OMELIA per la VEGLIA PASQUALE

Faenza - Basilica Cattedrale, 4 aprile 2015
04-04-2015
Carissimi fratelli e sorelle!
La veglia pasquale, che per la prima volta celebriamo insieme, ci ricorda il grande mistero della risurrezione di Cristo, soprattutto attraverso tre grandi simboli: la luce, l’acqua e il canto nuovo dell’alleluia.
È mediante il mistero della morte e risurrezione di Cristo che si realizza per il mondo una nuova creazione. Tutto viene assunto e trasfigurato da Cristo. Le tenebre, in cui aveva accettato di immergersi, sono finalmente sconfitte; il bene diventa vittorioso sul male; la terra (l’umanità) si ricongiunge al cielo (Dio); l’umanità è riappacificata con Dio mediante il suo amore. Grazie a Cristo risorto,  non cammina più verso il nulla ‘ la nostra vita non è un essere per il nulla ‘, bensì verso un futuro di pienezza, un approdo di immortalità. Chi si associa a Cristo, perdonando i nemici, lottando contro il male con le armi del bene, contribuisce a far nascere una nuova storia tra le vecchie macerie, trasforma in convivenze pacifiche e giuste le società in preda a conflitti, rende le «periferie» non più luoghi di isolamento, ma luoghi dove le persone crescono nella convivialità, in dignità e in amore.
Con la risurrezione, il giorno di Dio entra nelle notti del nostro dolore, porta la vita nuova che supera gli egoismi, l’indifferenza, le emarginazioni, le diseguaglianze, le cause strutturali della povertà. Cristo che risorge è per la Chiesa, vale a dire per tutti noi, popolo di Dio, la grande Luce. In Lui l’umanità diviene pienamente trasparente alla vita vera. Cristo è la Luce, perché si fa dono sino a consegnare tutto se stesso nella lotta contro il peccato, per riconciliare l’uomo con il Padre e renderci tutti fratelli. Come credenti, siamo chiamati a vivere la luce che è Cristo e a diffonderlo per irradiazione. Nella Veglia pasquale, Cristo è rappresentato nel cero, che – come afferma san Pier Damiani -, arde e si consuma davanti a tutti per la gioia dell’assemblea: croce e risurrezione sono inseparabili. Il cero illumina e dà la possibilità di vedere le cose, la loro figura e la loro identità perché arde e alimenta la fiamma con la cera bruciata. Cristo, iniziando in sé una nuova umanità in piena comunione con Dio fornisce a noi punti di riferimento per conoscere la verità del nostro essere e dover essere, per individuare nuove scale di beni-valori.
Dalla croce, dall’autodonazione del Figlio nasce dunque la luce. Al cero pasquale noi tutti abbiamo acceso le nostre candele, a significare che anche noi possiamo essere luce per il mondo se viviamo di Cristo, con Lui e per Lui. È grazie al sacramento dell’illuminazione, così è stato anche chiamato il Battesimo, che noi partecipiamo della sua vita, siamo introdotti entro la sua luce. Mediante il Battesimo riconosciamo di essere cristoconformi, fatti a immagine del Figlio di Dio, destinati a vivere Cristo, a rivestirci di Lui. Soltanto dimorando in Gesù Cristo, vivendo i suoi stessi sentimenti, siamo messi in grado di discernere il grano dal loglio e diventiamo più capaci di vero, di bene e di Dio. E così rigenerati, siamo veramente un popolo nuovo. In mezzo alle odierne catastrofi e destrutturazioni antropologiche, a fronte delle idolatrie che enfatizzano il successo, la tecnica, il consumo, il denaro e il potere, risplenderemo come una generazione che pone Dio in cima a tutto e, con ciò stesso, ama l’altro, chiunque esso sia, e si impegna a custodire il creato, riconoscendolo come casa comune per tutte le generazioni.
Il secondo simbolo della veglia pasquale è l’acqua. Essa ci ricorda che è proprio scendendo con Cristo nel mare del male e riemergendo con Lui, che noi nasciamo ad una vita nuova. Con-morti, con-sepolti e con-risorti in Cristo, siamo coinvolti nella nuova creazione da Lui posta in essere e resi partecipi di quel torrente d’acqua viva che deriva dalla sua umanità, di cui ci fa dono totale, lottando strenuamente contro il male. Battezzati in Gesù Cristo, diventiamo noi stessi sorgenti di acqua limpida, che fa fruttificare i numerosi deserti dell’esistenza umana: la schiavizzazione delle persone nel lavoro “nero” e nelle fabbriche clandestine, oltre che nella prostituzione; l’abbandono degli anziani; la disoccupazione; le situazioni di esclusione di cui soffrono soprattutto le donne; i bambini nascituri che vengono spietatamente eliminati.
Nel Battesimo, il Signore fa di noi non solo persone di luce, ma anche fonti di acqua viva. Noi tutti conosciamo persone, il cui contatto ci lascia in qualche modo rinfrescati e rinnovati; persone che sono come una fonte di fresca acqua sorgiva. Non dobbiamo necessariamente pensare soltanto ai grandi santi, come Sant’Agostino, San Francesco d’Assisi, Santa Umiltà, San Pier Damiani, Santa Teresa d’Avila, San Giovanni Bosco, Madre Teresa di Calcutta, per citare solo alcuni nomi di uomini e donne, che hanno letteralmente inondato la storia con fiumi di acqua rigenerante. Grazie a Dio, troviamo continuamente anche nel nostro quotidiano persone che sono sorgente di vita. Basti pensare ai nostri nonni, ai genitori che ci hanno educato alla fede, ai nostri volontari che operano nel Centro di ascolto, alle maestre ed insegnanti, ai religiosi e alle religiose. Certo, conosciamo anche il contrario: persone dalle quali promana un’atmosfera di acqua stagnante o addirittura avvelenata. Ma questo ci deve sospingere a chiedere al Signore, che ci ha donato la grazia del Battesimo, di poter essere sempre sorgenti fresche, zampillanti dalla fonte della sua verità e del suo amore (cf Benedetto XVI, Omelia sabato 11 aprile 2009).
Il terzo grande simbolo della Veglia Pasquale è il canto. Chi sperimenta una grande gioia non riesce a trattenerla tutta per sé. Deve trasmetterla, comunicarla, gridarla sui tetti. Lo stesso avviene ai credenti, coinvolti nella luce della risurrezione e raggiunti dalla Vita stessa di Cristo, dalla sua Verità e dal suo Amore. E allora, parlare non basta. Occorre cantare la gioia di essere stati liberati dalla schiavitù del peccato, la gioia della rinascita, della libertà riconquistata, del senso ritrovato, del ripristino della direzione del cammino. Ecco perché nelle nostre celebrazioni amiamo cantare.  Non perché siamo dei vanesi. Il canto, specie se partecipato da tutti, dà la percezione di essere popolo, un noi di persone che è mosso dall’Amore e si pone in marcia, si mobilita per il bene, la libertà, la dignità trascendente. È soprattutto attraverso il canto dell’alleluia, che si esprime il ringraziamento di essere salvati e redenti!
La Chiesa, cantando, si sente popolo non più abbandonato, ma riamato, pronto per le traversate dei secoli, capace di affrontare tutti gli esodi a cui chiama l’Amore di Cristo, nostro Pastore e nostro Maestro. Cantando l’alleluia, noi ci aggrappiamo alla mano di Colui che ci salva dalle acque limacciose del male impedendoci di ricadervi. Noi sappiamo che siamo sottratti alla forza di gravità della morte e del male – una forza che altrimenti non permetterebbe via di scampo – e nello stesso tempo siamo attirati dalla forza di gravità di Dio, che è la forza della Verità e dell’Amore. Da quando Cristo è risorto, l’attrazione dell’amore è più forte di quella dell’odio; la vita è più forte della morte. Anche se a volte abbiamo l’impressione di affondare, dobbiamo credere fermamente di essere già salvati. E la fede in questa salvezza, donataci gratuitamente,  ci colma di gioia e di speranza, perché, come dice san Paolo, siamo «come moribondi, e invece viviamo» (2 Cor 6,9).
La mano salvifica del Signore ci sorregge. Per questo possiamo intonare insieme il canto nuovo dei risorti: Alleluia! Amen!