[apr 24] – Anspi: oratori ed educazione all’ecologia integrale

24-04-2021

Faenza: videoconferenza regionale per il Convegno ANSPI, 24 aprile 2021.

Quali orientamenti e capisaldi possono guidarci nell’impiegare le tecnologie per migliorare la vita delle persone e soprattutto di quelle più fragili?

In proposito, occorre fare qualche premessa. Dire cioè che la tecnologia ha consentito una nuova era per l’umanità.La scienza e la tecnologia sono un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio.La tecnologia ha posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano e limitavano l’essere umano. E oggi con la rivoluzione digitale, la robotica, le biotecnologie e le nanotecnologie si stanno raggiungendo nuovi progressi nell’assistenza agli ammalati, nelle cure, negli interventi chirurgici. Vi sono applicazioni utili anche in agricoltura, nell’edilizia, nella manifattura.

Tuttavia non possiamo ignorare che l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso DNA e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. Anzi, danno a coloro che detengono la conoscenza, e soprattutto il potere economico per sfruttarla, un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero. Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo. Basta ricordare le bombe atomiche lanciate in pieno XX secolo, come il grande spiegamento di tecnologia ostentato dal nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al servizio dello sterminio di milioni di persone, senza dimenticare che oggi la guerra dispone di strumenti sempre più micidiali. In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere? È terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità.

Si tenga presente che l’uomo moderno non è stato sufficientemente educato al retto uso della potenza dei mezzi tecnologici che ha a disposizione. Corrispondentemente alla crescita della tecnologia non c’è stato uno sviluppo dell’essere umano quanto alla responsabilità, ai valori e alla coscienza. E così l’umanità è cresciuta con il convincimento che la tecnologia è strumento efficace per dominare il mondo, capace di offrire rimedi tecnici per ogni problema ambientale.  Come se bastassero solo le tecnologie. Riguardo a ciò c’è bisogno di attuare una rivoluzione culturale. La scienza e la tecnologia non sono neutrali. Occorre abbattere l’esaltazione tecnocratica. Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo, senza una nuova antropologia. La bontà della tecnologia si manifesta quando sia usata in maniera corretta, venendo posta al servizio del miglioramento della vita delle persone, soprattutto di quelle più fragili, ma anche al servizio del creato: in ogni caso, è legittimo l’intervento che agisce sulla natura «per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio». Le sperimentazioni sugli animali sono legittime solo se «si mantengono in limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o a salvare vite umane».A proposito dell’impiego della tecnologia nell’agricoltura, in vista di organismi geneticamente modificati (=OGM), Papa Francesco intende offrire, sulla scia di papa Benedetto, questa criteriologia, che ne indica limiti di applicazione: a) diminuzione della biodiversità; b) ulteriore impoverimento e scomparsa dei piccolo produttori; c) formazione di oligopoli nella produzione di sementi sterili e di altri prodotti necessari per la coltivazione, con la conseguente dipendenza dei contadini dalle grandi imprese produttrici (cf Laudato sì 134). Data la complessità della materia, papa Francesco sollecita quanto segue:

  1. valutare tutti gli aspetti implicati;
  2. promozione di dibattiti scientifici e sociali per studiare problemi complessi;
  3. rispetto del principio secondo cui non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è eticamente lecito.

Peraltro, è preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica sugli animali, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana. Ad esempio, spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo. Ugualmente, quando la tecnica non riconosce i grandi principi etici, finisce per considerare legittima qualsiasi pratica.

Su cosa si consiglia di puntare per arrivare al cuore dei giovani, e, insieme a loro, iniziare a costruire una realtà più integralmente ecologica?

Si tratta, innanzitutto, di andare incontro ai giovani, di non attendere le loro domande. Nell’Oratorio, nei circoli, negli ambienti di gioco, occorre essere presenti in mezzo a loro. In tal modo cresce la confidenza, l’amicizia, l’accompagnamento educativo. In un clima di accoglienza reciproca, di empatia, trovano il loro naturale inserimento varie iniziative di formazione all’ecologia integrale, alla cittadinanza ecologica. È importante che i nostri giovani comprendano come l’ecologia ambientale di cui sentono parlare spesso e nella quale si intende coinvolgerli con raccolte di rifiuti, bonifiche di aree abbandonate, pulizia dei giardini, coltivazioni di orti, lezioni all’aperto ed altro ancora, viene realizzata efficacemente integrandola con l’ecologia umana, ossia accompagnandola con elementi di spiritualità e di conversione ecologica (con la vocazione alla custodia e alla coltivazione del creato esiste anche il peccato ecologico), con l’educazione morale del giovane.

Tra i pilastridell’educazione ecologica sono da ricordare:

  1. un cambiamento degli stili di vita: non sprecare il cibo, rispettare le piante, in particolare i giardini pubblici, non inquinare l’aria e l’acqua con emissione di gas eccessivo e con discariche di sostanze acidificanti e tossiche, non consumarne troppa per fare il bagno, lavare i piatti, riutilizzare (riciclare) mobili o rifiuti e scorie, risparmiare energia per l’illuminazione e il riscaldamento, differenziare la raccolta dei rifiuti, adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili;
  2. la destinazione universale del creato e della terra. Essi ci sono donati. Appartengono a Dio. Sono di tutti e sono destinati all’uso di tutte le generazioni e non di pochi. È cruciale che venga trasmesso il principio del bene comune, inclusivo dei beni collettivi come la terra, l’acqua, il clima;
  3. ogni comunità prende dalla bontà della Terra ciò di cui ha bisogno e, nello stesso tempo, ha il doveredi tutelarla e di garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. Oggi appare fondamentale che si cambino gli attuali modelli di produzione e di consumo, ad esempio sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile (cf LS 26);
  4. non c’è autentico sentimento di fraternità con gli altri esseri della natura se non c’è tenerezza per gli esseri umani, per la loro vita, dal concepimento al termine dell’esistenza;
  5. eccedenza, preminenza dell’uomo, ma non dominio dispotico rispetto alla natura, della quale va rispettata la dimensione creaturale;
  6. i contenuti teologici o di fede sulla natura apportano un contributo originale nella salvaguardia e nella coltivazione del creato. Essi sono portatori di visioni e di motivazioni che integrano e rafforzano i motivi di ragione.

 

Le nostre comunità cristiane e oratoriane possono diventare “casa comune per tutti”, ove ogni ragazzo e persona, di qualsiasi nazionalità o credo possa identificarsi e sentire di appartenervi? Come?

Costituendosi come comunità, che mentre coltivano un progetto educativo cristiano, com’è richiesto dalla loro identità, sono simultaneamente aperte a tutti, credenti e non credenti. Il progetto educativo cristiano non annienta l’umano, non lo esclude e non lo deprime, anzi lo lievita e lo perfeziona. Pertanto, negli ambienti educativi degli Oratori e dei Circoli è permessa la presenza di persone e di giovani che, pur non professando la fede cristiana, la rispettano e non impongono agli altri il loro credo. Vi sono Oratori ove, come quello salesiano a Tirana in Albania, educatori, giovani e famiglie cristiane interagiscono gioiosamente ed amichevolmente con giovani, mamme e nonni mussulmani, che frequentano anche la parrocchia. E, dunque, un progetto educativo ecologico cristiano per sé non è impossibilitante la convergenza anche di non credenti o di credenti di altre religioni, perché in esso ci sono contenuti, oltre che di fede, di ragione. Chi non è cristiano può sentire di appartenere alla comunità oratoriana per motivi di umanità, per motivi di ragione, che sono coltivati come parte essenziale di ogni progetto educativo cristiano degli Oratori e delle associazioni sportive annesse.

Ci può aiutare a capire perché le “divisioni” e le “distanze” tra le persone generano danni all’ambiente e cosa possiamo fare come famiglie per impattare meno sugli ecosistemi che ci circondano?

Le divisioni e le distanze tra le persone generano danni all’ambiente perché creano meno unità, e quindi una minor incisività, nell’azione dei movimenti ecologici, che sono auspicati compatti e mondiali, a fronte di questioni sovranazionali.

La biodiversità è caratterizzata da una notevole varietà di organismi e di specie viventi acquatici e terrestri che concorrono a costituire i relativi ecosistemi. La ricchezza della biodiversità è seriamente minacciata da un’ampia gamma di fattori: la distruzione degli habitat (urbanizzazione e consumo eccessivo di suolo), la loro frammentazione e il loro degrado, le attività agricole di scala, gli incendi, i cambiamenti climatici che provocano l’invasione di specie aliene invasive. Per capire la rilevanza della biodiversità per il nostro bene-essere, per il benessere di tutti, basti pensare alle funzioni preziose che essa garantisce: dal punto di vista ecologico (più gli ecosistemi sono complessi, ossia ricchi di biodiversità, più sono in grado di sopportare perturbazioni esterne); dal punto di vista economico (consente la purificazione delle acque, la difesa del suolo, senza l’uso di mezzi tecnologici costosi, che peraltro sarebbero impari nel tutelare altri beni, quelli estetici e culturali); dal punto di vista sociale e culturale (il contatto con la natura è un aspetto cruciale per lo sviluppo di ciascun individuo, sotto il profilo percettivo, estetico, della riduzione dell’aggressività, dell’affinamento dell’intuito e dell’attenzione); dal punto di vista etico (poiché la salvaguardia della biodiversità è ministeriale alla crescita umana è evidente la sua importanza morale). Data l’indispensabilità della biodiversità per il benessere di tutti si è provveduto nel tempo a costituire delle aree con regime speciale di conservazione del cosiddetto capitale naturale che esse posseggono. A tale conservazione presiede e provvede una Strategia Nazionale per la Biodiversità pensata sulla base di una serie di convenzioni e accordi internazionali.

Ciò che è importante capire è che la biodiversità è un bene-valore, un bene comune, un bene di tutti perché arricchisce la vita di ognuno. È un bene di cui tutti gli esseri viventi hanno diritto di godere.

Riconosciute la valenza della biodiversità e l’urgenza della sua tutela e della sua promozione occorre anche riconoscere che il successo di tali impegni non dipende solo dal monitorare la situazione, dalle statistiche circa il numero delle specie rimaste, dalle banche dei semi, dagli allevamenti per specie autoctone, bensì dalla seminagione nelle persone di una cultura di ecologia integrale, aperta alla Trascendenza; da una spiritualità che considera la biodiversità un dono di Dio; da una connessa educazione. Detto diversamente, accanto ad un’ecologia ambientale serve un’ecologia umana. Cittadini che non riconoscono limiti alla propria libertà non sono aperti alla contemplazione e al rispetto della ricchezza della biodiversità. Educare alla biodiversità significa, allora, aiutare, piccini e grandi, a cogliere e ad ammirare la bellezza del creato, la sua fastosa varietà. Riconoscere una specie arborea, un fiore, un uccello o un insetto sono abitudini che, a dire il vero, gli occhi di un bambino possono acquisire meglio di un adulto. Osservare il comportamento di un animaletto, crescere una pianta da giardino o da balcone, contribuire con piccoli gesti a tenere pulito un parco pubblico sono vie possibili per un imprinting ecologico che contrasta la strumentalizzazione di animali, alberi. Senza uno sguardo di stupore, senza la consapevolezza che non siamo padroni, bensì semplici amministratori del creato, non sarà possibile quell’utilizzo sapiente delle nuove tecnologie che le subordina alla coltivazione e alla crescita del creato. Per chi crede in Dio è naturale pensare che vi debba essere un’evangelizzazione dell’ecologia. Senza Dio, infatti, si perde il criterio e la misura dell’umano, il senso del creato come dono ricevuto, che è per tutti. Grazie all’evangelizzazione potrebbe crescere, con riferimento al creato, una spiritualità che fa spazio alla biodiversità, il rispetto degli ecosistemi e la condivisione.

In vista della conservazione della biodiversità è importante potenziare il ruolo della famiglia rurale. Nonostante nel mondo più industrializzato e consumistico si abbia una crescente svalutazione dell’agricoltura famigliare e il suo assottigliamento, se ne deve, invece, riconoscere il valore e le potenzialità rispetto alla salvaguardia della biodiversità. E questo perché? In primo luogo, perché l’agricoltura famigliare è più estesa di quanto possa credere il mondo che privilegia le produzioni di scala, le produzioni intensive, senza adeguata rotazione. In secondo luogo, perché le famiglie rurali riescono ad organizzarsi, oltre che in maniera cooperativistica, in aziende agricole che producono in maniera bio, offrono alternative biologicamente valide rispetto al centro commerciale o al supermercato ove non sempre si può essere sicuri che i prodotti posti in vendita siano privi di pesticidi e di sostanze tossiche.[1]
La famiglia sia come singola sia come associata (in forma cooperativa) può divenire protagonista di una ecologia integrale allorché imposta la sua economia in maniera da evitare lo stimolo compulsivo al consumo di oggetti o di prodotti usa e getta. Oggi crescono le famiglie resilienti, ovvero le famiglie che scelgono di prodursi beni, servizi di cui hanno bisogno per vivere, curando un orto nel giardino di casa o su un pezzo di terra messo a disposizione dall’amministrazione comunale, oppure costituendo gruppi di acquisto solidale, comprando insieme beni di uso quotidiano, andando a conoscere, produttore per produttore, dove e come si realizza ciò che viene comprato e consumato: frutta, verdure, olio, conserve, latte, formaggi, carne, pane. In tal modo, si possono potenziare quelle aziende rurali locali, che proprio grazie al funzionamento dei gruppi di acquisto solidale sono incentivate e stimolate a produrre meglio, favorendo la biodiversità, recuperando le antiche varietà di frutta (azzeruole, giuggiole, melagrane, mele cotogne, prugnoli), garantendo sconti collettivi, altrimenti impensabili.
Tutto questo favorisce il ritorno ad un’agricoltura di prossimità, al consumo di prodotti sani e di stagione, a filiere corte. Ciò è anche un modo per abbattere o comunque calmierare i costi solitamente elevati di certi prodotti, specie quelli bio.[2]

 

Da un’ecologia della vita quotidiana a un’ecologia culturale: in che modo una famiglia può cogliere l’occasione di questo passaggio?

Gli ambienti, in cui viviamo, influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Peraltro, la creatività delle persone, delle famiglie e dei gruppi sono capaci di ribaltare i limiti e i condizionamenti che l’ambiente inquinato (basti pensare alla Terra dei fuochi, ma non solo: l’inquinamento della terra, dei fiumi è diffuso pressoché in tutte le Regioni italiane) e le ideologie comsumistiche impongono. In alcuni ambienti ove le case come le loro facciate sono molto deteriorate, vi sono persone e famiglie che curano con molta dignità l’interno delle abitazioni. La vita sociale positiva e benefica degli abitanti, nonché delle famiglie, diffonde luce in ambienti a prima vista invivibilisia nelle zone urbane che rurali e di montagna. Infatti, le famiglie, con particolare riferimento a quelle agricole, contribuiscono a curare gli spazi e il paesaggio che, nel periodo primaverile, mostra pendii e vallette simili a giardini.

Le famiglie svolgono un ruolo importante anche rispetto al patrimonio culturale di determinati territori, sia riguardo alla coltivazione di piante rare e di prodotti tipici e all’allevamento di diverse razze di bestiame, alla seminagione di semi antichi. L’ecologia richiede la cura delle ricchezze culturali dei vari contesti locali per preservare le specie e i prodotti. Rispetto a ciò, le persone e le famiglie possono svolgere un ruolo importante nella conservazione di importanti tradizioni di coltura non omologante e degli ecosistemi.

Rispetto all’ecologia della vita quotidiana, cioè rispetto alla modifica di abitudini e di visioni culturali non congrue o  aggiornate, ma anche rispetto ad una ecologia culturale, i giovanipossono svolgere nelle loro famiglie e nei loro ambienti di vita, qualora siano adeguatamente formati e maturati in una felice sobrietà, nonché in una capacità innovativa, un ruolo importante, specie allorché siano animati dall’amore per le ricchezze culturali e per le tradizioni della propria terra.

Una grande importanza educativa, secondo l’impronta di una cultura ecologica integrale, possono avere quei laboratori che, presso gli Oratori e i Circoli ANSPI, raccolgono i giovani del territorio per riflettere, assieme agli addetti del settore e ad esperti, sulle politiche favorevoli alle famiglie rurali o alla bonifica dei siti inquinati che danneggiano la salute degli abitanti.

Ci può illustrare il concetto di “agricoltura famigliare” e la sua valenza rigeneratrice, capace di sovvertire manipolazioni e logiche di potere e sfruttamento nella gestione delle catene e del commercio alimentare?[3]

Gli studiosi dei problemi ecologici riconoscono che la famiglia svolge un ruolo importante nella tutela e nella promozione della biodiversità,[4]dell’ecologia integrale. La missione ecologica della famiglia si esprime in particolare sul piano dell’agricoltura familiare, che è una forma di agricoltura a conduzione famigliare.

«Agricoltura familiare» è oggi un’espressione tecnica, dall’uso frequente nelle Organizzazioni internazionali e nelle Agenzie che si occupano di questioni agricole. La famiglia, però, nel gergo di funzionari e tecnici internazionali, corre il rischio di essere considerata come una mera unità di misura per elaborare statistiche e indicatori. Peraltro, l’agricoltura familiare, secondo alcuni, sarebbe sinonimo di limitatezza e di arretratezza, una tappa solo parzialmente soddisfacente, chiamata ad evolvere verso qualche cosa di più moderno e strutturato.
Orbene, la famiglia rurale non può rimanere confinata in accezioni così aride, riduttive e fuorvianti. Il ruolo dell’agricoltura famigliare appare, invece, importante specie nelle società più industrializzate, dominate da ideologie caratterizzate da un particolare tipo di relativismo individualista, libertario e materialista, consumista, assolutizzante la tecnologia. La sua dimensione culturale, il suo valore e le sue potenzialità etiche – in
un contesto in cui l’agricoltura ha sempre più bisogno del supporto di un’«ecologia umana» -, appaiono vitali e imprescindibili.
La tradizione del pensiero sociale cattolico può offrire all’espressione «agricoltura familiare» tutto quello spessore semantico ed etico che incrementa l’unità delle persone che si amano, in un mutuo potenziamento d’essere e di relazionalità. In tal modo, viene dato alle famiglie rurali un substrato culturale e spirituale, gradualmente sedimentato negli animi e nella sensibilità civile dal cristianesimo. Nella famiglia rurale, nel suo particolare milieu possono così crescere nuovi protagonisti dell’agricoltura che, in un clima di amore per la terra, di fiducia nel dono di Dio all’uomo, concepiscono il loro lavoro come risposta alla chiamata della coltivazione del creato, con senso di umiltà, rispetto e di solidarietà intergenerazionale. L’azienda familiare, in forza dell’ispirazione cristiana, trova in se stessa gli incentivi ottimali per coltivare e custodire il dono della terra e presidiare il territorio, facendolo fruttificare in modo sostenibile, generazione dopo generazione.[5]Non ci può essere nulla di meglio dell’autentica relazionalità e convivialità familiari, che è humus fecondo e modello comportamentale esemplare, per un’agricoltura chiamata a rinsaldare una costante solidarietà tra gli uomini, a stabilire un rapporto di armonia tra l’umanità e la natura, a trasmettere valori, tradizioni e conoscenze.[6]
È importante, allora, difendere la famiglia rurale da discriminazioni a livello di credito e di investimenti (pubblici e privati), da ideologie fuorvianti o da quelle tecnologie che assorbono il ruolo specifico e tipico del coltivatore diretto e la dimensione familiare nella struttura operativa del mondo dei produttori di cibo.[7]Il lavoro dei campi coinvolge il nucleo della famiglia in una maniera del tutto particolare, in termini quasi di simbiosi con la terra, di riconoscenza nei suoi confronti, di esperienza privilegiata della presenza di Dio e del suo amore per le sue creature, di spiritualità vissuta nel grande tempio del creato, godendo e condividendo la bontà provvida del Signore della vita.

Le famiglie rurali, irrobustite dal pensiero sociale cristiano, sono naturalmente inclinate a non assecondare conservatorismi e forme di relazioni strumentalizzanti, di abitudini di consumo che sperperano le risorse, ma sono predisposte ad essere, piuttosto, fucine di radicali trasformazioni del­la qualità del­la vita di tutto il tessuto sociale,di cambiamenti spirituali e culturali che concernono la cura del creato.[8]

La presenza di famiglie unite e sane, strutturate in termini di amore e di solidarietà a livel­lo di volontariatoe di cooperazione, è la migliore garanzia contro ogni deriva individualistica o socio-sistemica. Esse rappresentano un efficace antidoto contro ordinamenti e istituzioni che umiliano la dignità del­le per­sone e non coltivano la destinazione universale dei beni della terra, non vigilando adeguatamente su forme di accaparramento delle risorse e di comportamenti illegali. Contribuiscono al­la costruzione di una società nuova: meno ego­ista, meno dilapidatrice del­le risorse naturali, meno devastante per l’ambiente, più orientata ad uno sviluppo sostenibile, più etica nel­la sua vita e nel­le sue strutture democratiche, più carica di speranza.

                                 + Mario Toso

 

[1]Con riferimento a questo aspetto va rilevato che le famiglie rurali sono riuscite, specie in contesti di robusta tradizione cooperativistica, a trovare sinergie con le cooperative di consumo, in modo da vedere ospitata la propria offerta di produzione nei supermercati. Detto altrimenti, da parte delle famiglie rurali, sono cresciute modalità di relazione con i supermercati gestiti da cooperative che vanno oltre all’essere alternative.

[2]Cf M. BOSCHINI, Nessuno lo farà al posto tuo, EMI, Bologna 2013, pp, 30-33.

[3] Per approfondire i contenuti di questa risposta rimandiamo a M. Toso, Ecologia integrale, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2020, specie pp. 87-124.

[4]Sul tema della biodiversità si consulti l’agile sussidio predisposto dalla C.E.I. in occasione della 14aGiornata per la Custodia del Creato (1° settembre 2019): Quante sono le tue opere, Signore (Sal. 104,24). Coltivare la biodiversità. La ricchezza della biodiversità italiana è seriamente minacciata da un’ampia serie di fattori: la distruzione degli habitat (urbanizzazione e consumo di suolo) e la loro frammentazione e degrado, l’invasione di specie aliene invasive, le attività agricole intensive, gli incendi, i cambiamenti climatici. Le specie minacciate di estinzione sono 161.

[5]Cf Graziano da Silva, articolo The Family Farming Revolution, 14 gennaio 2014.

[6]Cf Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Per una nuova evangelizzazione del rurale. Piste di lavoro conclusive del IV Congresso mondiale sulla vita rurale svoltosi a Roma dal 24 al 27 giugno 2012, n. 7.

[7]Su questo si legga: Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace,Terra e Cibo, Prefazione di Peter Turkson eMario Toso, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, pp. 29-30; p. 98.

[8] Cf M. Toso, Ecologia integrale, pp. 103-104.