[apr 09] Intervento – 30esimo della rivista “La Società”

09-04-2022

Verona, Fondazione Toniolo, 9 aprile 2022.

Premessa: una Rivista oggi ancor più indispensabile

Nell’attuale cambio d’epoca, ancora coinvolti nelle tragiche conseguenze del coronavirus Covid-19, con le varianti connesse; nel bel mezzo di un’assurda guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, si impone l’urgenza di un nuovo pensiero, di un nuovo Umanesimo trascendente, di una nuova progettualità socio-culturale e politica. Specie le devastazioni prodotte dall’aggressione russa  – con i mutamenti degli equilibri religiosi e geopolitici, con gli sconvolgimenti delle relazioni internazionali dal punto di vista militare e commerciale -, richiedono il ripensamento  della configurazione dell’Occidente europeo nei confronti sia delle pressioni russe sia della dipendenza dagli Stati Uniti.  La Rivista«La Società», fondata sul patrimonio della Dottrina sociale della Chiesa, ricca di un magistero pontificio alto ed ispirato sull’Europa e sulla comunità internazionale, può contribuire ad offrire orientamenti culturali e sociali preziosi.

Dopo trent’anni di esistenza, la Rivista non mostra affatto segni di senescenza, di essere diventata obsoleta. Tutt’altro. Ora può compiere un salto di qualità. L’essere una Rivista radicata su un sapere teorico-pratico, quale è la Dottrina sociale della Chiesa, ossia un sapere interdisciplinare, strutturato secondo la trandisciplinarità della teologia morale sociale, la mostra uno strumento culturale tra i più adeguati rispetto allo scenario contemporaneo.  La complessità dell’attuale realtà e dei problemi in essa inclusi, richiedono l’apporto non di un singolo sapere. Essa richiede la disponibilità di molteplici saperi interconnessi tra di loro, uniti in una rinnovata sintesi culturale, attorno all’asse di un’antropologia trascendente. L’interdisciplinarità della Rivista appare particolarmente atta ad offrire approcci meno astratti, più commisurati ad una realtà variegata e articolata.

  1. Una nuova evangelizzazione e la riscoperta della Dottrina sociale della Chiesa come parte integrante di essa

Se da una parte ricordiamo, con lieve ritardo, il 30.mo della nascita della Rivista «La Società» (1991),[1]dall’altra è bene sottolineare che il primo numero è uscito con circa due anni di anticipo rispetto alla pubblicazione del documento Evangelizzare il sociale(1992) e che si trattadell’unica nel nostro Paese. Sia la Rivista sia il documento ecclesiale Evangelizzare il sociale[2]hanno trovato il loro impulso generatore nel magistero di san Giovanni Paolo II. Il pontefice, specie con le sue encicliche Sollicitudo rei socialise Centesimus annus,[3]aveva incoraggiato la Chiesa a fare un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, peraltro tema centrale dell’attuale cammino sinodale. La missione della Chiesa, a motivo della salvezza integrale che compie Gesù Cristo – salvezza di ogni uomo, di tutto l’uomo -, implica l’evangelizzazione del sociale. Questa ha come elementoessenzialedi espressione e di concretizzazione la Dottrina sociale della Chiesa (= DSC). Essa traccia i sentieri che ogni movimento di liberazione e di promozione dell’uomo deve percorrere per assicurare un autentico sviluppo umano, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. La DSC non è un elemento «aggiunto» come accessorio alla evangelizzazione della Chiesa, ma scaturisce dall’interno della sua stessa missione e della sua stessa vocazione alla santificazione del mondo.[4]L’insegnamento e la diffusione della DSC fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, dell’opera di ricapitolazione di tutte le cose in Cristo.[5]

La Rivista «La Società» ha accompagnato nel tempo lo sviluppo dell’evangelizzazione del sociale, evidenziandone l’urgenza, le modalità di attuazione nelle varie situazioni storiche, il nesso con l’ideale storico e concreto di uno sviluppo incentrato su un’antropologia trascendente, ma in particolare sulla fede cristiana e sulla fiducia nella forza rinnovatrice e trasformatrice del cristianesimo. Ha concorso nell’evidenziarne la natura di sapere teorico-pratico, sapere sapienziale ed interdisciplinare, appartenente all’ambito della teologia morale e sociale e, quindi, realizzato in un contesto di transdisciplinarità. Ha evidenziato i rapporti tra DSC e catechesi, tra DSC e Pastorale sociale, tra DSC e la formazione delle varie componenti ecclesiali (presbiteri, diaconi, religiosi e religiose), in particolare dei laici, principali protagonisti della sperimentazione e dell’aggiornamento della DSC.

La Rivista si è posta tra gli strumenti più importanti per una conoscenza più profonda e per un’ampia diffusione della DSC non solo nei percorsi della formazione cristiana, di preparazione dei catechisti, degli insegnanti di religione, nelle Scuole diocesane di formazione all’impegno sociale e politico, ma nella stessa individuazione della progettualità a livello di Settimane sociali e di buone pratiche, ossia a livello di costruzione della società. Inoltre, ha coltivato – ci fermiamo qui ai principali argomenti – lo studio dei temi antropologici ed etici, dei diritti e doveri, del lavoro, dell’impresa, della finanza, del mercato, dell’economia, della politica, del bene comune, dello Stato sociale e del terzo settore, della democrazia partecipativa e deliberativa, dell’ecologia integrale, delle nuove tecnologie, dei mass media, delle istituzioni internazionali e della multilateralità, dell’Europa e, dentroa tutti questi temi, dei principie dei criteri di giudizio, nonché degli orientamenti pratici essenziali.

Da quanto appena detto si può comprendere che la Rivista è nata per consentire alla progettualità, delineata dalla DSC, di incarnarsi, con l’ausilio del discernimento sociale, realizzato a diversi livelli, grazie all’apporto di più competenze.

Rimanendo fedele alla sua mission, la Rivista ha, in particolare, seguito ed approfondito il magistero degli ultimi pontefici: san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco. Ha così avuto modo di assumere e di spiegare l’aggiornamento prodotto da essi. Con riferimento all’evangelizzazione del sociale è da rilevare la ricchezza teologica, ecclesiologica, pastorale, apportata dalla Caritas in veritate (=CIV), la quale ha incentrato la nuova evangelizzazione del sociale attorno al perno dell’annuncio di un Amore pieno di verità, ossia della Caritas in veritate, che induce a definire la DSC Caritas in veritate in re sociali: annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società. La veritàpreserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia.[6]L’amore pieno di verità, con la sua logica del dono e della gratuità, nonché della fraternità, pervade ed anima, trasfigurandole, le relazioni umane, la vita sociale, l’economia, la finanza, le imprese, l’ecologia umana ed ambientale, i mezzi di comunicazione sociale, la collaborazione della famiglia umana.

Sempre con riferimento all’evangelizzazione del sociale è originale l’apporto di papa Francesco mediante l’enciclica Laudato sì’in cui è teorizzato il nuovo principio morale dell’ecologia integrale[7]ed è esplicitato il quarto momento del discernimento sociale, ossia il celebrare.[8]Un ulteriore contributo è dato da papa Francesco mediante l’enciclica Fratelli tutti, ove è posto come pilastro dell’evangelizzazione del sociale e principio architettonico della società la fraternità. Non si deve, poi, dimenticare la lettera apostolica Evangelii gaudium, in cui nel quarto capitolo, il più esteso, si parla della dimensione sociale dell’evangelizzazione.[9]A tal proposito, così si esprime il pontefice: «Ora vorrei condividere le mie preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione precisamente perché, se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice».[10]Qualche paragrafo dopo ribadisce la necessità che i credenti si impegnino a rendere concreto l’insegnamento sociale della Chiesa. I grandi principi non debbono rimanere mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. Bisogna ricavarne le conseguenze pratiche perché possano incidere con efficacia anche nelle complesse situazioni odierne.[11]In tale contesto, ricorda la competenza religiosa ed etica dei Pastori sulla vita sociale, ma anche la dimensione pubblica della fede e della religione: «I Pastori – rammenta papa Francesco in un tempo in cui non raramente si dice che essi devono limitare la loro azione entro le sacrestie -, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano».Secondo una concezione corretta del rapporto tra religione e vita sociale «non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose perché possiamo goderne (cf 1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare “specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune”».[12]«Di conseguenza – continua il pontefice -, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità».[13]

Nel tempo, per accrescerne l’incisività sul piano pedagogico, dalla Rivista sono nati dei Minidossier monotematici, articolati secondo i vari momenti del discernimento (vedere, giudicare, agire, ai quali occorre aggiungere anche, a seguito della Laudato sì’, il celebrare), tali da poter accompagnare l’animazione della catechesi e della formazione sociale in genere. Parimenti, per facilitare la «rinascita» o la sperimentazione dei documenti sociali nei territori sono stati istituiti in tutta Italia i gruppi di DSC, gruppi di studio e di confronto, con l’obiettivo di concretizzare l’insegnamento sociale, mettendo in atto autentiche buone pratiche. Contemporaneamente è stata – e lo è ancora – coltivata la formazione di professionisti ben selezionati al fine di renderli protagonisti di DSC nelle loro associazioni, aggregazioni, movimenti. Secondo Mons. Adriano Vincenzi, sarebbe stato un peccato che le presenze del mondo cattolico in Italia fossero andate perse.[14]Come importante efflorescenza della Rivista «La Società» è finalmente venuto alla luce il Festival della Dottrina Sociale della Chiesa, un appuntamento rilevante non solo per la Diocesi di Verona, ma anche per l’intera Chiesa italiana. Un tale Festival ha inteso riunire periodicamente, per più di una decina di edizioni, il suo variegato «popolo», che man mano si è sviluppato a partire dall’ispirazione e dalle finalità della Rivista, grazie all’impegno organizzativo, formativo e di animazione di Mons. Adriano e dei suoi collaboratori. Il popolo, che il Festival ha catalizzato attorno a sé, rappresenta una polifonia di soggetti sociali, composta da imprenditori, da protagonisti del mondo della cooperazione, dal credito cooperativo, dalle associazioni, dalle imprese sociali, dal mondo della sanità e della scuola, dai sindacati, dagli ordini professionali (avvocati, commercialisti, ecc.) e dai responsabili delle risorse umane delle aziende. Il Santo Padre ha accompagnato con simpatia l’originale iniziativa con videomessaggi puntuali, dal 2013 ad oggi, indirizzati ai partecipanti, ai volontari, ai simpatizzanti, per vivificare l’impegno missionario della loro vocazione sociale. A sostegno della spiritualità e delle idealità dei vari aderenti è stata fondata l’Associazione Il Lievitoe costituita la Fondazione Segni nuovi.

Quanto detto sin qui è sufficiente per capire come dal 1991, in un periodo in cui il mondo cattolico si è frammentato ed è sempre più stato disperso da una illogica cultura della diaspora, attorno alla Rivista «La Società», alla sua progettualità, si è formato un popolo di persone, di famiglie e di gruppi, convinti che tanto l’annuncio del Vangelo quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare inevitabili conseguenze sociali. Non solo. Si è formato un insieme di iniziative, di momenti formativi, di strumenti divulgativi, di esperienze pratiche, di banchi delle cooperative e di tavole rotonde, realtà tutte connesse come gli anelli di una catena che se fosse spezzata danneggerebbe l’insieme. Chi scrive è convinto che se, ad esempio, il Festival della Dottrina sociale fosse scisso dall’impulso culturale, etico e spirituale della Rivista ne deriverebbero danni per entrambe le realtà.

  1. Riduzionismi della fede di ieri e di oggi

Nel documento Evangelizzare il sociale troviamo riportate alcune riflessioni di papa Giovanni Paolo II sui pericoli che possono svigorire la salvezza cristiana. Le riportiamo perché tornano utili a capire come anche oggi siamo sottoposti ai medesimi rischi. Secondo Giovanni Paolo II, una delle tentazioni che potevano avere i credenti era quella di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato, egli scrive nell’enciclica Redemptoris missio (1990), «è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte, sì, per l’uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi, invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l’uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina».[15]La salvezza cristiana è essenzialmente dono divino: non esiste possibilità di autosalvezza per l’uomo e per l’umanità. La salvezza si compie attraverso la croce di Cristo, la sua sofferenza e morte.

Oggi i pericoli che possono intaccare la fede e, per conseguenza, l’incisività dell’impegno cristiano non sono da meno. Non è fuor di luogo, dunque, parlare di urgenza della conversione pastorale. I diversi cambiamenti nei metodi e nelle strutture richiesti da una nuova evangelizzazione del sociale dipendono da una precisa condizione: che gli operatori di pastorale sociale realizzino una vera e sincera conversione pastorale. Gli operatori di pastorale sociale, in vista di una nuova opera evangelizzatrice, devono avere coscienza di sé stessi come di missionari. Non è poi da dimenticare che la questione dell’impegno politico dei cattolici è sempre più cruciale. Diversi episodi lo testimoniano. Si pensi all’utilizzo strumentale dei segni religiosi, al massiccio astensionismo del mondo cattolico nelle ultime tornate elettorali, al disegno di legge Zan sostenuto sine glossa da non pochi cattolici, come anche alla raccolta firme e al successivo deposito della richiesta di un referendum ambiguo sull’eutanasia, dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale lo scorso 15 febbraio 2022 con sentenza depositata il 2 marzo 2022. I temi sull’etica e sulla vita – uniti, ovviamente, ad altri temi come l’innovazione tecnologica, la digitalizzazione, l’ecologia integrale, l’economia circolare, la riforma delle istituzioni internazionali, la democrazia partecipativa ed inclusiva, le comunità energetiche, la sicurezza nel mondo del lavoro, ecc. – diventano uno dei crinali su cui misurare il significato odierno di laicità[16]e su cui i cattolici sono chiamati a valutare le proprie caratteristiche identitarie.

Sul dibattuto tema del rapporto cattolici e politica, occorre tener conto della frammentazione identitaria che in questi anni ha colpito i cattolici. Non si tratta propriamente della frammentazione politica, causata dalla cosiddetta ideologia della diaspora. Si tratta, invece, del fatto che la propria fede religiosa non sembra più conformare, ossia non riesce ad unificare i vari comportamenti dei credenti. Sicché non pochi di essi tendono a vivere una netta separazionetra fede e impegno sociale, tra fede e politica, tra ragione e politica. In altri termini, non pochi cattolici riterrebbero di stare in politica non ultimamente per ragioni di fede – perché ciò, secondo loro, sarebbe deleterio per il dialogo pubblico – ma solo per ragioni umane. E così, il cuore dei credenti in politica graviterebbe inevitabilmente e solo verso i partiti e non certo verso la comunione con Cristo e il suo Vangelo. Il che indurrebbe o giustificherebbe scelte e comportamenti non coerenti con i valori in cui si crede e con la coscienza rettamente formata, bensì solo conformi agli ordini di scuderia dei partiti. Poco importa se le leggi da votare sono ad impronta laicista, imperniate attorno a visioni antropologiche fortemente riduttive o addirittura irrazionali. Basta che siano state messe all’ordine del giorno dal proprio partito.

È indubbio, diciamocelo pure, che questo modo di pensare di non pochi cattolici pone per la Chiesa, che è entrata in un cammino sinodale, una questione teologica ed ecclesiologica, una «questione cattolica» non piccola. Infatti, il suddetto modo di pensare si nutre di un presupposto errato secondo cui l’essere specifico del cristiano non giustificherebbe un impegno peculiare dei credenti nella politica. In politica si dovrebbe essere presenti senza ragioni religiose, in definitiva senza il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa. Ma non finisce qui. A ben riflettere, quanto detto implicherebbe altri presupposti, davvero gravi per i politici cattolici: al lato pratico, non varrebbe l’incarnazione di Cristo che assume e redime l’umanità.[17]Il credente che si impegna in politica non avrebbe, per conseguenza, il compito di vivere la politica, come suggerisce, peraltro, papa Francesco nella Fratelli tutti, secondo carità,[18]ossia secondo l’amore trasfigurante ed innovativo di Cristo. Parimenti, il credente non avrebbe il compito di vivere la politica scegliendo la fraternitàcome principio architettonico della democrazia e sarebbe chiamato a servire il bene comune come semplice cittadino.[19]Non esisterebbe una vocazione cristianaal bene comune. In definitiva, ai cattolici non servirebbe la fede per vivere in politica. Pertanto, in politica, il cattolico potrebbe vivere scisso da sé. Se ciò fosse vero si avrebbe un impoverimento motivazionale dell’impegno politico del credente, il quale sarebbe esposto, per conseguenza, a facili infeudamenti in questo o in quel partito. Tra l’altro si andrebbe esattamente a negare l’appartenenza ad una comunità di discepolato missionario ecclesiale in cui si può vivere l’esperienza dell’essere amati da Dio, e con ciò stesso del vivere il suo amore anche in politica.

Quanto detto ci fa capire l’importanza odierna della missione culturale della Rivista «La Società». Nella situazione in cui viviamo non è meno importante, rispetto a ieri, la ministerialità della Rivista rispetto ad una Pastorale che richiede di essere rilanciata e vissuta nell’organicità dei suoi settori, nonché rispetto alla profonda separazione tra fede e vita che colpisce il laicato cattolico.  Anche dopo trent’anni dalla pubblicazione della nota Evangelizzare il sociale, la Rivista rimane indispensabile, rispetto al rinnovamento e al rilancio della pastorale sociale, di un pensiero cattolico.[20]Anzi, forse è maggiormente necessaria oggi più di ieri.

  1. Il futuro immediato della Rivista «La Società»

«È passato più di un mese dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, di questa guerra crudele e insensata che come ogni guerra rappresenta una sconfitta per tutti noi. C’è bisogno di ripudiare la guerra, luogo di morte dove i padri e le madri seppelliscono i figli, dove gli uomini uccidono i loro fratelli senza averli nemmeno visti, dove i potenti decidono e i poveri muoiono. La guerra non devasta solo il presente, ma anche l’avvenire di una società. Ho letto che dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina un bambino su due è stato sfollato dal Paese. Questo vuol dire distruggere il futuro, provocare traumi drammatici nei più piccoli e innocenti tra di noi. […] La guerra non può essere qualcosa di inevitabile: non dobbiamo abituarci alla guerra! Dobbiamo invece convertire lo sdegno di oggi nell’impegno di domani. […] Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia». Lo ha detto papa Francesco al termine dell’Angelus della IV domenica di Quaresima del mese scorso.[21]

È da augurarsi che il «martirio» dell’Ucraina e la guerra finiscano il più presto possibile e che incominci una nuova fase di pacificazione, di ricostruzione delle relazioni internazionali, delle infrastrutture, delle istituzioni sovranazionali, di un nuovo ordine sociale e politico. Vanno ridisegnati i rapporti tra Russia e Ucraina, ma anche i rapporti della Russia con l’Europa, con la Nato, con il G7, con gli USA. Le prospettive culturali, sociali, commerciali, economiche e politiche della stessa Europa sono da ripensare e riprogettare, concretizzandole entro un pensiero ed un Umanesimo nuovi, aperti al trascendente, alieni dall’hybris neoimperialista e dal delirio di onnipotenza. A proposito della vocazione dell’Europa, piuttosto senescente, impaurita, ripiegata su di sé, dimentica delle sue radici cristiane, appaiono fondamentali i discorsi di papa Francesco, ma anche dei suoi predecessori. Quanta negligenza e ritardo rispetto ad essi. Eppure la Rivista li ha ricordati e commentati.

L’Europa deve ritrovare sé stessa, i suoi ideali, sostenuti da una cultura sanamente laica, in cui Dio e Cesare sono distinti, ma non contrapposti.[22]Dopo il coronaviruse dopo la guerra iniziata con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, dovrà essere realizzato non solo un mondo retto da un’ecologia integrale, ma anche un nuovo ordine europeo e mondiale, entro cui la Chiesa e l’Italia sono chiamate a dare il loro specifico contributo. In vista di ciò, se non esistesse la Rivista «La Società», bisognerebbe crearla, per tracciare sentieri da percorrere, in vista di assicurare un autentico sviluppo umano, ossia uno sviluppo di tutto l’uomo, inclusivo e sostenibile, di tutti gli uomini e dei popoli del mondo. Giacché la Rivista esiste, con il suo percorso trentennale, a partire dai tempi successivi alla caduta del muro di Berlino (1989) sino ad oggi, tempo della pandemia e tempo della guerra ucraina, l’attende un inevitabile lavoro di ripensamento e di rigenerazione culturale, sulla base della fede e della ritrovata fiducia nella forza rinnovatrice e trasformatrice del cristianesimo, del suo genio evangelizzatore ed umanizzatore. La Chiesa, che percorre la via tracciata da Cristo fatto uomo, darà il suo apporto alle città e ai popoli, in maniera sinodale, ossia nell’unità e nella varietà delle sue molteplici membra, attraverso una missione di riconciliazione incessante, attorno al principio architettonico della fraternità, secondo la direttrice della pace, che trova il suo nuovo nome, come ha anticipato Paolo VI nella sua Populorum progressio, nello sviluppo integrale, solidale, sostenibile, inclusivo.

La Rivista è nata e si è sviluppata con uno spirito più che locale. Il suo respiro, infatti, è sempre stato, almeno tendenzialmente, a dimensione europea. Ma non solo. È l’ora di un’attuazione più marcata della sua matrice trinitaria e comunionale, mediante la convocazione di teologi, pastoralisti, di studiosi delle scienze umane, di persone di vasta esperienza giuridica, sociale e politica, di sincera e profonda fede religiosa, attorno almeno al progettoimprocrastinabile degli Stati Uniti d’Europa, al di là di sovranismi e di populismi.[23]Ciò non potrà avvenire senza la ripresa dell’ideale di una democrazia veramente partecipativa, deliberativa, inclusiva, capace di rafforzare i pilastri dell’amore fraterno (non disgiunto dalla verità), della libertà, della solidarietà, della giustizia sociale e della pace.

Una pace, una giustizia sociale e uno sviluppo che deve includere l’intera famiglia umana senza lasciare indietro interi continenti e intere popolazioni, come accade già oggi.

Purtroppo, ad aggravare il quadro, c’è la previsione di alcuni analisti secondo i quali dopo la fine della guerra ci saranno 100 milioni di nuovi indigenti. La povertà non potrà che essere aggravata dalla guerra la quale provocherà anche la distruzione dell’agricoltura ucraina che ha rappresentato fino ad oggi uno dei più importanti produttori di grano d’Europa.[24]È di tutta evidenza che ciò, probabilmente, provocherà un ulteriore flusso migratorio dal continente africano. Senza, poi, tenere conto di quanto il conflitto in corso inciderà anche sul costo dell’energia con tutte le conseguenze che già si registrano pesantemente sulla vita delle famiglie e delle aziende. Come sempre si verifica saranno i ceti più deboli a pagare il prezzo più alto. In Italia non pochi giovani troveranno, come peraltro già adesso, una speranza di futuro solo emigrando all’estero. Il grave calo delle nascite, nonostante il flusso degli immigrati, peserà sulle nostre economie. Fermandoci anche solo a queste problematiche, appena accennate, resta il grave problema culturale della carenza di un pensiero pensante, della crisi della ragione. Quest’ultima, infatti, è considerata soprattutto in termini strumentali e tecnocratici. Sarà, pertanto, richiesto un particolare lavoro di riflessione critica, specie nei confronti di antropologie e di etiche riduttive, delle connesse dottrine economiche neoliberistiche. Ciò richiede il recupero di una ragione integrale, sapienziale, «pratica», più che tecnica. Solo con questa può essere operato il capovolgimento del primato della finanza sulla politica. Non esiste una bontà automatica della globalizzazione sregolata dell’economia e della finanza. Oggi la finanza sta alla realtà in rapporto di tre a uno, come mai nella storia. E non è ancora scampato il pericolo di una nuova crisi globale dell’economia. Ebbene, senza il recupero di una ragione sapienziale, senza una nuova cultura fondata sul primato della persona e su un umanesimo trascendente, la conclusione della guerra non determinerà, come ha pronosticato qualcuno, la fine del disordine portato dall’inflazione, che c’era già prima e che da sempre è la tassa sui poveri, ma, anzi, ne provocherà la crescita.

  1. Conclusione

Per quanto finora detto la Rivista si trova a svolgere la sua missione in un contesto socio-culturale che la sollecita ad essere fedele al suo impegno fondamentale: quello di approfondire e di facilitare l’incarnazione della DSC dal punto di vista della fedeltà al Vangelo e alle res novae. Lo scenario della «guerra sacrilega», come l’ha definita papa Francesco, apre alle Chiese e al laicato, oltre che ai religiosi, ampie opportunità di dialogo all’interno del mondo cattolico, come anche di confronto a livello civile. Sarà richiesta una grande capacità di lettura dei problemi e di interpretazione delle situazioni che, come insegna la Caritas in veritate, dovranno essere inquadrate entro la prospettiva ideale e storica di un amore pieno di verità. Al cristianesimo, che nel tempo genera nuove cristianità, sarà data l’occasione di strutturare un nuovo umanesimo trascendente e una cultura aperta alla fraternità, commisurata alle urgenze contemporanee.

 

+ Mario Toso

Vescovo di Faenza-Modigliana

[1]Cf su questo C. Gentili, Editoriale: La Società compie trent’anni, in «La Società», 2021, anno XXX, n. 4, pp. 14-19; R. Beghini, Ricerche: 1991 – 2021. Trent’anni di storia, in «La Società», 2021, anno XXX, n. 4, pp. 22-25.

[2]Cf CEI, Evangelizzare il sociale. Orientamenti e direttive per la pastorale sociale e del lavoro, EDB, Bologna 1992.

[3]Cf Giovanni paolo ii, Centesimus annus, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991.

[4]Cf S. Fontana, Editoriale: Una nuova rivista sulla dottrina sociale della Chiesa, i motivi di un impegno culturale, in «La Società», 1991, anno I, pp. 5-6.

[5]Cf Giovanni paolo ii, Sollicitudo rei socialis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1987, n. 41.

[6]Cf Benedetto xvi, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, n. 5. Si veda anche: M. Toso, Il realismo dell’amore di Cristo. La Caritas in veritate: prospettive pastorali e impegno del laicato, Edizioni Studium, Roma 2010.

[7]Sul tema dell’ecologia integrale si veda almeno: M. Toso, Ecologia integrale dopo il coronavirus, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2020. Tra i commenti sulla Laudato sì’ segnaliamo: S. Morandini, Laudato sì’. Un’enciclica per la terra, Cittadella Editrice, Assisi 2015; Aa.Vv.,Curare madre terra, EMI, Bologna 2015; AA. VV.,Cura della casa comune. Introduzione a Laudato sì’ e sfide e prospettive per la sostenibilità, a cura di J. I. Kureethadam, LAS, Roma 2015; A. Spadaro,Laudato sì’. Guida alla lettura dell’enciclica di papaFrancesco, in «La Civiltà cattolica», (11 luglio 2015), 3961, pp. 3-22; Aa.Vv., Abiterai la terra. Commentoall’enciclica Laudato sì’, AVE, Roma 2015; E. Castellucci,La tela sfregiata. La responsabilità nell’uomo del creato, Cittadella Editrice, Assisi 2019; Aa.Vv., Ecologia e giustizia sociale nel solco dell’enciclica Laudato si’, in «Rivista di Teologia dell’evangelizzazione», anno XXIII, supplemento al n. 45 (2019), pp. 9-190; Aa.Vv., «Il tempo della cura». Vivere con sobrietà, giustizia, fraternità, a cura di Argia Passoni, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2020; S. Zamagni,Laudata economia, Fondazione don Lorenzo Guetti-ViTrenD, Trento 2020.

[8]Cf Francesco, Laudato sì’, n. 15.

[9]Cf M. TOSO, L’Evangelii Gaudium: implicanze pastorali, pedagogiche e progettuali per l’impegno sociale e politico dei cattolici, in «La Società», 2014, anno XXIII, n. 113, pp. 404-435.

[10]Francesco, Evangelii gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, n. 176.

[11]Cf ib., 182.

[12]Ib., 182.

[13]Ib., 183.

[14]Cf Francesco, Essere lievito nella società. Video messaggi al Festival della Dottrina Sociale della Chiesa, Prefazione del Cardinale Pietro Parolin, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, p. 7.

[15]GiovanniPaolo ii, Redemptoris missio, n. 11.

[16]Su questo può tornare utile la lettura dell’Editoriale, Dialogare nella laicità?, in «La Civiltà Cattolica», 2/16 ottobre 2021, pp. 3-9.

[17]Sul rapporto cattolici e politica si rinvia al saggio G. GALEAZZI – M. TOSO, Fede e ragione nel terzo millennio, Tipografia Faentina Editrice, Diocesi di Faenza-Modigliana 2022, specie pp. 25-71.

[18]Cf Francesco, Fratelli tutti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, capitolo quinto.

[19]Si legga in proposito M. TOSO, Fraternità o fratellanza?,Introduzione alla lettura dell’Enciclica «Fratelli tutti», Tipografia Editrice Faentina, Faenza 2021.

[20]Da più parti sta emergendo l’urgenza di un pensiero cattolico e, per conseguenza, di una cultura cattolica. Rispetto a ciò si rimanda a un recente e significativo volume collettaneo: Ci vorrebbe un pensiero. In risposta a una lettera di mons. Mario Delpini a 100 anni dalla nascita dell’Università cattolica, a cura di Ernesto Preziosi, Vita e Pensiero, Milano 2021. In vista di contribuire al rafforzamento della cultura cattolica non solo nella nostra società, ma anche nelle nostre comunità, associazioni, movimenti, aggregazioni la Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna ha varato un Osservatorio intitolato a Giovanni Bersani (cf www.osservatoriobersani.org).

 

[21]Francesco, Angelus, domenica27 marzo 2022. A proposito dell’invasione russa si legga: G. Sale, L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, in «La Civiltà Cattolica» (19 mar/2 apr 2022), I, pp. 521-551.

[22]Cf M. Toso, Dimensione sociale della fede. Sintesi aggiornata di Dottrina Sociale della Chiesa, LAS, Roma 20222, pp. 653-691.

[23]È arrivato il tempo per la Costituente degli Stati Uniti d’Europa, per una politica estera e di difesa comuni. Il papa ha fatto un appello molto forte e ha indicato una direzione precisa e credo sarebbe sbagliato ridurlo a una buona intenzione perché indica una direzione non solamente etico-religiosa, ma politica. Frenare la corsa agli armamenti, che – per inciso – dai 1.754 miliardi nel 2009 sono diventati quasi 2.000 miliardi, deve essere un obiettivo politico. Ma questo aumento della spesa, come si può vedere, non è certo la risposta. Anzi, conferma quello che ha detto sempre papa Francesco, che stiamo assistendo a una «terza guerra mondiale a pezzi».

[24]Dall’Ucraina infatti dipende una non piccola percentuale della produzione mondiale di grano, della produzione di olio di girasole e del commercio del mais. Alcuni Paesi del medio oriente tra cui Egitto, Siria e Libano, dell’Africa del nord, ma anche del sud est asiatico sono fortemente dipendenti da questa produzione e da quella della Russia.