Il vescovo Toso a Interris.it: “No alla sanità selettiva. Il valore della vita è uguale per tutti”

“Da un punto di vista umano, oltre che cristiano, occorre ribadire con forza i principi della parità di trattamento e del diritto universale alle cure. Il valore della vita è uguale per tutti”, afferma a Interris.it monsignor Mario Toso, vescovo della diocesi Faenza-Modigliana.

L’appello del vescovo Toso

Già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il vescovo Mario Toso è tra i più autorevoli esperti di Dottrina sociale della Chiesa. Il presule romagnolo si appella alla centralità della condivisione solidale in pandemia. “Ci si è rassegnati troppo facilmente ad una mentalità di basso profilo. Incapace di vedere nella persona il punto focale della medicina e della sanità- sottolinea monsignor Toso a Interris.it-. Ciò che, poi, ha particolarmente colpito sono state le tante inadeguatezze dei sistemi sanitari. Che fino a poco prima erano stati lodati per la loro modernità ed efficienza nell’assistenza alle persone malate”.

In pandemia i fragili pagano il prezzo più alto alla crisi sanitaria e sociale. Da sempre la Dottrina Sociale della Chiesa mette i deboli al centro. Chi sono i più esposti alle sofferenze provocate dal Covid?

“Rispondo attenendomi all’esperienza della tragica esperienza umanitaria causata dal Covid. Persone colpite dal virus sono morte in luoghi di isolamento per contenere il contagio. Con il divieto di visite, specie nella prima ondata, da parte dei parenti. La presenza dei parenti, ma anche dei sacerdoti è stata vietata. Talora anche nei reparti non Covid. Per fortuna, col tempo, in alcuni reparti non Covid e nelle Residenze, nei scorsi mesi estivi, le presenze dei parenti sono state ammesse. Anche se per breve tempo e, ovviamente, a determinate condizioni. Questa situazione, che in non pochi hanno segnalato come ingiusta e disumana, ha trovato però anche tanta rassegnazione. Ci si deve porre, allora, una domanda”.

Quale?

“Dopo tanti anni di riflessioni sul ruolo delle relazioni per la salute delle persone. Sulla salute non solo come assenza di malattia. Ma come equilibrio fra le tante dimensioni della persona. Come mai si è giunti a questo punto? In cima a tutto, però, ci ha sconvolti il fatto che gli anziani, i più deboli e vulnerabili, non hanno sempre avuto accesso alle cure. Ci siamo così trovati di fronte ad una ‘sanità selettiva’”.

A cosa si riferisce?

“A una sanità che ha considerato residuale la vita degli anziani. C’è da chiedersi: la loro maggiore vulnerabilità, le possibili altre patologie di cui sono portatori, possono giustificare un’opzione in favore dei più giovani e dei più sani? Queste prospettive e questi esiti sarebbero vera civiltà? O non sarebbero, piuttosto, un’altra tragica espressione della ‘cultura dello scarto’ di cui parla con insistenza papa Francesco?”.

C’è sufficiente solidarietà?

“In tanto buio di degrado umano e di insufficienza strutturale. Per non parlare di quella istituzionale. Di fronte ad un male sconosciuto e pericoloso. E’ per fortuna emerso l’impegno strenuo di tanti medici. Operatori sanitari. Volontari. Sacerdoti. Religiosi e religiose. Hanno lottato e lottano con amore e generosità. Con senso di responsabilità. Nei confronti del prossimo bisognoso di cura”.

E adesso cosa sta accadendo?

“Siamo nella fase dei vaccini. Sono apparse diverse varianti del virus. Si sono aggiunti altri problemi. Sul piano della vendita. Della conservazione delle fiale. Dell’ organizzazione nella somministrazione. Nella individuazione delle categorie. La lista non è completa. È certo, comunque, che la pandemia ha variato il suo percorso. Con le necessarie misure di sicurezza ha creato, assieme ad aspetti positivi nelle relazioni famigliari, anche notevoli problemi circa l’accompagnamento delle persone ammalate. La cura dei disabili. Dei ragazzi. E dei giovani affidati a famiglie”.

Su quali basi dottrinarie e pastorali la Chiesa richiama l’attenzione del mondo sui poveri?

“Su basi di fede e di umanità. La parabola del Buon Samaritano. Impiegata da papa Francesco nell’enciclica ‘Fratelli tutti’ quale strumento ermeneutico della realtà umana contemporanea. Nella complessità di tutte le sue ombre e luci. Torna utile anche per questo nostro preciso momento storico. Contrassegnato dal Covid e dalla crescita delle diseguaglianze”.

Può farci alcuni esempi?

“Diseguaglianze tra uomo e donna. Tra ricchi e poveri. Tra persone inserite in reti di protezione e persone sprovviste di reti di protezione. Come insegna la lettura che ne ha fatto nei secoli la Chiesa. E che papa Francesco ripropone nell’oggi. La parabola del buon Samaritano non solo illumina le relazioni tra gli esseri umani in quanto tali. Ma anche consente di riconoscere in colui che aiuta il giudeo ferito, Cristo stesso”.

Cioè?

“Incarnandosi si china sull’umanità ferita dal peccato. Se ne prende cura salvandola, redimendola. Anche noi, al pari del buon samaritano, suggerisce papa Francesco, dobbiamo mostrare prossimità nei confronti delle persone o dei popoli feriti della terra. Dobbiamo, però, essere non solo buoni samaritani. Ma anche quell’umanità che, assunta e vissuta da Cristo, propria dei figli nel Figlio, si fa ‘vicina’. E si prende cura di chi è nel bisogno. Con lo stesso amore di Gesù. Indipendentemente da dove è nato e da dove viene”.

Fin dove?

“Fino a scorgere nel samaritano, come già accennato, Cristo stesso. Ciò è evidente ove, alla fine del secondo capitolo, il Pontefice scrive: ‘Per i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione, trascendente. Implicano il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso (cfr Mt 25,40.45)’. Gesù va riconosciuto, dunque, sia come il buon samaritano che aiuta l’umanità ferita dal peccato redimendola. Sia come il giudeo ferito. Ovvero come ogni persona che è derubata e maltrattata, abbandonata sul ciglio della strada”.