OMELIA per l’APERTURA dell’ANNO DELLA FEDE

Faenza - Basilica Cattedrale, 12 ottobre 2012
12-10-2012


Il Papa stesso, nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, ha messo insieme il significato dell’apertura dell’Anno della Fede e la Giornata missionaria. ‘La ricorrenza del 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, l’apertura dell’Anno della fede e il Sinodo dei Vescovi sul tema della nuova evangelizzazione concorrono a riaffermare la volontà della Chiesa di impegnarsi con maggiore coraggio e ardore nella missio ad gentes perché il Vangelo giunga fino agli estremi confini della terra’.


Il tema della nostra fede diventa di una serietà unica se pensiamo alla responsabilità che abbiamo come cristiani davanti al mondo: ‘Non possiamo restarcene tranquilli, pensando ai milioni di nostri fratelli e sorelle, anch’essi redenti dal sangue di Cristo, che vivono ignari dell’amore di Dio’ (n. 86). Anch’io, nell’indire l’Anno della fede, ho scritto che Cristo ‘oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra’.


Dalla Chiesa di Faenza-Modigliana abbiamo sparsi nel mondo una decina di presbiteri e religiosi, altrettante suore e una trentina di laici: bastano per essere un segno significativo del nostro impegno missionario?


Uno degli ostacoli allo slancio dell’evangelizzazione è la crisi di fede, non solo del mondo occidentale, ma di gran parte dell’umanità, che pure ha fame e sete di Dio e deve essere invitata e condotta al pane di vita e all’acqua viva, come la Samaritana che si reca al pozzo di Giacobbe e dialoga con Cristo.


Quando ci si chiede che cosa fa la Chiesa per la pace, per il lavoro, per la droga, per la salute ecc. non si deve dimenticare che la Chiesa esiste per evangelizzare, e che la scommessa è salvare la verità che salva, e portarla alle genti di tutte le generazioni. Se saprà essere fedele a questa sua missione, tutte le altre cose verranno di conseguenza, come frutto della carità di Cristo.


L’incontro con Cristo, Persona viva che colma la sete del cuore, non può che portare al desiderio di condividere con altri la gioia di questa presenza e di farla conoscere, perché tutti la possano sperimentare. Occorre rinnovare l’entusiasmo di comunicare la fede per promuovere una nuova evangelizzazione delle comunità e dei Paesi di antica tradizione cristiana, che stanno perdendo il riferimento a Dio, in modo da riscoprire la gioia del credere.


Deve essere chiaro però che la ragione più bella per coltivare la fede, non è la nostra responsabilità di fronte agli altri, ma è la grazia di avere conosciuto il Padre di Gesù Cristo: ‘Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare’ (Mt 11,27); vivere in coerenza con questa fede ci rende contagiosi.


Voglio riflettere con voi sulla testimonianza e la sua ambiguità. La nostra fede non deve dipendere dalla testimonianza degli altri, e nemmeno essere insidiata dallo scandalo (Gesù ha detto che è inevitabile che avvengano scandali (Mt 18,7); la nostra fede deve essere legata all’incontro con Gesù vivo nella Chiesa.


È diverso invece quando dalla nostra testimonianza può dipendere la fede degli altri. Dice il Papa: ‘La fede, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano, ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli’ (PF, 7).


La testimonianza non possiamo pretenderla, né possiamo portarla come scusa, siamo però tenuti ad offrirla, perché da essa può dipendere la fede degli altri. Per esempio Gesù ha detto: ‘Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato’ (Gv 17,21); la fede degli altri può essere il frutto della nostra unità ecclesiale.


Il Papa osserva che c’è un forte legame tra ciò che crediamo e la nostra adesione a Cristo: ‘Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso’ (PF, 10). Non è la stessa cosa conoscere una verità o non conoscerla; l’ignoranza colpevole (nel senso che dipende dalla nostra responsabilità) è spesso alla radice della nostra mancanza di fede, o della perdita della fede, oggi purtroppo sempre più facile, non perché siamo più liberi, ma perché siamo meno informati.


La nostra veglia terminerà con l’invito ad uscire, per portare fuori l’irradiazione di ciò che abbiamo incontrato, pur nella nostra miseria, perché, come ha detto Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio: ‘La fede si rafforza donandola’. Proprio perché siamo deboli dobbiamo andare e metterci la faccia con i nostri gesti di fede: ci aiuterà ad essere più convinti, nell’umiltà e nella gioia di credere.


La Chiesa come ci è stata presentata dal Concilio è una Chiesa giovane, contemporanea, fatta anche per il nostro tempo. Il nostro è un tempo che corre veloce, ma lo Spirito Santo ha preceduto ogni cambiamento con la sua novità; siamo noi che rischiamo di rallentare tutto e arrivare dopo. Pensate come sarebbe oggi la Chiesa cattolica se non ci fosse stato il Concilio Vaticano II.


Avviene per il Concilio come per ogni azione salvifica che ci riguarda: il dono ci è dato, è già stato confezionato o per i meriti di Cristo o per opera della Chiesa: noi dobbiamo farlo nostro accogliendolo, aprendoci alla grazia sollecitati anche dai tempi che dobbiamo imparare a leggere. Solo accettandolo il dono diventa tale; il Concilio è un dono che in questo Anno della fede dobbiamo far diventare nostro sempre di più.


I modi possono essere vari: leggendo in tutto o in parte i documenti, soprattutto le quattro costituzioni; oppure utilizzando il Catechismo della Chiesa Cattolica, che è una sintesi della dottrina della Chiesa dopo il Concilio; oppure raccogliendo una briciola ogni giorno nella e-mail dell’Azione Cattolica.

Ma un modo più bello ancora è vivere la nostra fede con lo stile e la sensibilità che il Concilio ci insegna, senza strumentalizzare presunte scelte che allontanerebbero dalla Chiesa attuale. Anche di noi, come dei cristiani del primo Concilio di Gerusalemme si deve poter dire: ‘Quando ebbero letta la lettera del Concilio, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva’ (Atti 15,31).