchie, con l’istituzione di gruppi ministeriali. Le comunità parrocchiali, in altri termini, e con esse la Diocesi, saranno sempre più chiamate a ripensarsi sulla base di una conversione pastorale in senso missionario, a fronte dei notevoli cambiamenti sociali e culturali degli ultimi decenni, compresa la scarsità delle vocazioni sacerdotali.

In definitiva è a tale conversione evangelizzante che ci sta sollecitando papa Francesco volendo un cammino sinodale anche per la Chiesa italiana, incentivando anche una comunicazione pubblica della fede, che in un cambiamento d’epoca e in un contesto di pandemia è parsa debole o pavida. Non bisogna aver paura di mettere a tema la questione culturale, la presenza cristiana da orientare sulle cose che contano nel dibattito pubblico; l’urgenza di favorire vocazioni all’impegno politico, per evitare che il campo privilegiato della presenza sia solo quello del volontariato, pur se rilevante.

Mi preme, però, qui sottolineare una cosa importante: e cioè che la ristrutturazione pastorale delle parrocchie e la formazione in vista della costituzione di gruppi ministeriali, per il fatto che è iniziato il cammino sinodale, non vanno affatto dimenticate o annullate. La riflessione fatta sinora sulla ristrutturazione delle parrocchie, sulla necessaria conversione pastorale, in vista di una missionarietà più viva, non entra in collisione con il cammino sinodale che abbiamo appena avviato. Tutt’altro. Il cammino sinodale appena intrapreso è, infatti, teso a ravvivare l’esigenza di una conversione nella nostra pastorale, a confermarla, ad assumerla e ad accentuarla.

Non va dimenticato che il camminare insieme, la sinodalità sono dati dalla presenza dello Spirito, dalla preghiera, dal silenzio, dal discernimento.

Non esiste sinodalità senza lo Spirito. Non esiste lo Spirito e l’unità senza la preghiera.

Lo stile sinodale non è solo discussione. Non è solo maggioranza. Non è solo convergenza pratica su scelte pastorali. È realtà soprattutto spirituale. È un’azione dello Spirito santo nel cuore della Chiesa, a favore della comunione.

Per quanto detto, lo stile sinodale assume il carattere di un evento eucaristico, ecclesiale e spirituale. È l’essere stesso della Chiesa, che è un convenire (liturgico), un camminare insieme (evangelizzante e testimoniante). Il primo termine, dice rapporto della Chiesa con la liturgia eucaristica, con la communio. Il secondo, dice la modalità fraterna della communio, che si attua nel camminare insieme.

Direttorio per il ministero, la vita e la formazione dei diaconi permanenti

È in fase di ultima revisione il Direttorio per il ministero, la vita e la formazione dei diaconi permanenti nella Chiesa di Faenza-Modigliana, che intende orientare e dirigere la formazione e il ministero dei diaconi.

Cammino di discernimento per persone separate e divorziate

È in fase di ultima revisione anche il Cammino di discernimento per persone separate e divorziate che vivono una nuova unione civile. Il documento è stato elaborato dall’équipe composta dai Presbiteri diocesani, incaricati unitamente ad un gruppo di laici, di accompagnare il cammino pastorale dei divorziati risposati. Si tratta, perciò, di una guida di lavoro che ha come oggetto la pastorale dei divorziati risposati civilmente. Tale guida si rivolge a quella porzione di popolo di Dio che vive situazioni familiari figlie degli odierni cambiamenti sociali e culturali, che non corrispondono pienamente all’ideale evangelico, ma verso le quali sentiamo come Chiesa di rivolgere uno sguardo di misericordia che ci provoca a un rinnovato stile pastorale.

Un sussidio pastorale importante per il nostro contesto culturale: un volumetto sul fine vita

Si tratta degli Atti[1] relativi ad una tavola rotonda in cui, per desiderio del vescovo, si è voluto presentare la Lettera Samaritanus bonus. Sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020), approvata dal Sommo Pontefice Francesco in data 25 giugno 2020, relativamente al tema del fine vita, oggi tanto dibattuto e oggetto di un referendum equivoco e fuorviante. In proposito si legga l’Appendice predisposta dal dott. Marco Mazzotti.

Affido il volumetto, che ha come Autori il prof. don Paolo Carlotti dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, l’avv. Paolo Bontempi e il dott. Gambi Angelo, alla Consulta delle aggregazioni laicali, in particolare al Comitato di presidenza, ai membri e al consulente ecclesiastico prof. don Dante Albonetti, perché lo diffondano e ne divulghino i contenuti con opportune iniziative. Su un tema importante come quello al centro del volumetto ci vuole una informazione il più possibile obiettiva, un’adeguata sensibilizzazione alla luce della fede e della ragione insieme, senza pregiudizi ideologici. «Inguaribile non è mai sinonimo di incurabile»: chi è affetto da una malattia allo stadio terminale come chi nasce con una previsione limitata di sopravvivenza ha diritto ad essere accolto, curato, circondato di affetto. La Chiesa è contraria all’accanimento terapeutico, ma ribadisce che «l’eutanasia è un crimine contro la vita umana». E che «qualsiasi cooperazione formale o materiale immediata ad un tale atto è un peccato grave» che nessuna autorità «può legittimamente» imporre o permettere. Papa Francesco più volte ha ribadito che non esiste un diritto a morire: il diritto di morire non ha basi giuridiche; la vita ha un diritto, la morte va accolta non somministrata, ha detto nel suo ultimo viaggio in Grecia. La cura fino alla fine, lo «stare con» il malato, l’accompagnarlo ascoltandolo, facendolo sentire amato e voluto, è ciò che può evitare solitudine, paura della sofferenza e della morte, e lo sconforto che ne deriva: questi sono tutti elementi che riducono di molto le domande di eutanasia o di suicidio assistito e che ci devono indurre a riflettere sulla sbrigatività disumana di certe proposte di legge, nonché sulla nostra pastorale sanitaria e famigliare e l’accompagnamento degli ammalati gravi.

                                               + Mario Toso

                                Vescovo di Faenza-Modigliana

 

Appendice: referendum eutanasia

Sono state recentemente depositate le firme per chiedere il referendum sull’eutanasia legale. Come sapete, nel nostro ordinamento costituzionale il referendum è abrogativo. Si propone, quindi, di abrogare una legge o una norma di legge proponendo agli elettori un quesito.

Nel caso di specie il quesito referendario è il seguente:

“Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente)[2] approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole «la reclusione da sei a quindici anni.»; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole «Si applicano»?

Cosa propone il referendum?

Il referendum vuole abrogare parzialmente la norma del codice penale che impedisce l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia. L’omicidio del consenziente in Italia è un altro reato speciale per punire l’eutanasia. Se il referendum venisse approvato l’eutanasia attiva sarebbe consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, in presenza dei requisiti introdotti dalla sentenza della Consulta sul “Caso Cappato”. Resterà punita se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.

 

 

Cosa prevede l’ordinamento attuale

L’ordinamento attuale vieta l’eutanasia attiva sia nella versione diretta, in cui è il medico a somministrare il farmaco eutanasico alla persona che ne faccia richiesta (articolo 579 del codice penale, che prevede e punisce l’omicidio del consenziente), sia nella versione indiretta, in cui il soggetto agente prepara il farmaco eutanasico che viene assunto in modo autonomo dalla persona (articolo 580 del codice penale, che prevede e punisce l’istigazione e l’aiuto al suicidio), fatte salve le scriminanti procedurali introdotte dalla Consulta con la sentenza “Cappato”.

Forme di eutanasia passiva praticata in forma omissiva, astenendosi dall’intervenire per mantenere in vita il paziente sofferente, sono già considerate penalmente lecite soprattutto quando l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare il cosiddetto “accanimento terapeutico”.

Ora spetta alla Corte costituzionale decidere se approvare il quesito e ammettere il referendum. Secondo numerosi costituzionalisti, qualora il quesito referendario superasse l’esame della Corte costituzionale e vincessero i “sì”, si perverrebbe ad un risultato contraddittorio. Infatti, con la sentenza n. 242 del 2019 la Consulta ha depenalizzato il reato di assistenza al suicidio se sussistono 4 condizioni concomitanti:

  1. se la persona aiutata a morire era affetta da una patologia irreversibile,
  2. le sue sofferenze erano ritenute intollerabili,
  3. veniva tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale,
  4. era libera di prendere decisioni libere e consapevoli.

Per tutti gli altri casi, i giudici costituzionali hanno ribadito la liceità del divieto di assistenza nel suicidio, proprio perché norma penale è posta a presidio del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili. Ecco allora che, se vincesse il “sì”, ci troveremmo in questa situazione paradossale: l’aiuto nel suicidio continuerebbe a essere presidiato da una norma penale, salva la presenza delle 4 circostanze sopra riportate e delineate dalla Corte, mentre l’omicidio del consenziente – comportamento giuridicamente più grave – verrebbe totalmente depenalizzato.

Inoltre, se il referendum venisse approvato così com’è, salterebbero i riferimenti ai limiti posti dalla Corte per il reato di cui all’articolo 580 del codice penale in materia di assistenza nel suicidio. In questa situazione il mero consenso eliminerebbe l’antigiuridicità dell’uccisione, dando vita a una svolta giuridica irrazionale e contraddittoria anche solo alla luce della recente “giurisprudenza Cappato”.

I sostenitori dell’eutanasia e del relativo referendum affermano che la sentenza n. 242 sul cosiddetto caso “Cappato” abbia introdotto un vero e proprio diritto a morire. In realtà la previsione del suicidio assistito si configura come extrema ratio. La Corte costituzionale sembra avere voluto dire che occorre lavorare sulle cure palliative, sulla terapia del dolore, sulla diffusione degli hospice proprio per disincentivare la scelta eutanasica.

                                          Dott. Marco Mazzotti

[1] Cf P. CARLOTTI-P. BONTEMPI-A. GAMBI, Fine vita. Il punto tra dottrina della fede, legislazione statale ed esperienza medica, a cura di S. Ecc. Mons. Mario Toso, Diocesi di Faenza-Modigliana, Tipografia Faentina, Faenza 2022.

[2] Articolo 579 c.p. e relative abrogazioni referendarie.

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno [613 2].