[apr 12] Intervento – 60esimo “Pacem in Terris”

12-04-2023

LA PERSONA SOGGETTO DI DIRITTI E DI DOVERI.

L’ESSENZA MORALE DELLA DEMOCRAZIA NELL’ENCICLICA «PACEM IN TERRIS».

Premessa

In questa sede preme evidenziare l’attualità della Pacem in terris (=PT)[1] come alternativa a concezioni della democrazia di tipo populista, oligarchico, meramente strumentale e procedurale che indeboliscono lo Stato di diritto. Visioni, queste, chiaramente rigettate e superate anche dalla successiva enciclica Centesimus annus (=CA) di san Giovanni Paolo II.[2] Per il pontefice polacco la democrazia non è solo un insieme di regole procedurali, ma è anzitutto fondata sulla comunione di beni-valori, è sostenuta da un ordinamento giuridico (da uno Stato di diritto) e da una attività legislativa personalisti. La democrazia senza una verità oggettiva sull’uomo e senza il riferimento a beni-valori certi cade facilmente preda di totalitarismi aperti o subdoli (cf CA n. 46).

Oggi è ampiamente riconosciuto che la crisi della democrazia, forma di governo piuttosto diffusa presso i popoli contemporanei, è soprat­tutto – oltre che crisi istituzionale e partecipativa – una crisi morale, una crisi di valori. È necessario, allora, il recupero di quest’ultimi, ai due livelli, personale e sociale. Alla stagione dei diritti deve affiancarsi la stagione dei doveri, intesi però non come meri imperativi categorici imposti dalla volontà umana, bensì come azioni richieste dall’ordinamento a Dio Sommo Bene.

Ma, se i più convengono sull’urgenza della riforma strutturale e morale della democra­zia, ritrovando una nuova unità attorno a beni-valori comuni, pochi sembrano dispo­sti a riconoscere loro un qualche radicamento oggettivo nell’ordo ad Deum, come anche ai doveri-diritti. Così, se molti parlano dell’urgenza della riforma delle regole del gioco della democrazia, pochi credono in una società politica basata anzitutto sulla comunione: come comuni­cazione e condivisione di conoscenze nella luce del vero; come impulso e richiamo al bene morale; come nobile comune godimento del bello, in tutte le sue legittime espressioni; come permanente disposizione a effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; come anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione ai valori spirituali.

 

  1. Diritti e doveri oggi

È utile oggi illustrare l’apporto della PT specie per quanto concerne gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia nelle democrazie odierne.

L’internazionalizzazione dei diritti deve, infatti, poter continuare ad usufruire di un codice etico-culturale transnazionale. Così, la discreta attrezzatura di governo globale, affermatasi negli anni passati, esige di essere perfezionata. Inoltre, lo ius positum internazionale deve rafforzarsi come spazio costituzionale e giudiziario mondiale.

In un contesto in cui si lamenta la carenza di visione, la PT può essere ancora considerata matrice di una nuova progettualità a respiro globale. Tra i pilastri di una tale progettualità vi è senza dubbio da porre il fondamento dei fondamenti di ogni ordinamento giuridico, ovvero la persona umana, soggetto e sorgente prima di diritti e di doveri. La costruzione di una società pacifica mondiale comporta la realizzazione dei diritti-doveri delle persone e dei popoli. Redatti in apposite «carte» che la PT considera «segni dei tempi», i doveri-diritti sono le direttrici lungo le quali muoversi per realizzare uno sviluppo integrale, comunitario, planetario, inclusivo diremmo oggi.

Nella PT si trova l’elenco più completo delle varie encicliche sociali (cf PT nn. 6-17). Il magistero sociale successivo, oltre ad averlo integrato ed aggiornato, ha riconfermato in particolare la chiara impostazione e fondazione teologica ed antropologica di essi (cf PT n. 5). Hanno come soggetti non solo i singoli, ma anche i gruppi di persone e le varie comunità.

Essi, come appena accennato, si debbono considerare un corpus in movimento, suscettibile di approfondimento e di completamento, a seconda della maturazione della coscienza sociale e delle nuove situazioni. È noto che l’elenco dei diritti e doveri della PT sarà successivamente integrato specie con i diritti che alcuni definiscono di terza (il diritto alla pace, allo sviluppo plenario qualitativo, sostenibile, all’ambiente morale, all’acqua potabile, all’ambiente salvaguardato) e quarta generazione (ad es., diritto alla privacy, alla tutela del genoma).

A riprova dell’approfondimento e del perfezionamento dell’elenco dei diritti si tenga presente che nella PT il diritto alla libertà religiosa è riconosciuto per tutte le persone aventi una coscienza retta (vera o invincibilmente erronea) (cf PT n. 8). In tal modo, rispetto al precedente magistero che riconosceva un diritto di libertà religiosa solo per i cattolici perché professanti una religione vera, si apre il varco per l’affermazione del diritto anche per i non cattolici. Ci si ferma, però, nell’ambito della rettitudine di coscienza e non si includono nel diritto tutte le persone in quanto esseri capaci di conoscere il vero, il bene e Dio, indipendentemente dal fatto che giungano a possedere il vero o a fare il bene o a credere in Dio. Invece, nel documento conciliare della Dignitatis humanae il diritto – e ciò è un passo decisivo e nuovo – è fondato non più sulla rettitudine della coscienza, ma sulla stessa natura umana, dotata di ragione e di libertà – sulla dignità umana – e perciò chiamata ad assumere la sua responsabilità quando si tratta di comporre il proprio rapporto con Dio. È chiaro, allora, che alla luce della fondazione «parziale» del diritto alla libertà religiosa per tutti, da parte della PT, la sua stessa proposta di una comunità democratica e pluralista, non può non apparire bisognosa di integrazione, per i titolari del diritto e, quindi, per il tema della sana laicità dello Stato.

  1. Il fondamento dei doveri e dei diritti

Ma, come accennato, per noi oggi è cruciale il fondamento che è dato ai diritti e ai doveri da parte della PT, in un contesto in cui i diritti appaiono sfuocati e perdono il loro riferimento ultimo, sicché anche gli arbitrii divengono diritti. Attualmente più che alla persona – considerata da Antonio Rosmini il «diritto sussistente» – si fa riferimento all’individuo, ad un «io» meramente biologico e mercantilizzato,[3] oppure a sue qualifiche particolari relative alla razza, all’etnia, al colore della pelle, alla religione, all’opinione politica, all’«orientamento sessuale». Nella PT i diritti e i doveri sono radicati nella persona umana integrale, in una natura, non intesa in senso fisicista e statico, dotata di intelligenza e di libertà, nella legge morale naturale inscritta nella coscienza di ogni uomo e donna. Detto altrimenti, i diritti e i doveri sono fondati su un primum ontologico, etico, metapositivo, che non esclude l’omologazione giuridica e il consenso sociale, ma li precede. Non sono, pertanto, condivisibili le posizioni del positivismo o decisionismo giuridico (il fondamento ultimo dei diritti è dato dalla norma che li pone), dello storicismo (il fondamento metapositivo dei diritti è dato dalla «coscienza storica» nella serie dei suoi processi), del neogiusnaturalismo libertino (fondamento del diritto è sì la persona, ma concepita secondo termini di spontaneismo e di istintività): posizioni tutte implicanti relativismo e, in certa maniera, tradimento della piena dignità della persona. Così, non sarebbero del tutto condivisibili le posizioni – più vicine a noi – della teoria dei diritti del neocontrattualismo di John Rawls (sono diritti solo quelli che sono oggetto di accordo razionale unanime fra le parti in posizione originaria, dietro il velo di ignoranza, o quando vi sia un overlapping consensus), della teoria dei diritti di Bruce Ackerman (diritti sono solo quelle pretese o rivendicazioni che superano la prova del dialogo neutrale, che è da assimilare al fiat metodologico del contratto rawlsiano), della teoria dei diritti del neoutilitarismo (sono diritti solo quelli che consentono di ottenere utilità col­lettiva massima).[4]

Infine, non possono essere accettate come base dei diritti – Giovanni Paolo II lo afferma esplicitamente – culture democratiche fondate sull’agnosticismo o sul relativismo scettico (chiara allusione al pensiero di Hans Kelsen): un’autentica democrazia è possibile solo ove si abbia un diritto certo e una retta concezione della persona umana (cf CA 46).

Merita che ci si fermi qualche istante a riflettere sulla fragilità della fondazione contemporanea dei diritti. Poiché l’affermazione e la rivendicazione dei diritti soggettivi viene giustificata appellandosi alla libertà o ai desideri non guidati dalla verità o ad un mero consenso sociale o ad un dialogo neutrale sorgono varie incongruenze: i diritti prolificano sino a diventare pretese a qualsiasi comportamento; si moltiplicano i conflitti irresolubili tra i diritti di persone diverse; non vi è alcuna ragione per rispettare i diritti altrui sacrificando i propri; né vi è alcuna ragione che giustifichi doveri per soddisfare simili diritti. È nella debolezza del fondamento dei diritti che, ad esempio, trovano oggi terreno fertile la teoria del gender, la richiesta di genitorialità ad ogni costo e mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti che la scienza medica mette a disposizione e, più in generale, la rivendicazione di asserite situazioni giuridiche soggettive che risultano, in realtà, frutto di scelte arbitrarie e libertarie. Peraltro, tali posizioni, sempre più frequentemente sia nelle società che nei Parlamenti, vengono presentate come diritti assoluti e come tali meritevoli della tutela degli ordinamenti. In linea con queste posizioni, pochi giorni fa il Parlamento europeo ha approvato un emendamento al testo della proposta di Risoluzione sullo stato di diritto nell’UE, peraltro giuridicamente non vincolante. Tale emendamento “condanna le istruzioni impartite dal Governo italiano al Comune di Milano di non registrare più i figli di coppie omogenitoriali”. Nell’emendamento, si legge ancora, che il Parlamento europeo “ritiene che questa decisione porterà inevitabilmente alla discriminazione non solo delle coppie dello stesso sesso, ma anche e soprattutto dei loro figli; ritiene che tale azione costituisca una violazione diretta dei diritti dei minori” e invita “il Governo italiano a revocare immediatamente la sua decisione”. In questo caso, pur riconoscendo che il matrimonio e la filiazione rientrano nella competenza degli Stati membri dell’UE, questi, per costante giurisprudenza della Corte di giustizia europea, devono rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, la libertà riconosciuta ad ogni cittadino europeo di circolare e di soggiornare liberamente negli Stati membri. Quindi, per consentire ai minori che hanno la cittadinanza di un paese dell’UE di circolare liberamente nel territorio dell’Unione occorre che gli Stati membri rilascino un documento che consenta loro l’esercizio di tale diritto assieme alla coppia omogenitoriale che ha ottenuto un atto di filiazione in un Paese UE in cui ciò è consentito. Detto altrimenti, si fa leva sui diritti dei minori alla libera circolazione nell’Unione europea per riconoscere ciò che, allo stato attuale, l’ordinamento giuridico italiano non consente.

Non va dimenticato che secondo l’impostazione di una morale moderna, quale è sottesa alle concezioni neocontrattualiste, neoutilitariste e dialogiche dei diritti, si fa sì appello al dovere, ma senza fondarlo ultimamente, come accennato, nell’ordo ad Deum. Per realizzare i diritti non basta appellarsi al dovere categorico verso gli altri e all’obbligo di osservare le corrispondenti norme. Ciò che è fondamentale è la considerazione della finalizzazione della condotta verso il Bene supremo dell’uomo, ossia l’ordo ad Deum. Del dovere e dell’obbligo si può dar ragione solo se si spiega che riguardano azioni necessariamente richieste dall’ordo ad Deum, ossia dall’ordinamento a Dio sommo bene al quale è dovuto amore.

In breve, nessuna convenzione tra esseri umani, nessun consenso, nessuna necessità puramente logica può di per sé rendere ragione di un obbligo che s’impone a persone libere e responsabili. Neanche l’appello a valori intesi in senso «soggettivistico», ossia a valori-«costruzioni» del soggetto psichico, quali «oggetti» creati dal sentimento, dalla volontà, dalla ragione, aventi una valenza che non è «oggettiva» o «reale», ma  solo «intersoggettiva» ed «ideale» o «di coscienza».

Se i valori sono costruzioni artificiali, entità meramente concettuali, senza fondamento nella realtà extramentale e psichica, allora le scelte perdono senso. E ciò perché il loro contenuto diventa incommensurabile. La conseguenza è che tutte le scelte diventano equivalenti. Ogni scelta avrebbe valore non perché ragionevole e fondata, bensì perché così ha deciso il soggetto. Non c’è più la possibilità di valutare le scelte con criteri universali, che valgono indipendentemente da esse. Ogni scelta pone i suoi valori e basta.

In definitiva, o gli ordinamenti giuridici usufruiscono del riferimento ad un’esperienza morale inclusiva di Dio – Bene trascendente perfettissimo, da amare come fine ultimo della vita – o vengono meno motivazioni forti ed incondizionate per la loro realizzazione. Detto altrimenti, la benevolenza nei confronti degli altri, singoli o popoli; la giusta collaborazione per dar luogo ad istituzioni e ad ordinamenti giuridici internazionali secondo le esigenze del bene comune mondiale; l’adempimento di norme e doveri; la pratica delle virtù sono vissuti con più determinazione e perseveranza: non solo per se stessi, per amore dei beni dell’uomo, bensì anche ultimamente per amore di Dio. Grazie a questo amore, il fondamento dei diritti diventa più sicuro, meno precario ed ambiguo. I diritti poggiano sul perché le persone e i popoli debbono essere ciò che sono in germe: esseri aperti al compimento in Dio, ovvero esseri trascendenti.

In tal modo, gli ordinamenti giuridici, lo ius positum internazionale, la laicità degli Stati non sono in balia di coscienze relativistiche o utilitaristiche.

 

  1. Indivisibilità dei diritti e doveri

Nella PT, nella quale lo Stato di diritto è intrecciato con lo Stato sociale democratico, si incontra la presentazione di una lista di diritti e doveri che hanno un fondamento metapositivo e che sono da intendersi come diritti universali, inviolabili, inalienabili, indivisibili: i diritti civili e politici non si possono realizzare, ad esempio, senza i diritti sociali. Una simile concezione aiuta a contrastare le odierne posizioni dell’opinione pubblica o di politici secondo i quali il necessario risanamento dei conti pubblici e la crescita sono da conseguire, in un contesto di crisi finanziaria e di recessione economica, anche a prezzo della riduzione dei diritti sociali – si parla qui di diritti fondamentali, non di riduzioni concordate del salario, di acquisizioni secondarie pure attribuite ai diritti dei lavoratori, come i soggiorni in case  estive a spese dell’impresa o altre facilitazioni –, dello smantellamento dello Stato sociale[5] e delle reti di solidarietà della società civile, nonché della sospensione della democrazia. L’insieme dei diritti e dei doveri della PT comprende la tutela e la promozione del diritto al lavoro (n. 10), che oggi viene sottodimensionato da quella cultura neoliberista, tipica del capitalismo finanziario sregolato, secondo cui il lavoro è un «bene minore» o addirittura un bene facoltativo. Il lavoro, invece, è un bene fondamentale per la persona, per la sua socializzazione, per la formazione di una famiglia, per contribuire al bene comune e alla realizzazione della pace. Come spiegherà più ampiamente la Laborem exercens di Giovanni Paolo II e la Caritas in veritate (=CIV) di Benedetto XVI, ad un tale bene corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti di modo che sia accessibile a tutti coloro che ne sono capaci (cf ad es. CIV n. 35)[6]. Recentemente papa Francesco, durante l’udienza al personale dell’Inail, ha affermato che quando il lavoro si degrada si impoveriscono democrazia e società.[7]

 

  1. Lacune ed incongruità nelle comunità politiche

Le prospettive antropologiche e giuridiche della Pacem in terris aiutano, inoltre, ad evidenziare altre gravi lacune ed incongruità nell’azione contemporanea delle attuali comunità politiche.

Oggi appare sempre più evidente come sia pregiudicato il fondamento dei diritti sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), messa in discussione non solo dalla cultura asiatica o da religioni come l’islam e il buddismo, ma anche dalla stessa cultura occidentale che l’ha generata e che ora appare improntata al neoindividualismo e al neoutilitarismo.

Vi sono comunità che, pur riconoscendo il diritto primario alla vita, hanno praticamente liberalizzato l’aborto e alcuni gruppi ne vorrebbero anche sancire il «diritto». Non solo. Vi sono ordinamenti giuridici e amministrazioni della giustizia che consentono la discriminazione di chi fa la obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto, della guerra e dell’eutanasia. Parimenti, mentre nelle Costituzioni è omologato il diritto alla libertà religiosa, crescono i pregiudizi e la violenza nei confronti dei cristiani e dei membri di altre religioni in tutta l’area dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). In tale area si è praticamente disegnata una linea divisoria netta tra credenza religiosa e pratica religiosa, sicché spesso ai cristiani viene ricordato, nel pubblico dibattito e sempre più di frequente anche nei tribunali, che possono credere tutto ciò che vogliono nelle loro case e nelle loro teste e che possono rendere culto come desiderano nelle loro chiese private, ma che semplicemente non possono agire in base a queste credenze in pubblico. Si tratta di una distorsione deliberata e di una limitazione del vero significato della libertà di religione. Esse non corrispondono alla libertà prevista nei documenti internazionali, compresi quelli dell’OSCE. Sono molti gli ambiti in cui emerge in modo evidente l’intolleranza. Negli ultimi anni si è manifestato un aumento significativo di episodi in cui dei cristiani sono stati arrestati e persino perseguitati per essersi espressi su questioni cristiane. Alcuni leader religiosi sono stati minacciati con l’intervento della polizia dopo aver predicato sul comportamento immorale, e alcuni sono stati addirittura condannati al carcere per aver predicato gli insegnamenti biblici relativi all’immoralità sessuale. Perfino le conversazioni private tra cittadini, compresa l’espressione di opinioni nelle reti sociali, in molti paesi europei possono diventare motivo di denuncia penale o perlomeno di intolleranza. Inoltre, si sono verificati numerosi casi di cristiani allontanati dal luogo di lavoro solo perché hanno cercato di agire secondo la propria coscienza. Alcuni di essi sono ben noti, poiché sono apparsi anche dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’intolleranza nel nome della «tolleranza» dev’essere chiamata con il suo vero nome e condannata pubblicamente. Negare ad un argomento morale, basato sulla religione, un posto nella pubblica piazza è un atto antidemocratico. La questione della libertà religiosa, peraltro, non può e non deve essere incorporata in quella della tolleranza. Di fatto se fosse questo il valore umano e civile supremo, allora qualsiasi convinzione autenticamente veritiera che ne escluda un’altra equivarrebbe all’intolleranza. Inoltre, se una convinzione valesse l’altra, si potrebbe finire con l’essere compiacenti anche verso le aberrazioni.[8]

Non si può, poi, ignorare che in Europa, oltre che nel Nord e Sud America, sono state introdotte nuove figure di matrimonio, come ad es. il same-sex marriage, che di fatto indebolisce il matrimonio tra un uomo e una donna, suggerendone addirittura l’abolizione come istituzione. Con l’introduzione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, infatti, si viene ad intaccare, fra l’altro, la funzione generazionale, che non è assolutamente ininfluente per il bene comune, anzi è fondamentale per l’esistenza futura di un popolo.

Nel dibattito, viene data la priorità ad un’antropologia indifferenziata e si pone così la questione se, nell’interesse del bene comune, un’istituzione retta dalla legge debba continuare a indicare il legame fra stato coniugale e procreazione, il legame fra l’amore fedele di un uomo e di una donna e la nascita di un bambino. Giustamente i vescovi cattolici d’Inghilterra e Galles in merito alla legalizzazione in Gran Bretagna delle nozze fra persone dello stesso sesso,[9] hanno commentato che la nuova normativa introduce una ridefinizione del matrimonio tradizionale e preannuncia un profondo cambiamento sociale.[10]

Alla luce delle incongruità e delle problematiche suaccennate appare chiaro che non poche democrazie poggiano sempre più su ordinamenti e prassi giuridici che appaiono contraddittori o, per lo meno, non coerenti. Così, diviene sempre più evidente che l’adozione generalizzata, da parte delle democrazie contemporanee, di un’etica di terza persona, ovvero un’etica che viene costituita sulla base del punto di vista di uno spettatore imparziale per meglio tutelare qualsiasi opinione, finisce per consentire l’omologazione di tutto e il contrario di tutto. In tal modo, le democrazie post-secolari, mostrano tutto il loro depotenziamento etico che finisce per aggravare il loro declino civile e demografico.

La secolarizzazione moderna dello Stato si sta consumando in un secolarismo spinto che, mutuandone la soppressione teorica e pratica della legge morale naturale, nonché del riferimento a Dio suo fondamento ultimo, si manifesta sia attraverso una nozione dei diritti che li identifica sempre più – almeno presso alcune famiglie spirituali più appariscenti – con pretese individualistiche, assolute, senza misura; sia mediante una progressiva marginalizzazione delle religioni e delle rispettive comunità dalla vita pubblica; sia, da ultimo, con la teorizzazione propiziata dal prevalere di una mentalità mercantile, di uno Stato democratico in cui i diritti sociali non sono più considerati pilastro fondamentale di civiltà bensì un optional.

In tal modo, i conflitti sui diritti si accentuano senza speranza di una pur minima convergenza. Mancando loro un fondamento obiettivo ed universale e, quindi, un criterio ultimo di giudizio – identificato nella dignità umana non ideologizzata –, è impossibile pronunciarsi circa la loro autenticità o falsità. Gli ethos sociali vengono devitalizzati, e gli Stati sembrano regredire verso forme liberal-borghesi dell’Ottocento.

 

  1. Volontà di dominio da parte dello Stato democratico contemporaneo

Nell’attuale contesto di globalizzazione e di crisi degli ethos civili, se per un verso lo Stato contemporaneo vede ridimensionata la sua sovranità nazionale, per un altro sembra accrescerla oltrepassando la sua competenza.

Mentre è sensibilmente diminuita la capacità di fissare le priorità dell’economia e di incidere sui dinamismi finanziari internazionali (cf CIV n. 24), nonché su altre questioni vitali e globali – tra cui le pandemie,  l’accesso all’acqua potabile per tutti, l’equa distribuzione delle risorse energetiche, la transizione ecologica,[11] la sicurezza alimentare,[12] il controllo del fenomeno di migrazioni bibliche, della sicurezza[13], delle diseguaglianze –,[14] appare, invece, aumentata la sua decisionalità e la sua discrezionalità nei confronti dei diritti delle persone, dei corpi intermedi e delle comunità primarie, come le famiglie e le Chiese.

Sembra pertanto che, alla carenza di potestà decisionale in ambito economico-finanziario ed ambientale, da parte dello Stato corrisponda, in ambito etico-religioso, una più puntigliosa volontà di dominio che, facendosi scudo del principio democratico della maggioranza, legifera anche contro i diritti soggettivi delle persone e delle comunità, quali il diritto alla vita, alla libertà religiosa, alla salvaguardia dell’ambiente e alla pace. Lo Stato, troppo spesso, appare debole coi forti, ma prepotente con coloro che non lo possono ricattare con il denaro o con la violenza. E così, le ragioni della politica non sempre sono le ragioni del bene comune, non sempre salvaguardano i più poveri e indifesi, i diritti dell’uomo.

Ciò appare in maniera particolarmente drammatica quando si pensa alle problematiche della bioetica e del senso della vita. Su di esse lo Stato non è ultimamente competente. Sono questioni che dovrebbero essere sottratte all’arbitrio e ai diktat di maggioranze parlamentari. Esigono di essere, in prima istanza, regolate alla luce della legge morale naturale, iscritta da Dio nella coscienza di ogni uomo[15]. Lo Stato non può farsi paladino di concezioni e ideologie che mirano a «snaturare» l’identità dell’uomo – come quella del genere – né tanto meno promuovere attività che sottomettono indiscriminatamente la vita umana agli sviluppi della tecnica. Infatti, le questioni che attengono alla vita ed alla dignità della persona, quali la clonazione umana o il sacrificio di embrioni umani per fini di ricerca, non possono essere affrontate avendo a mente solo ciò che è tecnicamente possibile, ma valutando attentamente ciò che è moralmente lecito.

Dopo le suddette considerazioni, appare evidente che l’impianto etico e giuridico della PT, di stampo personalista e comunitario, nonostante alcuni limiti legati al contesto storico in cui è apparsa, rimane punto di riferimento sicuro per la progettualità di questo nuovo millennio. Essa esige che lo Stato di diritto sia a misura della dignità delle persone e dei popoli, una dignità aperta alla trascendenza.

 

  1. La democrazia senza un’anima etica è nulla

L’attuale crisi della politica, dei partiti e della democrazia, ormai ampiamente svuotata dei suoi ideali, è sotto gli occhi di tutti.[16] Non a caso la crisi della democrazia – intesa, per un primo verso, come deficit di rendimento dei sistemi democratici e, per un secondo verso, come sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e delle élite politiche democratiche – è un fenomeno ampiamente studiato e discusso anche in ambito politologico. Si può constatare che, a proposito della democrazia, si parla, fra l’altro, di malessere, di autoritarismo, di «pazzo-democrazia», di democrazia senza democratici, di democrazia insoddisfatta,[17] recitativa.[18] Alla fine del ventesimo secolo, scrive Emilio Gentile, «la peggiore forma di governo, eccetto tutte le altre» sembrava destinata a trionfare nel mondo. Nel 1991 Norberto Bobbio riteneva che non fosse «troppo temerario chiamare il nostro tempo l’era delle democrazie». Ma nel primo decennio del ventunesimo secolo, la democrazia rappresentativa appare ovunque in crisi, come peraltro le pubbliche amministrazioni.[19]

La crisi investe non solo l’Italia e l’Europa, ma anche gli altri Continenti. In varie Nazioni, dell’Europa, del Sudamerica e di altre aree geografiche, emerge il problema delle rappresentanze politiche, compresa quella dei cattolici. Se analizziamo tali rappresentanze, dobbiamo registrare una loro progressiva desertificazione. La crisi della democrazia, infatti, soggetta a forme di populismo e di leaderismo oligarchico, ha contribuito al loro indebolimento. Oggi, non soltanto manca spesso l’autorevolezza e l’efficacia dei detentori del potere politico, ma anche quella delle élite economiche e sociali. Diventa, pertanto, sempre più chiaro che, se le società civili intendono conservare uno stile di vita di tipo democratico, partecipativo e deliberativo, occorre adoperarsi per la nascita di nuovi movimenti sociali, per la riforma dei partiti e delle molteplici istituzioni, in cui è articolato il tessuto civile, non esclusi i sindacati.[20] In mancanza di ciò, sarà impossibile sperare nel rilancio di adeguate rappresentanze politiche. E poi, l’attuale scenario caratterizzato dal predominio di un neoliberismo individualista e utilitarista, con la progressiva debilitazione della famiglia, delle attività del volontariato, dell’associazionismo, dell’impresa sociale, della cooperazione, del credito etico, non potrà che cedere il passo alla dittatura di un pensiero unico e alla mercantilizzazione di ogni realtà. Ci si troverebbe davanti alla fine di tutto quel mondo che non segue la logica del mercato e che, per fortuna, sia pure con gravissime difficoltà, continua ostinatamente ad esistere e ad insegnare che non tutto nella vita è misurabile con il criterio del PIL o con la logica delle Borse, aspetti imprescindibili, sì, ma non unici e prioritari.

Si tenga presente che assieme alla democrazia è messa in crisi la sua «promessa» fondamentale, che la modernità aveva immesso nel suo genoma: l’emancipazione della soggettività e la liberazione dalle catene del dominio eteronomo per poter essere realmente autonomi e, per questo stesso, più liberi.[21] Peraltro, la crisi dell’attuale democrazia non è dovuta solamente a problemi riconducibili alla temperie culturale neoindividualista e mercatista contemporanea. Si tratta, infatti, di una crisi che viene da lontano, vale a dire dalle premesse antropologiche individualiste ereditate dalla cultura moderna, grembo in cui ha preso forma. In particolare, discende dall’aporia principale della filosofia moderna, secondo la quale il soggetto è un essere radicalmente libero ed utilitario.[22] Ritenendosi alieno da ogni morale, non può, per sé, convivere con altri soggetti. Eppure, per un altro verso, non può sopravvivere senza associarsi e, quindi, senza osservare una morale, una legge. Ecco, allora, la legge morale positiva, da osservare come un obbligo, come qualcosa di sostanzialmente estraneo, un espediente per sopravvivere, ma, comunque sia, con riserva. Nella collaborazione sociale, rispetto all’osservanza dei diritti, l’uomo si ritrova praticamente sprovvisto di ragioni superiori, indipendenti dai suoi interessi. Tra le conseguenze, che giungono sino a noi, vi è il fatto che l’atmosfera simbolica, caratterizzante le attuali culture, appare gravitare verso una comunicazione pervasiva e rigidamente controllata da modelli consumistici, pragmatici e tecnocratici. E così, in quest’epoca della post-modernità, segnata dal demone della paura e da una cultura «fluida»,[23] che inizia mille processi di cambiamento, ma non ne porta a termine nessuno, ricominciando sempre da capo con altri mutamenti, prevale un individualismo libertario ed utilitarista, tale da mettere a repentaglio il cuore etico della democrazia e la libertà stessa.

Oggi non viviamo tanto un’epoca di cambiamenti, quanto un cambiamento d’epoca. Nel mondo si stanno attestando, come conferma la recente guerra tra Russia e Ucraina, nuovi equilibri economici e politici, che si strutturano attorno a realtà storico-politiche che non sono più l’Europa e gli Stati Uniti.[24] Si tratta, infatti, di un mondo più interconnesso e sempre meno «eurocentrico», più ricco di soggetti politici ed economici significativi. Inoltre, la globalizzazione, pur dotata di aspetti positivi, ma non adeguatamente regolata, ha instaurato nuove comunicazioni e collegamenti, tali da favorire la concentrazione del potere finanziario nelle mani di pochi, nonché nuove diseguaglianze. Si tratta di un potere pressoché irresistibile, rispetto al quale la stessa politica, che pur ha favorito un simile processo, sembra aver ceduto il passo. I sistemi finanziari, poi, appaiono poco propensi a favorire il progresso supportando l’economia reale, malati come sono di eccesso di volatilità e dominati da troppo capitale «supersonico» e da scarsità relativa di capitale «paziente». Alle élite tecno-finanziarie, sempre più autoreferenziali, corrispondono élite economiche, governate dalla logica del profitto a breve termine, che finisce per emarginare il lavoro manuale, artigianale, agricolo, sociale. E, pertanto, la stessa libertà di lavorare diventa un privilegio di pochi.

Non si può, infatti, dimenticare che la rivoluzione tecnologica, non orientata in maniera umanistica, porta a forti squilibri occupazionali e distributivi, al capitalismo dei robot, a disparità crescenti.

Il mondo che si sta costruendo si manifesta come una trappola senza vie di scampo per i più deboli e i più poveri, un mondo ove sovrastano implacabili dinamismi che stringono le maglie della libertà e riducono le opportunità.

Di fronte a questi fatti, occorre ridare un’anima etica alla vita economica e politica, oltre che alla cultura. Urge rimodellare in senso umanistico lo sviluppo tecnologico. Il che, in ultima analisi, significa rispondere all’insopprimibile desiderio di vero, di bene e di Dio, e alla indisgiungibile vocazione alla libertà, che alberga in ogni essere umano. È con il retto esercizio della libertà, infatti, che ogni persona si auto possiede, decide di sé, dell’orientamento da dare al proprio compimento. L’anelito al Bene trascendente dona quella speciale tensione ed apertura, che sollecita a superare ogni condizionamento imprigionante e mortificante la nostra libertà di scelta e di autonomia. L’esperienza attesta che, nella persona umana, la libertà è intimamente connessa alla ricerca della verità e del Bene supremo. Non è solo per un’esistenza fine a sé stessa. Essa fiorisce attraverso un’esistenza in relazione, che si realizza mediante il dono di sé, prendendosi cura dell’altro, del bene comune. La libertà non è soltanto spezzare le proprie catene, ma anche vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà altrui.[25]

Secondo la PT, la libertà è connessa con la verità, la giustizia e l’amore (cf n. 18). I quattro beni-valori su cui si fondano le relazioni interpersonali e sociali si intersecano tra loro, sono interdipendenti e complementari. L’assenza di uno di questi quattro beni-valori, beni spirituali, pregiudica l’ordine essenzialmente morale della convivenza sociale e della democrazia.  La libertà senza verità, senza giustizia e amore diventa una libertà radicale, arbitraria. Indifferente nei confronti del vero, del bene e di Dio, non si lega al bene delle persone e della comunità politica, non è fonte di creatività, ma di conflitti. Parimenti l’amore, senza giustizia, verità e libertà non è più forza morale propulsiva, che muove, alla comunione gli uni con gli altri, alla solidarietà, alla sussidiarietà, al bene delle persone e della comunità. Si riduce a passione inutile, a mero sentimentalismo, come è stato anche sottolineato dalla Caritas in veritate (cf n. 4). Così, la giustizia senza libertà, verità e amore perde la sua misura etica, nonché il proprio riferimento al bene umano e trascendente.

Orbene, l’ordine essenzialmente morale che la PT pone come anima della convivenza sociale e politica è di primaria importanza per superare la crisi multidimensionale della democrazia contemporanea. Un tale ordine, come è detto nella PT, è fondamentale nel regolare i rapporti tra le persone umane nella convivenza sociale, i rapporti tra le singole persone e i poteri pubblici, i rapporti fra le comunità politiche, i rapporti delle singole persone e delle comunità politiche con la comunità mondiale. Grazie a un tale ordine morale le molteplici relazioni sopraelencate hanno come fondamento la Verità, come obiettivo la Giustizia, come forza propulsiva l’Amore, come metodo nell’agire la Libertà (n. 18): tutti valori spirituali intrinsecamente aperti e protesi verso l’Infinito Iddio: Verità sussistente, Bontà somma, Pienezza di Vita. Secondo la PT, il cuore della democrazia non è dato primariamente da regole e procedure, pur importanti, ma da un’anima etica incarnata nell’ethos del popolo su cui converge il consenso e da cui prendono vigore gli ordinamenti giuridici. Più precisamente, la democrazia è data dall’esistenza unitaria di più elementi: sostanziale, strutturale e metodologico (maggioranza e minoranza), che nel tutto che compongono rappresentano rispettivamente la forma, la materia e il meccanismo interno. Tutti gli elementi sono costitutivi e necessari, ma l’elemento primario è quello sostanziale, in quanto qualifica e specifica l’anima etica della democrazia.

L’elemento sostanziale o specificante è dato concretamente dal riconoscimento dei diritti e dei doveri dell’uomo, che non sono una concessione dello Stato. Essi sono naturali – ossia scaturiscono dalla stessa natura dell’uomo –, sono inalienabili e inviolabili.

Nella PT l’elemento che è proprio della visione liberale dello Stato di diritto, impegnato a tutelare i diritti civili e politici dei cittadini, è trasceso e completato nello Stato sociale, ossia nella figura di uno Stato democratico che tutela e promuove tutti i diritti, compresi quelli sociali. I diritti sono indivisibili ed interdipendenti.

Secondo la PT, nella democrazia la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo non è ancora il livello morale più profondo. Sarebbe peccare di astrattezza. Ciò che specifica l’essenza dello Stato democratico e lo vivifica radicalmente è la vita morale e spirituale del popolo, inteso non in senso ideologico, bensì come comunione di persone, intrinsecamente sociali, membra di un corpo sociale organizzato a Stato, protese nell’ottenimento del bene comune mediante collaborazione. Il centro vitale dello Stato democratico è costituito dall’unione etica delle persone reali, in quanto soggetti dotati prima di doveri e, poi, di diritti. Il popolo, in quanto unità morale di persone libere e responsabili, è sostanza viva e propulsiva di ogni regime democratico. C’è un rapporto vitale tra popolo e Stato di diritto,[26] Stato sociale, Stato democratico,[27] Stato laico – quest’ultimo non affermato in modo esplicito dalla PT, bensì implicito nei diritti umani riconosciuti alle singole persone –,[28] Stato pluralista: il pluralismo è un tratto che caratterizza lo Stato personalista e moderno.

Una affermazione della PT, davvero importante per contrastare il decadimento morale della democrazia odierna, è rappresentata dalla caratterizzazione della convivenza umana anzitutto come un fatto spirituale: «quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante» (PT n. 19). La democrazia sussiste quando sia sostanziata da un cuore spirituale, morale, sociale, culturale, aperto alla trascendenza non considerati in astratto. I cittadini possono essere soggetti attivi e responsabili nella vita pubblica democratica quando siano garantiti alcuni presupposti economico-sociali, culturali, psicologico-morali. Tali presupposti domandano che la democrazia politica sia integrata da una sufficiente democrazia economica, che vi sia una diffusa istruzione tra i cittadini, nonché una loro partecipazione ai beni della cultura. Va tenuto ben presente che la democrazia è un’attitudine dello spirito. Detto altrimenti, trova la sua più profonda radice e il suo alimento morale nell’animo dei cittadini. Richiede un profondo rispetto della persona altrui. Domanda che vi sia apertura agli altri, spirito di collaborazione, intraprendenza, responsabilità da parte di tutti, sensibilità nei confronti del bene comune, ispirazione cristiana. I suddetti atteggiamenti e stili di vita sono vissuti con maggiore intensità quando ci si muove nella luce della fede e si è animati dall’amore cristiano.

Nella PT l’elemento formale o strutturale della democrazia è, invece, dato da più «princìpi», che configurano lo Stato nella sua intelaiatura e nel suo funzionamento. Essi sono: la costituzionalità, la rappresentatività, la divisione dei poteri. Assieme a questi tre principi va annoverato il metodo della maggioranza che caratterizza la democrazia nel suo funzionamento.[29] Questi elementi, compreso il metodo democratico della maggioranza, vanno modellati in rispondenza all’elemento sostanziale, in modo da poterne essere ricettacolo idoneo e non refrattario. Nello Stato democratico i suddetti principi (costituzionalità, rappresentatività, divisione dei poteri) formano un tutt’uno: non sono estranei tra di loro o soltanto giustapposti. Si relazionano appartenendosi, mentre sono reciprocamente sussidiari. Co-principi di una stessa realtà, uno richiama l’altro e porta in sé le ragioni di tale rimando. Come l’anima dà vita al corpo e questo, a sua volta, la individualizza specificandola spazialmente e temporalmente, così nello Stato democratico esiste un rapporto intrinseco tra forma o corporeità politica e sostanza umana o popolo, soggetto vivente della democrazia. In forza di un nesso vitale, il corpo della democrazia può considerarsi prolungamento estrinseco e connaturale della sostanza umana o anima che, a sua volta, gli conferisce l’esistenza plasmandolo umanisticamente.

Il richiamo di queste elementari e basiche riflessioni, che la rilettura della PT ci consente, è da considerare un tesoro prezioso per la valorizzazione dell’anima etica della democrazia, per la sua risemantizzazione antropologica, per il recupero e la ricentralizzazione nella vita politica dell’umano concreto universale: ossia della dignità della persona, intesa come capacità di vero e di bene, capacità di Dio, garanzia della continuità tra etica personale ed etica pubblica, base del dialogo pubblico. L’essenza morale del popolo e della democrazia non può essere costruita solo sulla base di elementi razziali, etnici, classisti, bensì sull’humanitas che accomuna i cittadini, compresi profughi ed immigrati. Il fondamento ultimo della democrazia è la persona concreta e reale, con i suoi doveri e diritti. [30]

 

  1. Conclusione: verità e democrazia

L’ordine morale nella vita sociale e politica non può essere creato per imposizione, come negli Stati totalitari e dittatoriali. È conquistato e diffuso mediante una ricerca libera e responsabile della verità aperta al Vero e al Bene sommi e non dall’uso della forza. Rinvigorimenti effettivi e durevoli nella convivenza si riscontrano solo quando gli uomini si aprono gli uni agli altri e riattivano la loro comunione nel mondo dello spirito. Detto diversamente, la qualità morale della convivenza civile e politica dipende dal grado di apertura, libera e retta, delle persone ai valori superiori, spirituali e religiosi.

Per quanto affermato non è difficile accorgersi che le prospettive della PT sul rapporto tra verità e democrazia sono sensibilmente diverse da quelle di Hans Kelsen – per il famoso giurista di origine austriaca la verità uccide la democrazia –, come anche da quelle di Bruce Ackerman che, qualche decennio più tardi, enfatizzerà l’importanza della neutralità del dialogo pubblico e delle regole procedurali, presupponendo che tutte le concezioni di vita si equivalgono.[31] Per la PT, che anticipa in certo modo Giovanni Paolo II,[32] un diffuso scetticismo in campo metafisico-morale prelude a regimi assoluti assorbenti, facilmente degeneranti in totalitarismi intolleranti. Vera libertà e vera democrazia prosperano là ove la luce della verità si afferma gradualmente, dissipando le nebbie dell’errore.

 

                                                           + Mario Toso

[1] Cf Giovanni xxiii, Pacem in terris in AAS (1963) 254-304. Si veda anche l’edizione – che seguiamo –: Pontificio Consiglio Della Giustizia E Della Pace, Lettera enciclica Pacem in terris di sua Santità Giovanni XXIII e Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2003, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003. In occasione del cinquantesimo anniversario sono stati pubblicati, fra l’altro, questi testi: The Pontifical Academy OF Social Sciences, The Global Quest for Tranquillitas Ordinis. Pacem in terris, Fifty Years Later 27 April-1May 2012, Edited by M. A. Glendon-R.Hittinger-M .S. Sorondo, Vatican City 2013; G. Sale, Il cinquantesimo anniversario della «Pacem in terris», in «La Civiltà Cattolica», II, (6 aprile 2013), pp. 9-22; G. P. Salvini, Pace e guerra tra le Nazioni a 50 anni dalla «Pacem in terris», in «La Civiltà Cattolica», II, (4 maggio 2013), pp. 266-272.

[2] Cf Giovanni PAOLO II, Centesimus annus, Liberia Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991.

[3] Su questo si veda anche F. Fukuyama, Il liberalismo e i suoi oppositori, Utet, Milano 2022, specie pp. 43-72.

[4] Per un’illustrazione sintetica di queste posizioni cf S. Veca, Una filosofia pubblica, Feltrinelli, Milano 1986, pp. 60-73. Ma si veda anche M. Toso, Welfare Society. L’apporto dei pontefici da Leone XIII a Giovanni Paolo II, LAS, Roma 1995, pp. 466-468.

 

[5] Sui tentativi odierni di smantellamento dello Stato sociale Massimo Cacciari su «La Stampa» del 16 gennaio 2023 firma un’analisi dal titolo «Così la politica ha fatto a pezzi lo Stato sociale» (cf p. 1 e p. 25). Egli scrive: «Tra le molte vittime che il salto d’epoca che viviamo sta mietendo possiamo ormai forse contare lo Stato sociale, quel Welfare vanto delle politiche europee del secondo Dopoguerra. La crisi, anche in questo caso, viene da lontano…» (p. 1).

 

[6]  Benedetto xvi, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009.

[7] Cf Francesco, Discorso a dirigenti e personale dell’Inail, in «L’Osservatore romano», giovedì 9 marzo 2023, p. 8.

[8] Cf Intervento della Santa Sede a Tirana (21 maggio 2013): difendere i diritti dei cristiani e dei membri di altre religioni nella zona dell’OSCE contro la discriminazione, in «L’Osservatore romano» (mercoledì 29 maggio 2013), p. 2.

[9] Il 18 luglio 2013, dopo una breve lettura alla Camera dei Lord, il Marriage (Same Sex) Couples Bill, ha ottenuto il sigillo della regina. Pertanto, i primi «matrimoni» potranno essere celebrati dal 2014.

[10] Cf Uno spartiacque nel diritto e nella società, in «L’Osservatore romano» (venerdì 19 luglio 2013), p. 7.

[11] Cf G. Giraud, La rivoluzione dolce della transizione ecologica. Come costruire un futuro possibile, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2022.

[12] Cf P. Bevilacqua, Un’agricoltura per il futuro della terra. Il sistema di produzione del cibo come paradigma di una nuova era, Slow Food Editore, Bra 2022.

[13] Alessandro Colombo parla del fatto che oggi siamo presi dall’epidemia dell’insicurezza che si cerca di governare, specie dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, con la rimilitarizzazione dei rapporti tra le potenze. Si ipotizza una nuova arte liberale della guerra: la guerra come controllo permanente di polizia (A. COLOMBO, Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza, Cortina Editore, Milano 2022).

[14] Cf C. Triglia (a cura), Capitalismi e democrazie. Si possono conciliare crescita e uguaglianza? Il Mulino, Milano 2020.

[15] Un caso che ha fatto discutere circa la competenza dello Stato ad interferire nella libertà di coscienza di individui e gruppi, è quello dell’obbligo imposto, tramite un mandato federale, dall’amministrazione Obama alla Chiesa cattolica degli Stati Uniti di offrire ai propri dipendenti copertura sanitaria per metodi contraccettivi e per pratiche abortive. Forzando così, contro coscienza, a sostenere pratiche di birth control anche coloro che le ritengono contrarie all’etica coerente con la propria fede. Non si tratta di un mero problema di diritto assicurativo. Si tratta di un gravissimo problema connesso con il diritto alla libertà religiosa, nel senso più ampio del termine, e connesso alla missione universale della Chiesa. Per essere esenti da questa misura, gli enti cattolici dovrebbero avere l’evangelizzazione come unica missione e impiegare e prestare i loro servizi solo a persone di fede cattolica. Ciò contraddirebbe la stessa missione universale della Chiesa che, per volontà del suo fondatore, è al servizio di ogni uomo e di tutto l’uomo, indipendentemente dal credo di appartenenza. In definitiva, si tratterebbe di una coartazione da parte di un governo, che pretende di dire ad una comunità religiosa quale dev’essere la sua missione.

[16] Occorre rilevare che l’espressione «crisi della democrazia» è equivoca (cf M. Crosti, Alle redici culturali della crisi, in M. Crosti-M. Mantovani (ed.), Per una finanza responsabile e solidale. Problemi e prospettive, LAS, Roma 2013, pp. 60-62). In primo luogo, la si può intendere in senso neutro, quindi non in un’accezione negativa e, ancora meno, catastrofista, bensì come tempo di trasformazione. Ad esempio, è il caso di Bernard Manin, quando delinea il passaggio dalla democrazia dei partiti alla democrazia del pubblico, all’interno di un’analisi nella quale si individuano i connotati sia della prima che della seconda (cf B. Manin, Principi del governo rappresentativo, Il Mulino, Bologna 2010). In secondo luogo, «crisi della democrazia» può significare anche che una determinata cultura politica considera la democrazia esistente come fittizia, in ogni caso gravemente lacunosa e perciò da superare, in vista di un altro modello di democrazia. Pensiamo, fra l’altro, al dibattito sulla cosiddetta democrazia formale, la democrazia esistente nei Paesi occidentali, contestata dall’area socialista, in nome di una democrazia effettiva ancora da edificare. In terzo luogo, si possono nutrire perplessità sull’uso dell’espressione «crisi della democrazia», poiché, il più delle volte, non soltanto viene adoperata senza specificarne il significato, ma anche in modo assai discutibile. In questo breve saggio, la si intende in un senso prevalentemente neutro, come spiegato appena sopra, ovvero nel senso di un’opportunità, che può essere colta per propiziare cambiamenti positivi, tralasciando quelli negativi.

 

[17] Si tratta di una letteratura molto vasta. Qui, ci limitiamo a rimandare ai seguenti volumi: S. J. Pharr- R. D. Putnam (a cura di), Disaffected Democracies. What’s Troubling the Trilateral Countries, Princeton University Press, Princeton 2000; G. Zagrebelsky, La democrazia e la felicità, a cura di E. Mauro, Laterza, Roma-Bari 2011; C. Galli, Il disagio della democrazia, Einaudi, Torino 2011.

[18] Cf E. Gentile, Il capo e la folla, Laterza, Roma-Bari 2016. Secondo Emilio Gentile la democrazia recitativa non nega la libera scelta dei governanti da parte dei governati: la rende semplicemente irrilevante per la politica del capo dopo la sua elezione al governo. Simile alla democrazia criticata dagli antichi greci, la democrazia recitativa è una raffinata forma di demagogia, che vorrebbe far apparire la democrazia del capo e della folla la migliore fra le migliori forme di governo. Purtroppo, in realtà può essere la peggiore fra le peggiori, perché opera per mantenere i governati in una condizione permanente di sudditanza apatica, beata o beota, simile alle gioiose famiglie degli spot pubblicitari, ma comunque servile, incapace persino di accorgersi di vivere in una democrazia recitativa, dove la libertà, come la scelta e la revoca dei governanti, è solo una delle parti assegnate come da copione.

[19] Su quest’ultimo aspetto si rinvia alla lettura di S. Cassese, Amministrare la Nazione. La crisi della burocrazia e i suoi rimedi, Mondadori, Milano 2022.

[20] Sulla crisi dei sindacati si veda almeno: F. Occhetta, La notte del sindacato, in «La Civiltà Cattolica» (9 aprile 2016), II, pp. 48-58; A. Berrini, Quale futuro? Oltre la crisi greca e la bolla cinese. Il sindacato nell’era della deflazione, Edizioni Lavoro, Roma 2015.

[21] Cf E. Gentile, Il capo e la folla, Laterza, Roma-Bari 2016, p. VIII.

[22] Su questo, ci permettiamo di rinviare a M. Toso, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno, LAS, Roma 2006, pp. 205-208.

[23] Cf Z. Bauman, Il demone della paura, Laterza-L’Espresso, Roma-Bari 2014.

[24] Cf G. Tremonti, Globalizzazione. Le piaghe e la cura possibile, Solferino, Milano 2022, p. 57.

[25] Cf M. Magatti-C. Giaccardi, Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano 20165, p. 30.

[26] Nella PT lo Stato di diritto viene considerato come un segno dei tempi: un segno sostanzialmente positivo (n. 46). Viene descritto nei seguenti termini: «Nell’organizzazione giuridica delle comunità politiche, nell’epoca moderna, si riscontra anzitutto la carta dei diritti fondamentali degli esseri umani: carta che viene, non di rado, inserita nelle costituzioni o che forma parte integrante di esse. In secondo luogo, si tende pure a fissare in termini giuridici, per mezzo della compilazione di un documento denominato costituzione, le vie attraverso le quali si formano i poteri pubblici; come pure i loro reciproci rapporti, le sfere di loro competenza, i modi o metodi secondo cui sono tenuti a procedere nel realizzare i loro atti. Si stabiliscono, quindi, in termini di diritti e di doveri i rapporti tra i cittadini e i poteri pubblici» (n. 45).

[27] Lo Stato nelle sue strutture e nel suo funzionamento dev’essere uno Stato democratico perché: «È un’esigenza della loro dignità di persone che gli esseri umani prendano parte attiva alla vita pubblica, anche se le forme con cui vi partecipano sono necessariamente legate al grado di maturità umana raggiunto dalla comunità politica di cui sono membri e in cui operano. Attraverso la partecipazione alla vita pubblica si aprono agli esseri umani nuovi e vasti campi di bene, mentre i frequenti contatti fra cittadini e funzionari pubblici rendono a questi meno arduo cogliere le esigenze obiettive del bene comune; e l’avvicendarsi dei titolari nei poteri pubblici impedisce il loro logorio e assicura il loro rinnovarsi in rispondenza dell’evolversi sociale» (PT n. 44).

[28] Cf P. PAVAN, Pace in terra. Commento all’enciclica Pacem in terris, introduzione di Mario Toso, Editrice san Liberale, Treviso 2003, p. 150.

[29] Su quest’ultimo si rinvia a P. Pavan, La democrazia e le sue ragioni, Studio introduttivo di Mario Toso, Studium, Roma 2003, pp. 104-106.

[30] Per tali ragioni la PT suggerisce che, in teoria, la democrazia potrebbe essere esportabile per i suoi elementi procedurali, ma, tenuto conto della sua anima etica, ciò non sarebbe fattibile. Infatti, l’anima etica e culturale della democrazia, occidentale o no, non è fisicamente esportabile. Potranno essere divulgate e comunicate più facilmente la nozione, le regole procedurali, gli aspetti tecnici, ma le sue radici antropologiche, ontologiche ed etiche, culturali e sociologiche, non si possono trapiantare. In termini di libertà e di responsabilità, esse non sussistono che in loco, ovvero nelle persone, nelle famiglie, nei gruppi, nei popoli, i quali ne sono soggetti originari e originanti (Su questo si veda M. Toso, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno, LAS, Roma 2006, pp. 108-110).

[31] B. A. Ackerman, Social Justice in the Liberal State, Yale University Press, New Haven 1980, tr. it.: La giustizia sociale nel­lo Stato liberale, Il Mulino, Bologna 1984.

[32] «Oggi – afferma Giovanni Paolo II – si tende ad affermare che l’agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima, la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n. 46, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1991).