[dic 11] Intervento – La dimensione sociale della fede. Un progetto concreto per la frutticoltura: il distretto del cibo

11-12-2021

La dimensione sociale della fede

Un progetto concreto per la frutticoltura: il distretto del cibo

Faenza, tavola rotonda per l’inaugurazione dei lavori di ampliamento della sede Coldiretti,

11 dicembre 2021

Premessa

Ringrazio la Federazione Provinciale Coldiretti Ravenna per l’invito a partecipare a questa tavola rotonda e alla cerimonia di inaugurazione della sede di Faenza, che è stata ampliata per garantire un più efficiente servizio ai propri soci, ma anche all’intera comunità. Al centro della tavola rotonda sta il tema Il Distretto del cibo. Un progetto concreto per la frutticoltura.

Volendo iniziare questa riflessione proprio dalla definizione normativa,[1] i Distretti del cibo sono nuove strutture radicate nel territorio per promuoverne lo sviluppo, garantire la sicurezza alimentare, la coesione e l’inclusione sociale, ridurre l’impatto ambientale e lo spreco alimentare. Tra gli obiettivi c’è anche quello di valorizzare le produzioni agroalimentari di qualità favorendo l’integrazione di filiera. Si tratta, quindi, di realtà strettamente legate al territorio con un’identità storica omogenea frutto dell’integrazione fra le attività agricole e quelle locali, della produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e locali. Parte proprio dalla tradizionale vocazione agricola del nostro territorio il progetto di Distretto della frutticoltura.

Si tratta di un progetto ambizioso che Coldiretti Ravenna fa partire da questi luoghi per diffonderlo in tutto il territorio emiliano romagnolo e che intende valorizzare uno dei comparti chiave dell’economia faentina, provinciale e regionale. Infatti, la frutticoltura è uno dei settori maggiormente distintivi dell’agricoltura in questo territorio, che interessa un notevole numero di aziende agricole e di persone che operano direttamente nel comparto e nell’indotto: solo per fare qualche esempio, dalla lavorazione alla trasformazione del prodotto, dai trasporti alla commercializzazione fino ad arrivare al packaging. Infine, l’ortofrutta è il settore che più di tutti subisce gli effetti dei cambiamenti climatici e delle calamità naturali.

L’istituzione del Distretto, dunque, è divenuta essenziale sia per garantire attenzione e sostegno economico alle imprese, al reddito degli agricoltori; sia per generare quel rilancio del comparto che parta dai produttori, dalle filiere e dal coinvolgimento delle strutture di commercializzazione, dal mondo della ristorazione e dell’ospitalità, dalle istituzioni della cooperazione, della promozione e della valorizzazione del prodotto, sino alle politiche del territorio. Il cittadino e il consumatore sono sempre più interessati nel conoscere non solo da dove proviene un prodotto, ma anche come viene prodotto.

Nella istituzione del Distretto risultano strategici non solo gli agricoltori, ma anche la ricerca, la logistica e l’innovazione, come anche la promozione di una cultura personalista del lavoro aperto al trascendente. Con la necessità di tutelare e promuovere il patrimonio ortofrutticolo locale, difendendone la produttività, valorizzandone la qualità e l’identità peculiare delle eccellenze, rimane indispensabile e prioritaria la cura delle persone, la loro formazione professionale continua, siano esse gli agricoltori abituali o i lavoratori stagionali, quest’ultimi sempre più cittadini stranieri. Proprio per questo va capovolto il primato spesso accordato alla tecnoscienza, peraltro importante in vista di una agricoltura moderna.  Il Distretto tutela e promuove le filiere, ma queste per essere funzionali ed eque, a partire dal reddito dei produttori (primo anello della filiera su cui spesso vengono scaricati costi e problemi), necessitano di un quadro culturale e di valori, di un umanesimo plenario, di giustizia sociale. Il Distretto è chiamato a comunicare bene e meglio specie con i consumatori finali, affinché comprendano i pesi e la fatica dei coltivatori diretti e siano disposti a riconoscere dal punto di vista economico la qualità e la tipicità dei loro prodotti. La politica, per parte sua, deve intervenire per sostenere con strumenti efficaci il reddito delle famiglie rurali, a livello nazionale ed europeo. Un triplice obiettivo del Distretto non può che essere, in ultima analisi, la sostenibilità economica e sociale/occupazionale del sistema (non si può obliare l’urgenza del ricambio generazionale, ossia il problema demografico e le permanenti disparità tra i settori economici), la tutela del reddito dei produttori, come già accennato, e una nuova cultura imperniata sulla fraternità e sull’ecologia integrale. Da ultimo, il Distretto non potrà ignorare il fenomeno dell’illegalità, con particolare riferimento allo sfruttamento della manodopera, e della sperequazione delle retribuzioni.

  1. L’apporto della dimensione sociale della fede al quadro culturale dei Distretti

Nell’integrazione della cultura e del quadro valoriale del Distretto del cibo, ma non solo, torna senz’altro fondamentale l’apporto specifico della dimensione sociale della fede e della Dottrina sociale della Chiesa, costanti punti di riferimento della Coldiretti.[2]

Qui desidero illustrare un tale apporto, che avviene mediante l’evangelizzazione del mondo rurale e la relativa pastorale, a partire, in particolare, dal volume Dimensione sociale della fede. Sintesi aggiornata di Dottrina sociale della Chiesa.[3]

Il titolo pone in primo piano la decisività e la crucialità della fede e della connessa evangelizzazione in relazione alla Pastorale sociale, in cui sono coinvolti i Consiglieri Ecclesiastici Coldiretti e le comunità ecclesiali, nelle quali, specie nelle realtà rurali delle nostre diocesi, sono numerosi i coltivatori diretti e quanti, più in generale, lavorano nel settore agricolo. Perché è ancora oggi necessaria tale evangelizzazione? Innanzitutto, perché appare particolarmente urgente che la dimensione sociale ed ecologica della fede sia presente ed approfondita nell’annuncio e nell’opera di educazione, senza indugi, supportando coloro che si dedicano all’educazione cristiana e all’animazione pastorale nelle varie comunità rurali. Come già sottolineava la costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II e, come ha ribadito la esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco, senza riconoscere e vivere la dimensione sociale della fede si corre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice.[4]

Se si ignora la dimensione sociale della fede si corre il pericolo di dimenticare e di non porre in atto, nelle nostre diocesi e nelle nostre associazioni cristiane o di ispirazione cristiana, l’evangelizzazione del sociale, relativa al mondo agricolo-rurale. A questo proposito, infatti, non è difficile notare come in non poche diocesi e parrocchie siano quasi scomparsi, o non siano stati nemmeno iniziati, progetti pastorali attinenti all’ambito agricolo-rurale, concepiti come atti della Chiesa, e non come meri atti di singoli presbiteri o credenti. È noto che il discernimento sociale dev’essere comunitario, come opera della comunità dev’essere anche la preparazione dei responsabili della pastorale relativa al mondo agricolo-rurale, ma non solo. La rarefazione e il forte ridimensionamento dell’evangelizzazione del sociale attinente al mondo agricolo-rurale indeboliscono, presso gli agricoltori e le loro associazioni, il senso di appartenenza a Cristo e alla Chiesa, per cui viene meno in essi la percezione della propria vocazione cristiana all’evangelizzazione e alla connessa umanizzazione del mondo agricolo-rurale, che potrebbe, invece, essere rinsaldata mediante la conoscenza e la sperimentazione della Dottrina sociale della Chiesa.

Non solo. Un’altra grave conseguenza è che – specie allorché la propria associazione di ispirazione cristiana si unisce ad associazioni aconfessionali – si perda la chiara consapevolezza che l’appartenenza alla Chiesa e a Cristo risorto è primaria rispetto ad altre appartenenze, pur importanti ed utili a livello economico e per la rappresentanza sociale e civile. La posizione del lavoratore o del rappresentante del lavoratore agricolo-rurale rispetto a Cristo è allusa nel dipinto Noli me tangere del Beato Angelico, ove il Risorto è rappresentato con la zappa in spalla. Egli, dopo la sua morte e risurrezione, non scompare dalla storia umana e dal mondo terreno, ma continua ad essere presente e a lavorare in essa. Il credente è chiamato ad unirsi a Cristo lavoratore, perfezionatore del creato, per ricapitolare in Lui tutte le cose, compresa l’attività agricolo-rurale.

I lavoratori agricoli, come anche i diversi professionisti «verdi» nati dall’agricoltura biologica e sostenibile (programmatori agricoli della filiera corta, chimici ambientali, allevatori digitali, tutor dell’orto, botanici, agrichef, agricoltori biologici, agricoltori didattici, agriestetisti, agristilisti) sono chiamati a partecipare alla nuova creazione che il Figlio di Dio è venuto ad iniziare con la sua incarnazione, passione, morte e risurrezione.

Infatti, l’agricoltura, lavoro umano svolto nel tempio della creazione, è da considerarsi come un insieme di molteplici attività, di sapienza sociale e di tradizioni, di stili di vita, di pratiche, di istituzioni, di mezzi tecnici, di innovazioni, mediante cui gli uomini, come individui e come gruppi di persone, provvedono a nutrire l’umanità e, inoltre – prendendosi cura della terra coltivabile, di aree verdi, dei boschi, dei corsi d’acqua delle colline e delle montagne – custodiscono i beni ambientali, sviluppandone le virtualità intrinseche a vantaggio di tutti, delle generazioni presenti e di quelle future. Si tratta, altresì, di un settore che offre occupazione a donne, specie nel settore della lavorazione dell’ortofrutta, e a cittadini stranieri.

Nell’attuale contesto di globalizzazione e di problematiche ecologiche, l’agricoltura viene chiamata a far parte della cosiddetta economia «verde», un concetto che si sta sempre più affermando, sebbene abbia bisogno di una definizione più precisa. La prospettiva dell’agricoltura nell’economia «verde» assume un senso più compiuto, alla luce dell’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa (= DSC), quando sia intesa quale attività che, mentre consente di produrre beni e ricchezza – e, dunque consente di creare un lavoro dignitoso, non sfruttato –, preserva e, insieme, rafforza le potenzialità dell’ambiente per consentire alle generazioni future un’esistenza migliore e, inoltre, la libertà di scelta tra uso e non uso del patrimonio naturale tra diversi livelli di benessere naturale e di qualità dell’ambiente.

Tornando all’evangelizzazione del sociale, con specifico riferimento all’attività agricolo-rurale, quando essa sia tralasciata o sospesa non si aiutano i credenti a vivere il proprio lavoro unitamente a quello di Cristo, con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare. Ossia: assenza di una spiritualità cristiana, di senso missionario, di una vita buona secondo il Vangelo, di un’ecologia integrale, di una professionalità libera dal prometeismo, dalla tecnocrazia e dal transumanesimo artificiale.

  1. Nuova evangelizzazione del sociale e mondo agricolo-rurale

Secondo la nuova evangelizzazione del sociale incoraggiata dalla Caritas in veritate, il mondo agricolo-rurale non va considerato come mero settore economico, orientamento prevalso in passato e in cui continuano a essere inserite le ideologie coltivate da tutte quelle scuole di pensiero economico che assolutizzano il potere del denaro, del profitto a breve termine, sino a sottodimensionare il lavoro della terra. Rispetto a ciò, uno dei compiti della nuova evangelizzazione sarà proprio quello di rivendicare l’importanza antropologica, etica, sociale e ambientale del lavoro in genere e del lavoro agricolo in specie. Il lavoro è un bene fondamentale dell’uomo e ha il primato sui valori economici e tecnici. E ciò va ribadito con forza soprattutto in un tempo, quello che stiamo vivendo, in cui, invece, prevalgono finanziarizzazione a breve-brevissimo termine e tecnofinanza.

È tipico del patrimonio sapienziale della DSC, che è da ritenersi elemento essenziale della nuova evangelizzazione, considerare l’attività agricolo-rurale nel contesto unitario delle altre attività economiche ma, soprattutto, nel contesto del bene comune nazionale e mondiale. Da questo punto di vista, l’attività agricola è da considerarsi un bene comunitario, ossia un bene che è condizione di realizzazione del bene comune di una Nazione, della famiglia umana intera.

In un contesto di globalizzazione non sufficientemente governata, la finanziarizzazione dell’economia, il capitalismo finanziario deregolato, la tecnocrazia, sottopongono l’agricoltura a pressioni e a meccanismi deleteri, improntati a modelli produttivistici e consumistici che giungono a destrutturare le imprese agricole, ad ignorare l’importanza della sicurezza alimentare, del rispetto/ benessere degli animali, della produzione locale. Rispetto a queste tendenze sta crescendo un nuovo modello di sviluppo dell’agricoltura, che la coniuga in termini di qualità, di tipicità, di multifunzionalità, di presidio o di manutenzione del territorio, di sicurezza alimentare. Un tale modello appare più commisurato alla dignità dei coltivatori e alle esigenze del creato, del quale vanno colti e rispettati gli ordinamenti intrinseci, nonché la biodiversità.

Il mondo agricolo-rurale non dev’essere pensato in termini meramente mercantili e nemmeno quale variabile dipendente dai meccanismi finanziari. Il mondo agricolo-rurale è di più di un semplice territorio o di un suolo avente una destinazione d’uso riconoscibile quanto a produzione di questo o di quel bene. È un «ambiente di vita» della comunità locale, nazionale e mondiale. È ambiente di vita dell’umanità. In quanto tale, rappresenta un «luogo», un «contesto comunitario e culturale» in cui le connessioni dello svolgimento delle attività agricole e la presenza stessa di insediamenti rurali divengono inseparabili dai fenomeni biologici e naturali. In esso le dinamiche sociali e culturali sono inestricabilmente congiunte con la terra e l’ambiente. La ricchezza produttiva e la sicurezza alimentare ed ambientale del mondo agricolo-rurale dipendono dal grado di maturità culturale ed etica delle popolazioni che lo abitano. Incentivando il loro sviluppo sociale, etico-culturale, religioso, si accresce la tutela e la promozione del loro ambiente di vita. Per salvaguardare la natura e il mondo agricolo-rurale non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno con un’istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ci ricorda la CIV, «ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società».

Infine, come ha insegnato la Mater et magistra, i diversi settori produttivi vanno promossi simultaneamente, gradualmente e proporzionatamente, di modo che tutti quelli che vi lavorano possano essere responsabili e protagonisti della loro evoluzione economica e della realizzazione del bene comune.

 

  1. Gli operatori pastorali nel mondo rurale

 

Per gli operatori pastorali (presbiteri, diaconi, laici e laiche con un ministero), vale l’ammonimento paolino «Guai a me se non evangelizzo» (1 Cor 9,16), che si traduce in «Guai a me se non evangelizzo l’attività agricolo-rurale». Per non pochi credenti, lavoratori adulti e giovani, tante volte simili affermazioni appaiono senza un grande significato dal punto di vista della loro professionalità. Siamo chiamati, dunque, a spiegare che non è poi così insignificante se si lavora senza essere uniti a Cristo, il «lavoratore»-redentore e l’artigiano per eccellenza. Ai credenti siamo chiamati a ricordare che in quanto tali non hanno nessun diritto di non essere evangelizzatori del lavoro agricolo-rurale. Semmai, in quanto battezzati, cresimati, eucaristizzati, ne hanno un evidente dovere, a cui corrisponde un diritto insopprimibile ed inalienabile. Come animatori e formatori, diventeremmo complici di un ateismo pratico, quale quello che attualmente si sta diffondendo sempre di più anche nell’economia, nella finanza, nella politica, nella cultura sociale odierna. Saremmo indiretti sostenitori della frattura tra fede e vita, che già san Giovanni XXIII nella Mater et magistra aveva stigmatizzato come uno dei peggiori mali della vita cristiana del secolo scorso.

La suddetta divergenza, porta con sé – che lo si voglia o no – alcuni pregiudizi, spesso mutuati dal mondo culturale dominante, come questi: a) la fede è un inciampo o è dannosa per la propria attività (agricolo-rurale, scientifica, tecnica, politica), in quanto ostacola la ricerca scientifica, la libertà di azione, lo sviluppo sostenibile; b) i credenti, nelle relazioni sociali con altre culture diverse dalla propria, sono più efficaci quando mettono tra parentesi la loro fede.[5]

Si tratta di pregiudizi aprioristici che raggiungono, come accennato, anche altri settori dell’attività umana. Essi, diciamocelo in maniera chiara, andrebbero affrontati e decostruiti con più determinazione, senza troppa indolenza, sia nell’ambito della vita ecclesiale sia nella vita pastorale. Perché? Perché a ben riflettere, simili pregiudizi sono forieri di mali che invadono e destrutturano la stessa comunione ecclesiale, il cristianesimo, la cultura cattolica, gli umanesimi di ispirazione cristiana, favorendo profonde divisioni tra pastori e laici, polemiche faziose ed interminabili e, prima ancora, cosa più grave, l’esiziale separazione da Cristo risorto, che è, invece, fonte di nuovo pensiero, di vita morale retta, di un nuovo umanesimo trascendente.

La fede cristiana, per nulla antirazionale, semmai superazionale, capace di sfidare e di irrobustire la ragione, appare meno astratta di quanto non si pensi. Essa, in questi anni ha mostrato di essere generatrice di quell’ecologia integrale che, come è spiegato nella Laudato si’, è fondamentale per la soluzione della complessa crisi ecologica contemporanea. Con ciò stesso appare atta a promuovere quel nuovo umanesimo fondato sull’economia circolare, ove l’agricoltura si pone al centro delle filiere integrate ed ipertecnologiche, in grado di generare il capitale naturale e di recuperare i rifiuti per trasformarli in materiale fertile. L’agroecologia, nella stessa linea, si sta spostando dal campo e dall’azienda agricola sino ad arrivare al sistema alimentare, aumentando l’efficacia delle pratiche culturali, il monitoraggio degli infestanti per l’uso dei pesticidi, l’agricoltura di precisione per ottimizzare fertilizzanti ed irrigazione, la rotazione dei terreni, la connessione tra chi produce e chi consuma, la conservazione del suolo e dell’acqua.

  1. La figura del Consigliere ecclesiastico

Diventa opportuno a questo punto rammentare al Consigliere Ecclesiastico e agli operatori che agiscono nel o attorno al mondo agricolo-rurale il principio che echeggia il pensiero di papa Benedetto XVI: primo e principale fattore dello sviluppo del mondo agricolo-rurale è l’annuncio di Gesù Cristo (cf Caritas in veritate, n. 8).

Oggi un tale annuncio va intensificato e maggiormente articolato a fronte sia di un considerevole aggiornamento della Dottrina sociale della Chiesa (in senso trinitario, cristologico, ecclesiologico, ecologico, fraterno), sia di una nuova agricoltura, sempre più multifunzionale, multiprofessionale ed imprenditoriale, oltre che con uno spiccato senso sociale. In definitiva, è urgente un netto salto di qualità nell’impegno pastorale e formativo.

In particolare, per conseguenza:

  1. va attuato un imprescindibile aggiornamento sulla nuova identità dell’agricoltura in contesto di ecologia integrale;
  2. parimenti, va fatto conoscere il ruolo e la mission della nuova Coldiretti. In passato ha saputo dare un nome, un volto, un’identità, un reddito a chi non l’aveva. Oggi è a servizio della società con un impegno a tutto campo con al centro la famiglia-impresa, la sostenibilità ambientale, la sicurezza alimentare, investendo sui valori distintivi di italianità, genuinità e trasparenza, dando il giusto riconoscimento all’autentico made in Italy. Tesse alleanze con i consumatori e con le istituzioni, intercetta i cambiamenti culturali e sociali. Si pone come interlocutore del destino del Paese con una cultura di governo. Vive nuovi compiti nel campo della salute, dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile, della cultura, della difesa della tradizione, per essere più cittadini e più agricoltori nella società. Di grande rilievo per vivere più responsabilmente e democraticamente la propria professione è la Fondazione Campagna Amica;
  3. va incentivata l’educazione all’ecologia integrale, l’educazione alla dimensione sacramentale dell’attività agricolo-rurale, a partire dal discernimento inclusivo del vedere, giudicare, agire e del celebrare, non solo l’Eucaristia, ma anche il sacramento della Riconciliazione per estirpare in particolare il peccato ecologico;
  4. occorre contribuire alla ripresa e al rilancio della pastorale relativa al mondo agricolo-rurale nelle diocesi e nelle parrocchie in maniera integrata con altre pastorali affini. A questo riguardo, è da raccomandare uno stretto legame tra la pastorale relativa al mondo rurale ed agricolo e la Pastorale sociale e del lavoro;
  5. dev’essere ripristinata ed incrementata l’azione pastorale con riferimento alle famiglie rurali.[6] Proprio perché la questione ecologica sta mettendo in luce la decisività dell’ambiente rurale e del relativo lavoro agricolo non si può trascurare la missione della famiglia rurale in vista della salvaguardia e della coltivazione del creato;[7]
  6. si deve valutare e valorizzare la via dell’agricoltura come via di integrazione degli immigrati, anche per contrastare la via di un assistenzialismo diseducativo. La collaborazione tra la Chiesa italiana e Coldiretti necessita di un cambio di visione. Non può esaurirsi solo nelle Feste di Ringraziamento o nella richiesta di concedere l’8 per mille nelle dichiarazioni dei redditi che ha raggiunto annualmente quota 700.000 firme. L’alleanza tra la Chiesa e Coldiretti va rigenerata sia sulla piattaforma degli intramontabili principi della DSC sia su buone pratiche condivise, che li concretizzano storicamente nel dare risposte alle domande di accoglienza, di legalità, di sostenibilità ambientale, di transizione ecologica che emergono dal Paese;
  7. va ripensata l’evangelizzazione del sociale in un mondo agricolo-rurale che cambia e in un contesto in cui le figure dei presbiteri quali Consiglieri Ecclesiastici stanno sensibilmente diminuendo;
  8. il riferimento alla mission della nuova Coldiretti a servizio della società a tutto campo (impresa-famiglia, imprese sociali, sicurezza alimentare, alleanza con i consumatori, salute e ambiente…) deve divenire pilastro per la sensibilizzazione di un impegno etico pluriarticolato da parte di più soggetti, orientati tutti allo sviluppo sostenibile ed inclusivo.

 

+ Mario Toso

Vescovo di Faenza-Modigliana

Vescovo delegato per la Pastorale sociale e per il lavoro della Conferenza Episcopale Emilia Romagna

Note

[1] Si veda, in proposito, la delibera della Giunta regionale dell’Emilia Romagna n. 1816 del 28 ottobre 2019, che ha approvato le disposizioni applicative per il riconoscimento dei Distretti del cibo, ai sensi dell’art.13 del d.lgs n. 228/2001 così come modificato dalla legge n. 205/2017.

[2] Torna utile, a questo proposito, il volume di M. TOSO, Ecologia integrale dopo il coronavirus, Società Cooperativa sociale Frate Jacopa, Roma 2020.

[3] M. Toso, Dimensione sociale della fede. Sintesi aggiornata di Dottrina sociale della Chiesa, LAS, Roma 2022.

[4] Francesco, Evangelii gaudium, Libreira Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, n. 176.

[5] Non dimentichiamo, invece, che per papa Francesco il credente non ricava nessun vantaggio dal mettere tra parentesi o dal dimenticare la propria fede cristiana, i contenuti di fede. Metterebbe, piuttosto a rischio l’efficacia della sua comunicazione razionale (cf M. Toso, Fratellanza o fraternità? Introduzione alla lettura dell’Enciclica «Fratelli tutti», Tipografia Faentina Editrice, Faenza 2021, p. 12.

[6] Si veda, in proposito, il volume di M. TOSO, Ecologia integrale dopo il coronavirus, Società Cooperativa sociale Frate Jacopa, Roma 2020, specie alle pagg. 87-124.

[7] Con riferimento alla vocazione ecologica della famiglia rurale si rimanda a M. Toso, Ecologia integrale dopo il coronavirus, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2020, specie il capitolo II intitolato La famiglia cristiana e l’ecologia integrale, pp. 87-124.