[apr 10] Omelia – Domenica delle Palme

10-04-2022

La domenica delle Palme è il giorno dell’entrata trionfale di Gesù Cristo in Gerusalemme. È accolto come re. Il Vangelo di Luca lo presenta proprio così: «Benedetto colui che viene – il re – nel nome del Signore» (Lc 19, 28-40). Ma noi tutti sappiamo che Egli non viene in questo mondo come un re terreno, come capo di una monarchia o come un comandante di eserciti, come un governatore o un amministratore della giustizia civile. Il compito di Colui che entra nella città cavalcando un asinello è ben diverso rispetto a quello di un capo delle Nazioni, che dispone di eserciti. Il suo regno appartiene ad un altro ambito rispetto a quello politico. L’azione di Cristo si pone su un piano prettamente religioso e morale, che tocca ovviamente anche l’ambito politico, distinto ma non separato da quello religioso. Egli viene a redimere e a salvare il mondo trasformando anzitutto le coscienze, senza conquiste territoriali e senza l’uso della forza, dei missili e dei droni, come sono impiegati attualmente in Ucraina. La sua regalità trascende quella dei sovrani e dei capi di Stato, che hanno la potestà di comandare secondo ragione, facendo leva sul diritto, utilizzando anche la forza coercitiva.

La regalità di Cristo è quella di Colui che è Figlio di Dio. Una tale regalità consiste  nell’essere e nell’esistere come Amore di Dio. Cristo è re perché è Dio, perché è vita divina che si attua come Amore sommo. Cristo manifesta la sua vera identità e la sua peculiare missione – differenti da quelle di un monarca o di un capo di Stato – in una maniera per noi impensabile. Pur essendo Dio, si incarna, si fa uomo, e non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma svuota se stesso, assumendo la condizione di un servo, facendosi obbediente sino alla morte di croce (cf Fil 2, 6-11).

In tal modo, comunica – all’umanità ferita dal peccato, tenace e testarda nell’egoismo, nel volere ingiuste guerre di aggressione -, la stessa vita di Dio, la sua forza di amare, di opporsi al male, al peccato, all’ingiustizia, alla violenza. Gesù Cristo governa e cambia l’umanità non tanto mediante leggi statali, emanate e codificate in un ordinamento giuridico, bensì comunicando se stesso, il suo Spirito d’amore, lo Spirito di Dio che è per la vita di tutti, e non per la morte. La legge fondamentale della vita cristiana è l’amore di Cristo, che rende le persone più persone, più aperte al dono, più capaci di opporsi alla violenza che annienta le persone, i popoli. L’amore di Cristo non è custodito e reperibile nelle banche o nelle Borse, come la BCE o la Borsa di Milano. Non si trova nella Nato o nell’ONU che appare sempre più impotente a fronte di tragedie come quella che si sta consumando in Ucraina in queste settimane. Cristo si mostra re dei cuori attraverso il dono di sé, offrendo all’uomo peccatore il suo Spirito, l’amore misericordioso del Padre, che sospinge a vivere, a perdonare, a farsi dono, a morire piuttosto che a uccidere ingiustamente. Salendo sulla croce manifesta quanto siamo amati da Dio e quanto Dio sollecita ciascuno di noi a rispondere a tale dono, rifiutando il male, il peccato, le guerre. Dio ci ama, ci vuole vivi, capaci di dono, di servizio agli altri, al punto da consegnare il Figlio alla morte. La morte di Gesù è  una grande prova di amore che il Padre e Gesù hanno dato all’uomo. «Dio – spiega san Giovanni – ha tanto amato il mondo da consegnare il suo figlio unico» (Gv 3,14). San Paolo non esita a riconoscere: «Ha amato me e si è dato per me» (Gal 2,20). Le braccia spalancate in croce non sono le braccia di uno che si arrende, ma l’abbraccio permanente di Cristo sul mondo per stringerlo a sé, per tenerlo eternamente vivo nell’amore, libero dal male, dalle violenze. 

La crocifissione del Figlio non è solo un fatto tragico, umanamente doloroso. È l’indicazione della via della redenzione e della trasfigurazione dell’umanità, ossia della sua maggiore umanizzazione o, meglio, della sua divinizzazione. Mediante l’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù, Dio immette se stesso nell’umanità, nella storia, nell’esperienza della morte, per riviverle, risignificarle, per insegnare all’uomo come amare nelle diverse condizioni dell’esistenza. L’uomo non è più solo a lottare contro il peccato, l’ingiustizia, a passare attraverso il tunnel buio della morte. Cristo cammina con noi, ci insegna ad amare sino alla fine.

Ogni anno siamo sollecitati da Cristo a schierarci dalla sua parte, a prendere posizione, per essere persone nuove, ossia persone in piena comunione col Padre, più precisamente per essere servi crocifissi. La precondizione di una nuova primavera nella Chiesa, nelle nostre comunità e nel mondo è rappresentata dalla croce, segno di un dono senza misure, mediante lo svuotamento del proprio io. Cristo è un re crocifisso, il principale oppositore dell’individualismo libertario, di chi desidera gestire la propria vita solo per sé e basta. Egli regna dall’alto della croce, effondendo sul mondo il suo Spirito d’amore, uno Spirito inclusivo e diffusivo. Egli costruisce nel mondo una comunità fatta di figli di Dio. Gesù in tal modo predispone un’«istituzione di pace». I credenti, in maniera analoga, possono «regnare», al pari del loro Signore, percorrendo la stessa via, vivendo il suo dono totale, abbracciando la croce, assumendo la condizione di uno che serve donandosi. Oggi appare evidente che i credenti, in quanto cittadini, non debbono solo protestare, manifestare nelle piazze. La maniera più efficace per contrastare le guerre è quella di educare buone coscienze morali, quella di preparare nuovi responsabili dei popoli, capaci di innalzare nuove istituzioni di pace nella società civile, a livello nazionale e a livello mondiale.

La domenica delle Palme, che ci parla della regalità di Cristo, ossia della sua esistenza d’amore, ci fa comprendere che questa non esiste senza la croce, ossia senza lo svuotamento del proprio essere, senza il dono incondizionato di sé al Padre misericordioso, rendendosi servi dei propri fratelli. Apprendiamo da Cristo l’amore di Dio, vivendo in comunione con Lui. Riceviamo da Lui la vita nuova. L’amore-agápe è la vita nuova.

L’evangelista Giovanni così scrive nella sua Prima Lettera: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli […] Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (3,16.18).

Siamo, dunque, servi crocifissi. Servire regnare est! Solo così condivideremo la gloria del Risorto e la sua regalità.

+ Mario Toso, Vescovo