OMELIA PER LA SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

Faenza, cattedrale 1 novembre 2018

Celebriamo oggi con grande gioia la solennità di Tutti i Santi. La Chiesa ci appare come un «giardino», in cui lo Spirito di Dio, con mirabile fantasia, ha suscitato una moltitudine di santi e sante di ogni lingua, popolo e cultura, di ogni età e condizione sociale. Ognuno è diverso dall’altro, con l’unica e irripetibile singolarità della propria personalità umana e del proprio carisma spirituale. Tutti, però, recano impresso il «sigillo» di Gesù (cf Ap 7,3), che è l’impronta del suo amore, testimoniato attraverso la Croce. Il sigillo comune ci fa intravedere l’unità che li collega tra di loro.

Oggi, infatti, celebriamo la festa dei molti santi, non tanto considerandoli come mere individualità, come atomi impreziositi da Dio. Facciamo la festa della Chiesa intera, Chiesa come insieme di credenti: di quelli che sono già nella città santa, la Gerusalemme celeste; di quelli che attendono di entrarvi mediante la purificazione; di quelli che, come noi, sono ancora pellegrini sulla terra. Oggi è la festa della Chiesa come unica famiglia, soprattutto come comunione di persone, perché parte di Cristo, del suo Corpo mistico, che le unisce in un unico popolo.

È festa della riconoscenza. Siamo in festa non tanto per i nostri meriti, bensì grazie all’amore che Dio nutre per noi. E, quindi, non è una festa di autocompiacimento. È, bensì, momento di rendimento di grazie, di gioia esultante, perché abbiamo Dio come Padre. Un Dio che ci ama perdutamente, che ci associa alla pienezza della sua eterna felicità, destinandoci a partecipare alla sua vita senza fine.

In definitiva, non si tratta di fare festa perché siamo persone diligenti e buone. Anche per questo, certamente. Ma siamo gioiosi e festanti, soprattutto perché persone amate, perché unite da una relazionalità profonda, perché costituite comunione di popolo: un popolo nuovo nel mondo, che cammina verso il futuro, che è l’Amore della Comunità trinitaria.

Il ricordo di tutti i santi, infine, lo celebriamo sperimentando un grande desiderio di bene, di vita immacolata nell’amore. I santi contemplati suscitano il desiderio intenso di essere simili a loro, persone totalmente pervase dalla luce di Dio. Ci spronano ad essere dinamici.

La festa odierna non è, dunque, semplice fruizione, di gioia fine a se stessa, per persone che si fermano nella beatitudine di un momento. È festa che mette in cammino, sospinge ad accelerare il passo nella costruzione di un mondo migliore, ad essere attivi contemplando, guardando in profondità e in avanti. Essere santi significa, certamente, vivere nella vicinanza di Dio, nella sua luce, vivere nella sua famiglia, ascoltare il Signore Gesù, ma significa in particolare seguirlo, camminare dietro a Lui, con Lui, senza perdersi d’animo di fronte alle difficoltà, alla Croce. È imboccare la strada delle beatitudini (cf Mt 5, 3-10). È percorrere la via che è Cristo. È Lui, infatti, il vero povero in spirito, l’afflitto, il mite, l’affamato ed assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l’operatore di pace. È Lui il perseguitato a causa della giustizia.

La nostra gioia di essere popolo di Dio, pertanto, sarà più grande se ci percepiremo come credenti attivi e responsabili, lievito nel nostro territorio, gente di fede che incide nei rapporti, nelle famiglie, nelle istituzioni, perché capaci di incarnare l’umanità nuova portataci da Cristo, il Beato per eccellenza.

Rispetto al compito di trasfigurare la vita sociale, di rendere più fraterne e giuste le relazioni, ciascuno di noi dovrebbe rattristarsi se non vi riuscissimo. Il divenire insignificanti e irrilevanti rispetto al bene comune dovrebbe farci arrossire, non perché punti nell’orgoglio, ma perché, in definitiva, non saremmo degni di essere membra vive del Corpo di Cristo. Dovrebbe allora inquietarci la parola di Cristo stesso, il quale stigmatizzò il sale insipido, che non insaporisce e a null’altro serve se non ad essere gettato via.

È, dunque, nella coincidenza con la solennità di tutti i santi, che si è deciso di rendere noti gli Orientamenti pastorali per l’anno 2018-2019, non a caso aventi per titolo: Popolo in cammino verso Dio. Nei brevi orientamenti, stilati dal vescovo e che i vostri parroci vi illustreranno, si sollecita la nostra Diocesi a fissare lo sguardo su Cristo incarnato, oltre che su Cristo Risorto. Egli è il Signore che vive in noi, nelle nostre comunità, e le sottopone al parto di una nuova umanità, alla nascita di una nuova tradizione di santità nella letizia.

Il popolo pellegrino, che noi siamo, è allora chiamato a trasfigurare la terra che attraversa, mentre si incammina verso Dio. Come anche cercano di far capire gli Orientamenti, la santità non dev’essere solo delle singole persone. Per diffondere il Regno di Dio in maniera efficace, è necessario essere soprattutto un popolo santo, che avanza nell’insieme delle sue componenti, con un cuore solo ed un’anima sola, per una stessa missione. Per servire meglio il mondo, dobbiamo vivere la gioia di sentirci popolo, popolo che immette nelle vene dell’umanità la linfa vivificante e divinizzante delle beatitudini. La santità, che siamo chiamati a vivere, è santità collettiva e comunitaria, ossia di popolo interamente missionario, inclusivo  dei giovani.

È proprio per questo che stiamo celebrando il Sinodo dei giovani.

Vivendo e testimoniando una santità comunitaria, sarà più facile affrontare le sfide che ci attendono. Saremo maggiormente in grado di esprimere una formazione permanente sia dei presbiteri sia dei fedeli laici, al fine di poter disporre di validi catechisti e catechiste, di docenti di religione preparati dal punto di vista non solo professionale, ma anche relazionale e didattico. Saremo anche più capaci di rinnovare la pastorale vocazionale e giovanile, nonché quella familiare. Ricordiamo che papa Francesco, nell’udienza del mercoledì in cui ha ricevuto anche i nostri cresimati, ha sollecitato ad istituire un catecumenato per i fidanzati. Ed, inoltre, saremo più impegnati nella pastorale sociale, scolastica, della comunicazione. I nostri credenti, diventando adulti, potranno così testimoniare una fede viva, pensata, generante una cultura cristiana, che li aiuterà ad essere luce splendente, a rendere efficacemente ragione della speranza che vive in loro.

Lungo il cammino, il vigore sarà dato dal Pane che viene dal cielo e che Gesù stesso ha spezzato nella sosta di Emmaus. Lo spezzare il pane è il gesto liturgico originale, che ci fa riconoscere come comunità che, mentre fa memoria della Pasqua, è costituita nel mondo fonte di una profonda rivoluzione morale e spirituale.

Nella celebrazione eucaristica che stiamo vivendo, accresceremo la gioia di essere popolo in comunione. Rinfrancati dalla comunione con Cristo e tra di noi, domani commemoreremo tutti i fedeli defunti. La comunione nel Corpo mistico di Cristo ci consente di far giungere il nostro suffragio a coloro che ci hanno generati alla vita e alla fede con tanto amore.

+ Mario Toso