[apr 11] Omelia – II Domenica di Pasqua (Divina Misericordia)

11-04-2021

Cari fratelli e sorelle, in questa seconda domenica di Pasqua la parola di Dio ci pone di fronte alla comunità dei primi cristiani. Ci fa capire come essi reagiscono di fronte alla risurrezione di Gesù Cristo. La prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli ci descrive la comunità cristiana mentre sembra aver superato lo sconcerto dopo la more del Signore Gesù. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano del grande favore della gente. Apparivano una comunità di credenti trasformati, aventi un «cuore solo e un’anima sola». Nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune, sicché nessuno era bisognoso (cf At 4, 32-35). Detto in altri termini, i primi credenti, in forza della comunione con il Risorto, oltre ad annunciare in Gesù la risurrezione dei morti, giungevano a distribuire i beni che essi possedevano. Pensavano che appartenendo tutti a Cristo, sino a formare una profonda comunione tra loro, non potevano non condividere le loro stesse proprietà. Se possedevano il Bene più grande, cioè Gesù, era naturale giungere a condividere i loro beni materiali. Dal brano degli Atti, dunque, viene a noi l’insegnamento della condivisione dei beni, della loro ridistribuzione fra i meno abbienti. I primi credenti pensavano che se volevano, da testimoni del Risorto, creare un mondo migliore, dovevano giungere alla condivisione dei beni materiali, quale conseguenza della condivisione dei beni spirituali, specie del bene più alto, cioè del Risorto. Papa Francesco, nella sua Lettera ai Partecipanti al Meeting di primavera 2021 della Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, si pone in linea coi primi cristiani. Nella situazione della pandemia odierna, rammenta il pontefice ai Grandi del mondo, se si vuole uscire dalla situazione attuale in cui si danno fratelli e sorelle che vivono ai margini della società, e sono esclusi dal mondo economico e finanziario, occorre ideare forme nuove e creative di partecipazione sociale, politica, economica, mostrando sensibilità nei confronti della voce dei poveri, impegnandosi ad includerli nella costruzione del nostro futuro comune. In vista di ciò, suggerisce, come punto di partenza, lo sviluppo di una cultura nuova: una cultura della fraternità e dell’incontro.

Ma veniamo ad un momento antecedente a quello della comunità descritta dagli Atti degli apostoli. Nel suo vangelo, Giovanni ci parla di Tommaso detto Didimo, cioè gemello, che a fronte di quanto gli dicono gli altri apostoli appare restio a credere nella risurrezione di Gesù Cristo. Egli non era presente nel luogo in cui i discepoli erano riuniti, a porte chiuse per timore dei Giudei, e ove Gesù si fece presente dicendo a loro: «Pace a voi!». Dopo aver mostrato a loro le mani e il fianco, suscitando in loro una profonda gioia, Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20, 19-31).

Notiamo che la comunità dei credenti descritta da Giovanni, rispetto a quella presentata dagli Atti, è esitante e timorosa nella sua testimonianza. Non tutti i discepoli, come Tommaso, erano giunti alla consapevolezza della risurrezione di Cristo. Se ben ricordiamo, il giorno di Pasqua, con il suo Vangelo, Giovanni ci ha fatto capire che egli precedette nella fede della risurrezione Pietro, che  era giunto per ultimo al sepolcro, ma si era affacciato per primo in esso. Oggi ci descrive la scena di Tommaso incredulo, otto giorni dopo la Pasqua. Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, tra i quali questa volta è presente Tommaso, che aveva detto: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Gesù, allora, ricomparso in mezzo ai suoi, interpella così Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente» (Gv 20, 27). Tommaso reagisce con la più splendida professione di fede del Nuovo Testamento: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20, 28). A questo proposito commenta sant’Agostino d’Ippona: Tommaso «vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio, che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino ad allora aveva dubitato» (In Iohann. 121, 5). Le piaghe viste e toccate da Tommaso diventano segni qualificanti dell’identità di Gesù, la sua carta di identità diremmo noi oggi.  In esse si rivela Gesù e fino a che punto Egli ci ha amati. Ossia, sino alla morte, con un amore infinito e misericordioso. Non a caso, nel 2000, san Giovanni Paolo II volle che questa seconda domenica di Pasqua fosse dedicata alla divina misericordia del Signore.

Tommaso per credere, ha toccato il corpo risorto di Cristo. Ma noi, che non possiamo toccare il Corpo risorto di Cristo? La Chiesa ci insegna che, per la nostra fede nel Risorto, noi abbiamo a disposizione il Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Grazie ad essa noi riceviamo il Battesimo, abbiamo molteplici segni della sua presenza, come l’Eucaristia. Pensando ad essi, nutrendoci del corpo di Cristo, «tocchiamo» Cristo e siamo indotti a credere in Lui, come fece Tommaso. In definitiva, abbiamo la possibilità di avere a disposizione dei segni tangibili che ci sollecitano a credere nel Figlio di Dio. Ciò che, però, più conta per i discepoli credenti è vivere la loro vita cristiana come una vita con Gesù Cristo, una vita insieme con Lui, uno stare nel suo cuore come Lui sta nel nostro. È così che si è testimoni del Risorto, ossia persone che partecipano alla vita di Cristo, il cui corpo, mediante la risurrezione, è spiritualizzato. Cristo, dopo la risurrezione, non sparisce dalla storia umana. Egli continua ad essere presente, sia pure in maniera invisibile. Egli continua la sua opera di rigenerazione dell’umanità e della storia. Essere testimoni del Risorto vuol dire rimanere uniti a Cristo che continua a lavorare nella storia per portare a compimento la realizzazione di quella nuova creazione che è venuto ad iniziare con la sua incarnazione. Significa lavorare assieme a Cristo per trasfigurare le persone, le relazioni, le istituzioni con il suo amore. Tommaso, dopo aver professato la sua fede nel Risorto evangelizzò la Siria e la Persia (così già riferisce Origene, riportato da Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl. 3,1), poi si spinse fino all’India occidentale (cf Atti di Tommaso 1-2 217ss), da dove infine raggiunse anche l’India meridionale. L’esempio di Tommaso e degli altri apostoli – pensiamo anche solo a Paolo e a Pietro che giunsero e furono martirizzati a Roma -, quali testimoni convinti e coraggiosi del Signore Risorto, corrobori sempre più la nostra fede in Gesù Cristo, nostro Signore e nostro Dio.

                                               + Mario Toso